Dopo aver passato in rassegna la maggior parte della produzione di videoarte italiana più recente, attingendo alle risorse della piattaforma Visual Container, al festival internazionale di videoarte Magmart e all’annuario di videoarte Yearbook, il programma Lo Sguardo Sospeso ha avvertito la necessità di allargare lo sguardo, confrontandosi con le tendenze, gli approcci, i temi, le tecnologie e gli stili di artisti che operano al di fuori dei confini italiani, come nel caso del Regno Unito. Ciò è stato possibile grazie al coinvolgimento di Laura Leuzzi, storica dell’arte contemporanea e docente presso la Robert Gordon University di Aberdeen, in Scozia, tra le principali ricercatrici sulle storie della videoarte europea, sull’arte e il femminismo e sui nuovi media.
La selezione da lei proposta è volutamente eterogenea e non ha la pretesa di essere esaustiva, configurandosi invece come una sorta di “campionatura” delle infinite possibilità che, per sua natura, il linguaggio della videoarte può offrire. È la sperimentazione, infatti, la molla che spinge gli artisti a servirsi dei dispositivi tecnologici del momento per tradurre il proprio sguardo interiore sul mondo, ponendo l’accento su questioni urgenti della contemporaneità quali «la decolonizzazione, la salute mentale, il rapporto con la tecnologia, con la natura e i femminismi».
A cura di Laura Leuzzi
Cos’è la videoarte oggi? Fin dalle sue origini, il video è stato una piattaforma chiave per la sperimentazione degli artisti, e con il progredire della tecnologia è divenuto un “hub” sempre più flessibile e aperto all’esplorazione di tecniche, linguaggi e forme artistiche differenti, inclusi suono, musica e danza.
Questa selezione, che non ambisce a essere esaustiva, nasce dall’idea di mostrare approcci, temi, tecnologie e stili diversi di artisti attivi nel Regno Unito o che collaborano con artisti britannici, evidenziando le tendenze e il dibattito corrente nel settore. Approcci decoloniali, relazione con la Natura e la tecnologia, cultura tradizionale, ispirazione all’immagine in movimento del passato, femminismo, salute mentale sono solo alcune delle traiettorie presenti all’interno di questa curatela.
Nothing Besides Remain (2023) di Chris Meigh-Andrews riprende il genere tradizionale del paesaggio, con l’intento di creare un’opera che si collochi al di fuori del tempo, sfruttando la vertigine offerta dall’impiego di una videocamera a 360° e accompagnata dalla celebre musica minimalista di Arvo Pärt. L’artista del suono e performer Maja Zećo, con In Search of the Sun, esplora invece il mito in una chiave decoloniale, aprendo la strada alla riflessione sul tema della migrazione e attingendo alla sua storia personale per contribuire a un discorso più ampio sui movimenti globali.
La collaborazione tra Deniz Johns e Martin Zeilinger in Returning and Turning (2024) si inserisce nell’attuale tendenza di trarre ispirazione dal cinema d’avanguardia sperimentale, tra cui Horror Film 1 di Malcolm Le Grice, Danse Serpentine di Louis Lumière e Return to Reason di Man Ray, nonché dal patrimonio di Turnalar Semahı (Semah of Cranes), sperimentando con suoni, ottica e colore.
Guli Silberstein in Overcome disegna possibili scenari futuri tra l’utopia e la distopia, tramite immagini ispirate e generate dall’intelligenza artificiale, in una costante tensione dialettica con la tecnologia. Aurea di Valentina Ferrandes, attraverso l’animazione procedurale in CGI, rilegge la scultura di Apollo e Dafne del Bernini per riflettere, mediante il mito, sulla relazione fra l’essere umano e la natura, attraverso una prospettiva femminista.
Infine, Absentia, diretto da Lucia Franci, è una danza contemporanea sullo schermo che indaga le tematiche della salute mentale e dell’ansia, usando la videocamera come strumento introspettivo, capace di esplorare il nostro sé interiore.
È storica dell’arte contemporanea e curatrice, autrice di articoli e saggi in libri e cataloghi di mostre. La sua ricerca si concentra sulla prima videoarte, sulla storia della videoarte europea, sull’arte e il femminismo, e sui nuovi media. Coeditrice di diverse pubblicazioni, tra cui REWINDItalia. Early Video Art in Italy (2015), EWVA European Women's Video Art in the 70s and 80s (2019) e, più di recente, Incite. Digital Art and Activism (2023), ha curato mostre, proiezioni ed eventi nel Regno Unito, in Svizzera e in Italia, fra cui Walcheturm (Zurigo), Summerhall (Edimburgo) e più recentemente l’Over the Real Festival di Lucca, tenendo conferenze in gallerie, musei e centri d’arte come la Tate Modern, il Bozar (Bruxelles), la British School at Rome e il CCA di Glasgow. È co-fondatrice della galleria online RE_EXHIBIT Rewind e attualmente ricopre il ruolo di Chancellor's Fellow presso la Gray’s School of Art (Robert Gordon University, Aberdeen).
Nothing Beside Remains è stato girato nella baia di Xlendi, sull’isola di Gozo, e inizialmente presentato in una sequenza continua (in loop) per un’installazione site-specific presso la Valletta Contemporary, all’interno della mostra Meta Landscapes: Representations and Perceptions (Link) da aprile a giugno 2022. Il video è stato girato con una Garmin VIRB 360, in grado di registrare video a 360° in 5,7K, fissata su un supporto rotante sincronizzato al cambio di prospettiva della ripresa a 360°.
La colonna sonora si avvale del brano minimalista Spiegel im Spiegel (Specchio nello specchio) di Arvo Pärt, eseguito da Leonard Roczek (violoncello) e Herbert Schuch (pianoforte). Il titolo Nothing Beside Remains cita il celebre sonetto Ozymandias di Shelley. Pur trattandosi di un’opera “time-based”, l’intento è realizzare un video che risulti “senza tempo”, evocando luoghi e momenti da cui siamo assenti. Il paesaggio — mare, sole, cielo, nuvole e formazioni calcaree — richiama i resti di un’antica scultura, i frammenti di una civiltà umana dimenticata, in assonanza con gli ultimi versi del sonetto di Shelley: Nothing beside remains. Round the decay / Of that Colossal Wreck, boundless and bare, / The lone and level sands stretch far away.
Chris Meigh-Andrews è un artista visivo, scrittore e storico dell’arte. Nato nell’Essex (Inghilterra) e vissuto a Montréal (Canada) dal 1957 al 1975, si avvicina al video in un contesto artistico dal 1977, esponendo ampiamente le sue installazioni e opere a schermo singolo in tutto il Regno Unito e a livello internazionale. Negli anni Novanta ha sviluppato una serie di installazioni che combinano il video con l’energia rinnovabile. Parallelamente alla sua pratica artistica, ha seguito una carriera accademica e come storico dell’arte: il suo libro A History of Video Art (Berg, 2006; Bloomsbury, 2013) è stato tradotto anche in giapponese e in cinese. Attualmente è Editor-in-Chief (UK & Europe) della futura Encyclopaedia of New Media Art in tre volumi (Bloomsbury, 2025).
Realizzato durante una residenza alla Aberdeen Art Gallery, In Search of the Sun unisce la continua ricerca di Zećo sulla migrazione e sulla rappresentazione dell’identità dei migranti — ispirata dalla sua stessa esperienza di vita — a un approccio decoloniale alla cultura visiva, alla storia e al patrimonio, evidenziando lo scambio e la fecondità generati dai movimenti migratori.
L’ispirazione arriva dalla scultura modernista Eastre (Hymn to the Sun) di J.D. Fergusson (nella collezione dell’Aberdeen Art Gallery). Qui, Zećo svela le origini “straniere” della dea della fertilità — derivata dal culto assiro-babilonese di Ishtar — che Fergusson raffigura invece come divinità sassone. Nella prima sequenza del video, l’artista impersona il sacro e rappresenta la divinità in tutto il suo mistero, all’interno di una grotta che ci riporta a un passato arcaico, mentre canta Le Coq d'Or Opera — Hymn to the Sun Act II di Rimsky-Korsakov, su libretto di Vladimir Bielsky. L’elemento sonoro, con la sua potenza evocativa, guida lo spettatore in un viaggio spazio-temporale.
Una volta “approdata” sulle coste scozzesi, Zećo cammina tra le dune e lungo la spiaggia — avvolta da un costume e da una maschera dorata (un riferimento tangibile alla pandemia in corso all’epoca) — evocando il disorientamento, le sfide e l’isolamento vissuti dai rifugiati, rappresentati simbolicamente anche dalla coperta di sicurezza. Con un uso sapiente del suono del vento e del riverbero della luce solare sul mantello dorato, l’artista reinterpreta un tema ricorrente nella sua ricerca, intrecciando la sua storia personale con il mito e compiendo un rituale che culmina con la rivelazione della sua identità.
Maja Zećo, originaria di Sarajevo e stabilitasi in Scozia dal 2015, è un’artista interdisciplinare che lavora tra performance, suono e immagini in movimento. Nella sua pratica, fortemente orientata alla ricerca, indaga temi quali l’identità, la decolonialità e i “futurismi balcanici”. Questa esplorazione critica l’ha condotta a performance estreme — come seppellirsi, tuffarsi in acqua per recuperare memorie, sperimentare forme di disabilità sensoriale e pratiche di resistenza. Dopo aver completato un dottorato di ricerca nel 2019, ha presentato i propri lavori nel Regno Unito e all’estero, in città come Londra, Aberdeen, Zurigo, Sarajevo e Zagabria.
Returning and Turning trae ispirazione dal Turnalar Semahı (Semah delle gru), una forma di semah (rito alevita/bektashi dell’Anatolia) caratterizzata da turbinanti movimenti collettivi, passi ritmici e gesti simbolici delle mani in formazione circolare. Qui, il movimento si rifà, seppur liberamente, alla danza di corteggiamento delle gru.
L’opera si basa su un’unica ripresa video SD di un busto in rotazione, trasformato in un esperimento di stratificazione dello spazio dello schermo, colore digitale, ripetizione e sovrapposizione. La colonna sonora rispecchia tale struttura mediante un’improvvisazione registrata dal vivo che campiona registrazioni contemporanee di semah, focalizzandosi in particolare sul saz, strumento tradizionale turco. Returning and Turning nasce come performance dal vivo, in cui immagine e suono si generano tramite strumenti A/V di campionamento in tempo reale, in dialogo reattivo fra loro. Pur costituendo un esperimento “materialista” sul colore, l’ottica e il suono, l’opera ha anche una forte risonanza personale: per Johns, esprime il desiderio di riallacciare i legami con le sue origini familiari, per Zeilinger è un’esplorazione dell’eredità culturale della propria compagna.
Deniz Johns è un’artista turco-britannica, ricercatrice e formatrice, specializzata in cinema sperimentale ed espanso. Lavora con pellicola 16mm, video digitale e performance dal vivo. Il suo interesse verte sulle estetiche politiche del cinema e del video sperimentali; i suoi progetti recenti esplorano la negazione dell’immagine come strumento per politicizzare l’estetica.
Martin Zeilinger sviluppa pratiche sperimentali e interdisciplinari che coniugano ricerca accademica, esplorazione audiovisiva e curatela. I suoi interessi comprendono la sound art, l’arte algoritmica e generativa, nonché l’improvvisazione in contesti digitali. marjz.net
Overcome di Guli Silberstein, artista video con sede a Londra, immagina possibili futuri distopici e utopici attraverso immagini ispirate e generate dall’IA, in una continua tensione dialettica con la tecnologia. L’opera esplora i temi del transumanesimo, dell’incarnazione, dei rapporti di potere e della commistione tra mondi virtuali e realtà, nonché l’idea di una coscienza digitale. Come suggerisce il voice-over: “Life is a dream of Time”, lasciando intendere come la tecnologia possa consentire un’espansione delle nostre vite, dei nostri corpi e della nostra coscienza in una molteplicità di direzioni.
Overcome si affida a un immaginario visionario, popolato di mostri, diavoli e maschere, riflettendo sia sul mutamento della percezione sia sulla costruzione dell’identità in perenne evoluzione e trasformazione. Un richiamo che non può non ricordare l’Espressionismo pittorico di Ensor, Otto Dix e la loro critica dei sistemi di potere. Strutturato in forma narrativa, il costante mutare e deformarsi di figure, spazi e oggetti è accompagnato dall’upbeat di musica techno — Karthago di ORYMA — che commenta e sostiene la tensione. (LL)
Guli Silberstein lavora nel campo dell’arte digitale a Londra dal 2001, dopo essersi laureata alla New School di New York in Media Studies. Specializzata in VFX, glitch art e IA, spesso si concentra sul rapporto tra esperienza umana e corpo in un contesto sociale e politico segnato dalla tecnologia, sperimentando nuovi mezzi digitali per dare vita a forme artistiche audiovisive inedite. Le sue opere sono state presentate in festival e mostre di rilievo (WRO Media Art Biennale in Polonia, Transmediale Festival a Berlino, FILE a San Paolo, London Short Film Festival, Bemis Center for Contemporary Arts negli USA, Royal Scottish Academy di Edimburgo, ecc.), e alcune edizioni digitali sono vendute su piattaforme come Sedition Art, LUMAS Galleries e Artpoint Paris. I suoi lavori video vengono regolarmente condivisi sui social media, dove ha raccolto una community di oltre 250mila follower, totalizzando più di 150 milioni di visualizzazioni.
Aurea è un breve pezzo di animazione procedurale in CGI, ispirato all’episodio di Apollo e Dafne delle Metamorfosi di Ovidio. Nel mito, il dio s’innamora ossessivamente della ninfa Dafne — che ha giurato di mantenersi vergine. Fuggendo alla violenza di Apollo, Dafne invoca il padre per essere salvata, trasformandosi infine in un alloro. Questo lavoro rielabora anche la scultura del Bernini per decostruirne il soggetto, frammentandolo in elementi corpuscolari tridimensionali, che si trasformano in onde di energia dinamica e movimento, in un perpetuo gioco di incarnazione e disincarnazione.
In questa decomposizione della materia e del corpo, l’artista contrasta lo sguardo maschile e l’oggettificazione del corpo femminile, trasformando il marmo in granelli d’oro. Per Dafne, la bellezza diventa un fardello da cui desidera liberarsi: Aurea indaga la bellezza estetica negli elementi tattili che compongono la materia. Facendo ricorso a tecnologie d’avanguardia come l’animazione CGI, l’opera offre una riflessione su temi chiave della nostra epoca: come in altre creazioni analoghe, Ferrandes esamina la complessa relazione fra Uomo e Natura in un’ottica post-naturale e post-umana e, adottando una prospettiva femminista, mostra la Natura quale porto sicuro e alleata dell’umanità, specie di chi è oppresso — un monito che richiama da un lato la crisi climatica e dall’altro l’aumento della violenza di genere.
Valentina Ferrandes, originaria del sud Italia e basata a Londra, fonde CGI, animazione procedurale e narrazioni guidate dall’IA con filmati d’archivio, registrazioni ambientali, testimonianze archeologiche e video documentari, dando vita a storie speculative che collegano il passato a futuri possibili. Finalista all’Aesthetica Art Prize (2023), ex artista in residenza presso la sede londinese di Meta (2022) e vincitrice del premio Emerging Scene Arts a Dubai, ha lavorato come digital experience designer per agenzie creative tra Londra e Berlino, esponendo in festival internazionali come Visions du Réel, Supernova Animation Festival, European Media Art Festival e DokuFest.
Absentia è un’opera di danza contemporanea per lo schermo che esplora i temi dell’ansia, delle emozioni e della mente. Scritta, diretta e montata da Lucia Franci — produttrice insieme a Francesco Invernizzi e Francesco Tomasi, con fotografia di Massimiliano Gatti — la coreografia di Giulia Menti, interpretata con grande intensità da Vittoria Franchina, è accompagnata dalle musiche composte da Dimitri Scarlato (interamente basate sul violoncello). L’intero impianto narrativo esprime la condizione di chi si sente in ostaggio della propria mente e del proprio corpo — percepiti come ormai fuori controllo — e mostra il conflitto tra la realtà esterna e uno stato mentale dominato dall’ansia.
Nella sequenza iniziale, gambe e braccia vengono trascinate e scosse dall’interno, finché la protagonista non si ritrova toccata da una pioggia invisibile, accompagnata da un sapiente commento sonoro: rumori del mondo reale, come pioggia e latrati di cane, segnano i momenti in cui la donna riesce a tornare a sé, allentando la morsa dell’ansia. Subito dopo, di fronte a uno specchio “invisibile”, compare una figura inquietante dal sorriso sinistro che simboleggia l’Ansia.
In un progressivo crescendo musicale, la protagonista si trova in un crescente stato di agitazione, culminante con la sensazione di essere intrappolata in un labirinto e rinchiusa da invisibili pareti a specchio, da cui non pare esserci via di fuga. Solo un grido liberatorio interrompe questo “muro” intangibile. Laddove la seconda parte si svolge in un appartamento “reale”, compare infine la mano di un uomo sorridente: in un istante, la protagonista solitaria è avvolta dal calore di un abbraccio; e così l’incubo sembra svanire. La coppia è circondata da amici, e i toni in bianco e nero cedono il posto al colore. L’ultima sequenza svela come la donna fosse prigioniera della propria mente, regalando allo spettatore uno sguardo introspettivo nel suo io interiore.
Absentia porta alla luce questioni rilevanti come la salute mentale e l’ansia, testimonia come il video possa farsi strumento introspettivo e di ricerca, nonché mezzo per rappresentare il nostro paesaggio interiore. (LL)
Lucia Franci, dopo essersi laureata in Scienze della Comunicazione e in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale allo IULM di Milano, ha esordito come assistente alla regia e al montaggio nel documentario milanese, passando poi alla produzione di contenuti commerciali e lavorando per otto anni presso BRW Filmland Italia come R&D director e regista di spot. Qui ha studiato i diversi approcci internazionali alla regia, collaborando con importanti agenzie (Y&R, Armando Testa, WPP Italia, DDBO ecc.) e sviluppando il proprio stile, “eccentrico, internazionale, giovane, moderno, essenziale, ma sempre emozionale ed esteticamente curato”. Successivamente, ha fondato un’agenzia e casa di produzione con il socio d’affari, Francesco Tomasi, e ha proseguito il suo percorso come autrice e direttrice creativa.