Venezia, 20 Marzo 2025. Pablo Berger è stato protagonista ieri della prima delle masterclass della quindicesima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, con una lunga intervista a cura di John Bleasdale, membro del comitato scientifico del festival. Berger è uno di quei cineasti che non si accontentano mai di seguire una sola strada. Ogni suo film è una sfida, un’esplorazione, un salto nel vuoto senza rete di sicurezza. Dalla sua formazione a New York fino all’ultimo successo animato Il mio amico Robot candidato agli Oscar, la sua carriera è stata segnata da una costante ricerca di nuove forme espressive. Berger è tornato in Triveneto dopo dieci anni dalla presentazione di Blancanieves alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, ma questa è la sua prima volta a Venezia. Durante il festival, il regista ha ripercorso la sua carriera artistica, raccontando aneddoti, influenze e la sua filosofia, dimostrano uno spirito solare e coinvolgente.
Come molti grandi registi, anche Berger ha iniziato dai cortometraggi, considerandoli il “laboratorio perfetto” per approcciarsi al mondo del cinema e per osare: «Con il corto sperimenti, fai cose nuove e fai qualcosa di rischioso, io lo chiamo il mio periodo punk. Con il primo cortometraggio non sapevo nulla di cinema […] Ogni film che ho fatto dopo ha seguito questa attitudine punk». In effetti Mamá (1988) è stato il suo primo lavoro e anche il suo primo successo internazionale, riuscendo subito a trovare un suo pubblico di riferimento e la chiave per ottenere una borsa di studio alla New York University, dove avrebbe affinato il suo stile.
A New York, Berger è immerso nella scena cinematografica indipendente degli anni Novanta, incontrando registi del calibro di Abel Ferrara e i fratelli Coen. Ma, soprattutto, lì ha vissuto: «Prima di trasferirmi lì, i miei cortometraggi erano film sui film. A New York ho avuto il tempo di imparare come diventare adulto. […] Ho vissuto abbastanza da poter raccontare altro». Dopo la NYU, la vera sfida era diventare regista e, con Torremolinos 73 (2003), inizia la sua carriera nei lungometraggi. Torremolinos è un’opera da lui definita ‘dramedy’ a metà tra la commedia e il dramma, sempre delineata dal suo stile inconfondibile, che esplora il cinema come strumento di liberazione personale e sociale, con un giovane Mads Mikkelsen nel cast. Ambientato nella Spagna franchista del 1973, il film racconta di una coppia in difficoltà economiche che riceve un’offerta per girare film erotici destinati al mercato scandinavo. «La prima proposta che ho ricevuto dopo l'università era di dirigere un porno» – ha scherzato Berger – «Dissi di no, ma vedendo il film che ho fatto dopo, forse avrei potuto accettare».
Il vero punto di svolta nella sua carriera è arrivato con Blancanieves (2012), un audace adattamento muto in bianco e nero della fiaba di Biancaneve, ambientato nella Spagna degli anni Venti. Il film, acclamato a livello internazionale, ha vinto numerosi premi, tra cui dieci Goya, ed è stato il candidato spagnolo per la corsa agli Oscar. La realizzazione, però, è stata un’odissea: «Pensavo sarebbe stato più veloce, invece ci sono voluti otto anni e alla fine ho perso tutti i capelli» ha raccontato con ironia. Dopo che il suo produttore non lo appoggiò per la realizzazione del film, si mise a cercarne un altro: «Lui mi disse: ‘È lo script migliore che abbia mai letto, non so dove troverò i soldi, ma lo faremo’». Alla fine, il film ha visto la luce e ha lasciato un segno indelebile nel cinema europeo e non solo, grazie a un remake cinese.
Per il suo ultimo lavoro Berger ha voluto osare ancora di più, approdando in un territorio inesplorato: l'animazione. Il mio amico Robot è un film muto basato sull’omonima graphic novel, una storia toccante sull’amicizia e la solitudine. «Non avrei mai pensato di fare un film animato – ha confessato – ma il finale della graphic novel mi ha commosso così tanto che ho deciso di farlo». La lavorazione è stata lunga e complessa, durata ben cinque anni. Berger ha spiegato come l’animazione, a differenza del live action, permetta di riflettere più a lungo su ogni dettaglio. «Ogni frame è un sogno del regista» ha detto, sottolineando l’importanza della collaborazione con gli animatori per ottenere la giusta espressività nei personaggi.
Insomma, se c’è un filo conduttore nella filmografia di Berger, è la sua profonda passione per il cinema. «Sono un cinefilo prima ancora che un regista» ha dichiarato. Nei suoi film ci sono citazioni e omaggi ai suoi maestri, da Bergman a Spielberg. Proprio con Spielberg ha avuto un incontro speciale agli Oscar, che ha descritto come uno dei momenti più emozionanti della sua carriera. E il futuro? Per ora, Berger non ha fretta di scegliere il suo prossimo progetto. «Ogni film potrebbe essere l’ultimo, quindi devo essere sicuro che valga la pena dedicargli anni della mia vita».
Una cosa è certa: qualunque sarà la sua prossima opera, sarà qualcosa di sorprendente.
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