Asiamedia

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Hana-bi

Kitano disegna una sorta di carta geografica del dolore, colto nelle sue diverse manifestazioni: solitudine, lutto, rimorso, paura di morire. Tutto questo non impedisce tuttavia ad Hana-Bi di rimanere un "film d'azione", nel senso letterale del termine.

Della violenza, del sentimento

Un profilo di Takeshi Kitano. Un profilo del regista più noto del recente cinema giapponese. Note sulla crescita professionale e sulla particolare mistura multimediale del fenomeno Kitano.

L'estate di Kikujirō - Kikujirō no natsu

L'estate di Kikujirō è un film che fa ridere, ma con elementi di un pessimismo atroce, tipicamente kitaniani. Niente di nuovo, per chi ha ascoltato le voci che, quasi unanimemente, hanno accostato il film alle opere di Chaplin.

Conversazione con Takeshi Kitano, Venezia 1997

Conversazione con Kitano Takeshi, Venezia 1997. Intervista con l'autore vincitore del Leone d'Oro per il film Hana-Bi.

Brother (II)

È a questo punto che il pessimismo atroce di Kitano si celebra: come in tutti gli altri suoi film di mafia e non soltanto, a dir la verita il desiderio si scontra con l'ordine delle cose, e ciò che ne salta fuori è soltanto sconfitta e rovina letale.

Cinema cubista per pupazzi umani

Forse Dolls va "letto" al contrario. Le immagini, i simboli, le storie sono talmente evidenti da suggerire, per reazione, triple e quadruple letture, che a loro volta finiscono per coincidere in quella stessa evidenza immediata. Qui si fa violenza al cuore stesso dell'estetica, si dice morte al culmine della vita. E tutto questo è bellissimo e doloroso. Bello come i fiori di ciliegio che cadranno fra un istante, proprio in quell'attimo in cui avranno dato il meglio di sé. Come il mare vuoto, limite che si può solo costeggiare. Come le foglie rosse d'acero d'autunno, la sontuosa cerimonia funebre della natura. Come la neve, il nulla gelido che fa uguale ogni cosa.

Lo spazio vuoto e l'arte di vedere

Un "fare cinema" rinnovato quello del Kitano di Sonatine, in grado di accogliere la sfida di un "dire non più normative", del continuare a essere nel mondo nonostante questo continui inesorabilmente a svuotarsi di segni riconoscibili. Il vedere ritorna a essere un lavoro e, di conseguenza, cifra di una deterritorializzazione della percezione. Sonatine offre l'immagine di un mondo renitente all'immagine, che rifiuta (quasi) l'essere detto dalle immagini, occultandosi quindi dietro l'icastica (e ironica) evidenza del cinema (inteso come immagine del rapporto tra il lavoro del dispositivo di riproduzione e i materiali delle realtà).

Fratello Yakuza da un altro pianeta

Brother, stando a quanto ha raccontato Kitano, sarebbe la riscrittura metaforica di una pagina cruciale della storia giapponese: Yamamoto è il nome dell'ammiraglio che pianificò l'attacco a Pearl Harbour. Anche il protagonista del film si chiama Yamamoto: confrontandosi per la prima volta con un territorio non giapponese, Kitano sembra sentire il bisogno di rimarcare il discorso nazionalistico, l'attenzione agli elementi della tradizione, il riferimento a una cultura e modi d'essere autoctoni. Yamamoto è anche la quintessenza degli eroi kitaniani, protagonista di un percorso narrativo e tematico che il regista non si stanca di declinare: ognuno si porta dentro un destino già segnato, che ha bisogno di un intero film per giungere a compimento. Per quanto possano entrare nel gioco Storia e società, la solitudine umana si mantiene perfettamente invulnerabile.

Guardare altrove - incontro con Naomi Kawase, Locarno, 2000

Kawase Naomi ci conduce per mano in un viaggio attraverso la forma e il senso del suo film forse più suggestivo, Hotaru (Lucciole, 2000), fino al cuore del suo cinema. Un cinema che nasce dall'urgenza del dolore e della sofferenza; un universo che attrae e inghiotte, ma solo per restituire la forza e l'energia necessarie per proseguire.

La poetica dell'intimo - IL CINEMA DI KAWASE NAOMI

Kawase Naomi, ovvero il cinema come assoluto bisogno di filmare, come atto che reintroduce alla vita. Dai filmati sperimentali in super8 ai più maturi Moe no Suzaku (Suzaku, 1997) e Hotaru (Lucciole, 2000), l'evoluzione di un linguaggio poetico che nasce dal pudore estremo con cui la mdp, mossa da un occhio mobile e inquieto, ritrae la vita.

L'immobile ritualità dell'esistere - Conversazione con Kawase Naomi, Taormina, 1997

Kawase Naomi e Moe no Suzaku (Suzaku, 1997), ovvero "creare finzione a partire da uno spazio reale", senza perdere il contatto con le cose vissute. "Faccio film su cose che sento vicine, che mi appartengono, su quella parte che manca nella mia vita". Naomi racconta il suo amore per un mondo che l'ha vista bambina, la realtà si tinge del colore del ricordo, l'intimità trabocca da ogni singola imagine, nel volto dei vecchi, nel fremito del bosco al passare del vento.

Kawase Naomi

...volevo lasciare un segno del mio passaggio, avrebbe potuto trattarsi di ...semplici fotografie, è stato solo un caso che io sia approdata al cinema... Per Kawase, una delle più interessanti figure del panorama cinematografico giapponese degli ultimi anni, la macchina da presa è prima di tutto uno strumento che consente di intervenire sulla realtà, di dare del mondo una nuova, seconda lettura.