Ci parli di lei: da dove proviene, cosa insegna a Ca’ Foscari, quali sono i suoi interessi e i suoi ambiti di Ricerca.
Mi chiamo Stefania Sbarra, sono nata a Thiene nel 1969 e insegno Letteratura tedesca. Mi interessano, della cultura tedesca, i momenti di svolta e di crisi che la letteratura recepisce e restituisce nelle sue narrazioni e nel suo immaginario. E di simili momenti, nei paesi di lingua tedesca, ce ne sono dal Settecento a oggi. Per questo studio Goethe, Kleist, Nietzsche, i romanzi dell'Ottocento, con qualche incursione nel Novecento e nel cinema.
Qual è stato il suo percorso accademico?
Ho studiato a Ca' Foscari quando vi insegnava Giuliano Baioni, il più grande tra i germanisti italiani. Avevo preso questa decisione dopo che il mio insegnante di tedesco del liceo mi aveva prestato uno dei suoi libri su Kafka: "Romanzo e parabola". Mi sono laureata con lui su Goethe, e quando poi ho frequentato il dottorato in germanistica di Pisa, ho continuato a lavorare con lui. Sono stata per otto anni ricercatrice a Ferrara, poi mi sono trasferita a Venezia nell'anno in cui è nato mio figlio.
Quali sono i suoi modelli / punti di riferimento professionali?
Come dicevo, Giuliano Baioni, ma anche Luciano Zagari, che insegnava all'Università di Pisa: due germanisti dalla penna molto diversa, ma intellettualmente generosi, e straordinari nella lettura del testo letterario.
Ha sempre pensato che questa fosse la sua strada?
Che studiare e insegnare fosse la mia strada, sì, l'ho sempre pensato, almeno dagli anni del liceo. Che avrei potuto farlo a livello universitario l'ho capito soltanto mentre scrivevo la tesi di laurea, e coltivavo il piacere di leggere, di senti nascere un'idea e di scrivere.
Qual è l'aspetto che più l’appassiona del suo ambito di ricerca?
L'incommensurabile della pagina letteraria, che solo là dove è grande, non esaurisce mai le frontiere della sua lettura. E la possibilità di un accesso, nello studio della letteratura tedesca, ad una vita di scorta, fuori dai confini nazionali. Ho sempre avvertito come mediamente gli italiani - e non solo loro - guardino alla Germania, un paese geograficamente vicinissimo, attraverso il filtro di stereotipi che offuscano lo sguardo e impediscono la conoscenza di aspetti inattesi o addirittura sorprendenti della società tedesca contemporanea.
Cosa significa, per lei, insegnare e fare ricerca?
Ogni anno, quando comincia un corso nuovo ed entro in aula, è sempre come se fosse la prima volta, in termini di emozioni. Mi piace guardare il volto degli studenti che ancora non conosco, e sono felice di trovarmi in aula, perché sento che mi trovo nel posto giusto per me. La mia prima ambizione è che anche gli studenti, fin dalle prime lezioni, si sentano al posto giusto. Via via che il tempo passa, provo una crescente gratitudine per la vita che mi ha concesso di lavorare con i giovani e di parlare con loro di letteratura. Anche quello che studio lo affronto in modo tale che una donna o un uomo di vent'anni possano riconoscervi parole che li riguardano. Insegnare a leggere in profondità la pagina letteraria nella sua lingua originale: questo per me è un momento di felicità.
Le soddisfazioni professionali più grandi?
Ce ne sono state, ma per pudore non amo nominarle pubblicamente. Da quando ho letto Nietzsche, la categoria del successo mi appare sospetta, e oggi è pervasiva. Posso però dire che le mie più grandi soddisfazioni hanno sempre preso le mosse da un'idea che ha acceso lo sguardo del mio interlocutore.
L’ambito di cui si è sempre voluto/a occupare ma che non ha ancora avuto occasione di esplorare?
Questa per me è una domanda davvero intima: non posso rispondere!
Cosa dice ai giovani che cominciano il loro percorso universitario?
Direi loro innanzi tutto una banalità, che però non dovrebbe essere tale, ovvero che devono seguire le loro passioni intellettuali, e le devono coltivare. E che se non ne hanno, si devono chiedere il perché. E direi loro anche di rispettare l'istituzione universitaria, di conoscerla da vicino e frequentarne gli spazi, e questo innanzitutto per avere rispetto di se stessi e della scelta che hanno fatto. E, infine, di partire sempre, in senso proprio e in senso lato: uscire di casa, sempre, sapendo che anche concentrarsi nella lettura di un grande libro o di una grande poesia è il primo e miglior modo per farlo.
E a quelli che si avvicinano alla ricerca oggi?
La ricerca è una forma di libertà, un'avventura intellettuale che non finisce mai, che richiede entusiasmo e perseveranza: sembra paradossale, ma è per questo che non è sempre facile.
Perché Ca’ Foscari e Venezia?
La germanistica italiana qui è nata, con Ladislao Mittner.
Come capire l’Europa di oggi?
Credo che per capire l'Europa di oggi, la Germania vada vista da vicino, dal suo interno. Certo, non solo la Germania: ma è un ottimo inizio. Credo anche che intraprendere un viaggio in un paese di cui non si conosce - almeno per sommi capi - la letteratura, equivalga a entrare in un museo con una benda sugli occhi.