Ca’ Foscari ‘firma’ la più antica missione archeologica italiana in Asia

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Swat, Barikot, Ottobre 2019: lo scavo al tempio vishnuita del VII-X secolo (periodo dei regni Turki Shahi e Hindu Shahi) in cima all’acropoli dell’antica città

La più antica missione archeologica italiana in Asia al di fuori del Vicino Oriente, porta ora la firma dell’Università Ca’ Foscari Venezia insieme a quella di ISMEO – Associazione Internazionale di Studi per il Mediterraneo e l’Oriente.

Si tratta della Missione italiana nel Pakistan settentrionale, antico Gandhara, fondata da Giuseppe Tucci nel 1955 nella valle dello Swat. Dal 2011 il direttore dei lavori è Luca Maria Olivieri, docente di archeologia e culture del Gandhara a Ca’ Foscari, che tra i numerosi premi e riconoscimenti ha ritirato il 12 settembre 2020 il Premio Internazionale di Archeologia “Zeus” di Ugento per la sezione ‘Missione all’estero’, organizzato dal Comune di Ugento in collaborazione con la rivista Archeologia Viva e altri importanti enti e istituzioni.

Da agosto 2020 la Missione è a tutti gli effetti co-gestita da ISMEO e Ca’ Foscari, nel quadro di un accordo condiviso con i governi italiano e pakistano. La Missione quindi fa ora parte della “task force” degli archeologi di Ca’ Foscari, il CeSAV (Centro Studi di Archeologia Venezia).  

La Missione italiana in Pakistan vanta 65 anni di attività archeologica nello Swat. Tra le sue attività ricordiamo l’importante progetto di restauro e documentazione, condotto con l’Università di Padova, per il restauro delle sculture buddhiste su roccia di Jahanabad (il Buddha colossale e un bodhisattva) danneggiate dai talebani durante il periodo di insurrezione (2007-2009).

Nello scorso decennio ha ultimato, nell’ambito del progetto “Archaeological Map of the Swat Valley”, lo studio della regione di Bir-kot-ghwandai, con ricognizione delle valli di Karakar, Kandak e Kotah. Sono stati individuati centinaia di nuovi siti archeologici, quasi tutti insediamenti buddhistici (III-V secolo d.C.), e nella media valle di Kandak e nel territorio di Talang, presso Kotah, alcuni nuovi siti e ripari dipinti, confermando l’importanza dell’area geografica per la conoscenza dell’arte pittorica rupestre dello Swat.

Un recente sviluppo dell’attività della Missione è lo studio – pubblicato su Science - della genomica e della bio-archeologia in collaborazione con la Harvard Medical School e il Max Planck Institute. Grazie allo studio, lo Swat con i suoi dati registrati sul genoma umano, è tra le aree del mondo antico meglio studiate dal punto di vista del DNA.

Dal 2011 al 2016 la Missione ha anche diretto lo “Archaeology Community Tourism”-Field School Project in Swat (ACT), progetto bilaterale italo-pakistano finanziato dal Pakistan-Italian Debt Swap Agreement (circa 2,5 milioni di euro) che, tra i vari eccellenti risultati nel campo della formazione archeologica e della conservazione, ha annoverato la ricostruzione dello Swat Museum distrutto da un attentato nel 2008 e riaperto nel 2013, e i restauri del sito buddhista di Saidu Sharif I e - come anticipato - del colossale rilievo rupestre del Buddha di Jahanabad, danneggiati durante l’insorgenza talebana.

Il principale sito di scavi della Missione a Barikot, la città di Bazira di Alessandro Magno, ha recentemente visto un forte intervento finanziario del governo provinciale pakistano, che ha acquisito la superficie su cui sorgeva l’antica città come patrimonio protetto per le generazioni future. Il governo provinciale dopo la chiusura del progetto ACT ha speso circa 3 milioni di euro per le acquisizioni dei terreni archeologici dello Swat valorizzati dal progetto, inclusi i siti di Jahanabad e di Barikot. Per quest’ultimo sono stati destinati circa 1.5 milioni di euro.

Tra i progetti della Missione già in corso con Ca’ Foscari, vanno ricordati il progetto “Ellenismo e India. Tecnologie della pietra e dei cantieri nel Gandhara: Saidu Sharif I” diretto da Luca M. Olivieri (che inizierà questo autunno) e il gruppo di studio “Lo Swat di Alessandro: toponomastica, archeologia e testi” con Claudia Antonetti (Dipartimento di Studi Umanistici) e studiosi di vari atenei in Italia e all’estero. Infine partirà un importante progetto sul paleoclima dello Swat in età tardo-antica (sul problema della cosiddetta LALIA o Late Ancient Little Ice Age) “Climate, Agriculture and Cultural Crisis in Ancient Hindukush” con Carlo Barbante e Dario Battistel (Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica), in collaborazione con Nicola Di Cosmo (Princeton University).

Sui punti principali della cooperazione tra Italia e Pakistan per la Missione Archeologica nello Swat, in particolare per un nuovo progetto “Heritage Field School” (HFS) promosso dalla Missione, abbiamo intervistato la dott.ssa Emanuela Benini, direttrice Ufficio A.I.C.S. (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) in Pakistan.


Si sta delineando un importante progetto di aiuto e cooperazione con il governo pakistano che si avvarrà anche dell'esperienza lunga oltre 60 anni della missione archeologica italiana in Pakistan. Qual è stata la genesi di questa iniziativa?

L’appoggio alle missioni archeologiche da parte della Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, d’intesa con l’allora MIBAC, era già appannaggio della Cooperazione Tecnica (legge 1972) che ne è la protostoria. Ne è scaturito, con la legge 49/87 e ora con la 125/2014, il settore prioritario del Patrimonio Culturale, volto a fornire ai paesi un quadro tecnico-scientifico e istituzionale organico, con la creazione di veri e propri dipartimenti statali, e un lavoro di filiera di alta qualità dallo scavo all’intero spettro professionale coinvolto fino ai vertici istituzionali. Una delle caratteristiche della Cooperazione Italiana nello sviluppo del Patrimonio Tangibile e Intangibile è anche la partecipazione comunitaria e quindi lo sviluppo sociale dove, attraverso il turismo, le comunità limitrofe dei siti ne diventano custodi morali e professionali. L’approccio di filiera permette una ownership locale a tutto tondo e - con immodestia – un’eleganza e una cura del restauro, della musealità e della comunicazione che completano l’approccio italiano. Il Progetto ACT che ha dato vita al Programma a credito d’aiuto Heritage Field Schools ne è la prova.

Quale sarà il ruolo della missione - ora sotto la direzione oltre che di ISMEO anche dell'Università Ca' Foscari e del prof. Luca Maria Olivieri - in relazione al progetto? Quale il contributo dell'ateneo nelle varie attività da svolgere?

Il Programma HFS sarà coordinato da parte italiana dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, ISMEO assicurerà l’inquadramento scientifico e il Prof. Luca M. Olivieri quale Direttore ne coordinerà e supervisionerà tutti gli aspetti, creando una fattiva cinghia di trasmissione tra la Missione archeologica e i laboratori di restauro, oggetto primario del Progetto HFS. Il nostro ufficio di Islamabad avrà un Coordinatore del Settore Culturale che ne seguirà da vicino gli sviluppi e i legami con altri settori. Sarà un lavoro di squadra come lo è stato da un anno a questa parte, nella fase preparatoria. E come lo è da decenni, anche grazie al menzionato Programma di Conversione del Debito, il crogiuolo dell’innovazione, che ha promosso e finanziato l’ACT - Field School (ACT) Project e quindi l’odierno Museo della Missione.
Per tornare al Programma HFS, abbiamo anche parlato, a Ca’ Foscari, il 18 dicembre scorso, delle attività che potranno corredare i laboratori di restauro per un’assistenza tecnica museale più completa e di filiera, in campi dove l’Università possiede altre eccellenze (ci si potrà avvalere anche di eccellenze italiane di altri territori e ambiti, articolate da Ca’ Foscari).
Aggiungo che uno dei risultati della Missione nello Swat è la sensibilità e fierezza dei ragazzi delle scuole per la multiculturalità geostorica del loro territorio e, per noi della Cooperazione allo Sviluppo, l’indicatore primo di successo dei progetti è appunto il radicamento proattivo dei giovani nel loro territorio, poiché per noi sono protagonisti, non soggetti di cooperazione. La partecipazione dei giovani e l’autosviluppo delle comunità remote, cui essi partecipano, sono infatti le chiavi di volta della nostra cooperazione in Pakistan.

Quali sono gli obiettivi che si prefigge di raggiungere il programma nella cooperazione tra i due stati e come, in questo contesto, la missione può fare da snodo e da propulsore soprattutto nel campo dell'attuazione di attività di formazione?

Infatti, il Programma HFS si prefigge di dotare di laboratori di restauro i maggiori musei (Peshawar, il museo dello Swat e quelli di Taxila e Chitral, tutti luoghi pivot della storia e della cultura del paese) della provincia del Khyber-Pakhtunkhwa. Una componente sarà gestita con l’assistenza tecnica del Comando Tutela del Patrimonio Culturale dei nostri Carabinieri per la formazione del personale specializzato locale sul controllo dei traffici illeciti dei beni archeologici. Ciò dimostra il profondo consenso tra i due paesi e le loro articolazioni territoriali. La formazione alla replica dei reperti destinati alla vendita potrebbe diventarne il corollario, creando reddito diretto agli artigiani. Ciò che può scaturire dal Programma, grazie al pluridecennale dinamismo quieto della Missione è, con questa nuova squadra, la creazione di un vero e proprio settore del Patrimonio Culturale a favore della provincia del Khyber-Pakhtunkhwa e per il Pakistan, con proposta e promozione ampia delle formazioni necessarie tra esse complementari e il loro riconoscimento certificato, in un quadro istituzionale – e anche privato - definito. La messa a punto di Linee Guida tematiche, tra altri sforzi, potrà essere promossa dal nostro Ufficio con la Missione e tramite il Programma HFS.

Si dà il caso che in questi mesi il Patrimonio Culturale, settore prioritario in Italia, sta ricevendo in Pakistan, finalmente, un’attenzione degna di nota e ci possiamo domandare quanto il lavoro instancabile della Missione non sia estraneo a tutto questo.
Il nostro ufficio AICS appoggia comunque la nostra fama di primi al mondo in campo culturale.
Al punto che, da un lato, altre province pakistane desiderano finanziare la partecipazione dei propri specialisti alle formazioni del programma HFS o ospitare esperti a loro spese. E ho già indicato l’importanza di lavorare insieme al Museo di Lahore (fondato e gestito da Kipling padre) quando già per il Museo di Peshawar, molto simile, si prospetta il finanziamento esterno di eccellenze italiane. D’altro canto, quando nella provincia del KP è stato comunicato il prossimo avvio del Programma, tutti i distretti non dotati dei musei contemplati, hanno espresso il loro entusiasmo e il desiderio di avere anche loro un Museo, con laboratorio.

Catalizzare, presso comunità territoriali consapevoli, spazi pubblici vocati a raccogliere e diffondere cultura tangibile e intangibile che “spazi” dall’ambiente all’artigianato, dal cibo alle biblioteche, è uno degli scopi del nostro ufficio di cooperazione, all’ascolto dei desideri espressi dalle comunità e sulla base di un forte lavoro di squadra tra chi lavora nella stessa direzione.

Vorrei infatti concludere col desiderio che abbiamo, come Ufficio di Cooperazione, di mettere a punto una piattaforma PIN, il “Pakistan Italy Network” dove attori dei due paesi si raccordano in campo agroindustriale, ambientale, culturale, e le vicende convergenti dei due paesi diventano visibili. Il Patrimonio Culturale vi avrà un forte richiamo anche perché lavoreremo, insieme a ISMEO-Ca’ Foscari, sulla comunicazione. PIN dovrà anche promuovere un nesso tra ricerca, formazione e lavoro dignitoso.

Creeremo anche, con un altro Programma di cooperazione, i luoghi dell’OliviCultura (altra filiera, ma dalla bacca alla bocca) dal profondo significato storico e culturale, anche perché gli ulivi più antichi dovrebbero nascondersi in Pakistan. Un simbolo forte, l’ulivo (e l’olio), non per nulla ho sentito dire che Giuseppe Tucci piantasse ulivi appena si fermava su un sito archeologico (come anima e frutto per la gente?). Ma il suo testimone è anche passato a Olivieri, una stessa energia e professionalità: entrambi guardano oltre, nel mio ufficio, da patinate gigantografie vintage.

Entrambi hanno creato e sorretto il miracolo della continuità della Missione e ora dell’ampliamento del suo messaggio ad altre aree territoriali. Infatti, la Missione è la matrice del Programma.

Il sogno è di riuscire, con il Programma e questo lavoro di squadra e tramite il PIN, sulla base di un organico settore del Patrimonio Culturale pakistano, a vedere studenti pakistani scegliere come orientamento formativo il settore culturale (in Italia, anche per la valorizzazione del patrimonio pakistano) e studenti italiani venire a studiare in Pakistan. E abbiamo oggi in prospettiva la ripresa del Turismo, che abbiamo il tempo di preparare, perché diventi Responsabile e Sostenibile.

È un grande laboratorio che si è aperto in Pakistan sul settore culturale, e l’intento è di renderlo sia fattivo e ispirante, quanto armonico. Le premesse ci sono.

Federica SCOTELLARO