Diritto alla Salute riproduttiva: quando lo Stato è contro le donne

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Photo by Priscilla Du Preez on Unsplash

Elisaveta è stata ferita gravemente e ha visto morire il figlio pugnalato dal padre violento. Le autorità italiane, che avevano risposto in ritardo e in modo non efficace alle segnalazioni della donna, furono ritenute nel 2017 responsabili di violazione del diritto alla vita, del diritto al rispetto della vita privata e famigliare e del principio di non-discriminazione dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo. Alyne da Silva aveva 28 anni quando morì a causa di complicazioni derivanti dalla gravidanza dopo che una struttura privata e una pubblica dello stato di Rio de Janeiro le rifiutarono adeguate cure. Il Comitato ONU contro la discriminazione nei confronti delle donne ha sostenuto che gli Stati, e tra questi il Brasile, hanno l’obbligo di ridurre la mortalità legata al parto, rafforzando il riconoscimento del diritto alla salute riproduttiva.

I loro casi, insieme ad altri 68 casi tratti dalla quasi-giurisprudenza internazionale e dalla giurisprudenza regionale e nazionale sono stati esaminati dalla giurista Sara De Vido nel suo ultimo lavoro scientifico Violence against women's health in international law - pubblicato da Manchester University Press, nella prestigiosa Melland Schill Series. Usando il paradigma di Ippocrate applicato al diritto internazionale, la docente cafoscarina elabora una nozione di violenza contro la salute delle donne che, rispetto alla nozione di “Violenza contro le donne” si caratterizza per un approccio all’autonomia riproduttiva basato sui diritti umani fondamentali e unisce due dimensioni della violenza: quella interpersonale (vedi Elisaveta) e quella che si produce tramite politiche sanitarie in tema di aborto, contraccezione, sterilizzazione forzata e maternità che causano o creano le condizioni della violenza.

Un approccio innovativo, radicato nello studio rigoroso del diritto internazionale, con particolare attenzione per gli obblighi in capo agli Stati, che ha una sua immediata rilevanza in questi tempi di pandemia. 

Esempi di quella che nel libro viene definita violenza contro la salute delle donne sono emersi in tempo di Covid-19, quando gli stati hanno scelto di limitare l’accesso ai servizi legati alla salute riproduttiva, come accaduto in alcuni stati americani, tra cui Ohio e Texas, che hanno considerato l’aborto come pratica opzionale, quindi sospendibile in tempi di emergenza. O quando le politiche per la salute riproduttiva vengono formalmente definite a vantaggio della salute delle donne, ma in realtà minano i loro diritti umani fondamentali. In Italia ha recentemente fatto scalpore il caso dell'Umbria, che ha vietato l’aborto farmacologico in day hospital (prassi per altro in vigore anche in altre regioni).

Nell’analisi del tema, “ho esplorato un cambio di prospettiva”, afferma De Vido, “ho proposto una rilettura del diritto che ci permetta di guardare in modo nuovo agli obblighi in capo agli stati nelle due dimensioni della violenza individuate nel libro, sottolineando quali siano gli obblighi di risultato, di dovuta diligenza e di realizzazione progressiva che possono essere identificati alla luce della prassi e del diritto vigente. Il diritto internazionale, dal canto suo, emerge nella prognosi al contempo come causa della violenza e come cura, perché la struttura di un diritto che è causa di violenza in quanto riproduce schemi di oppressione e dominazione, come affermato da note femministe internazionaliste, è allo stesso tempo la fonte cui attingere per scardinare quegli stessi schemi di discriminazione perpetuati nella società internazionale”. 

Perché si è concentrata sulle donne? 

Perché sono colpite in maniera sproporzionata dalla violenza, soprattutto interpersonale, ma anche statale. Il soffitto di cristallo è difficile da infrangere, lo stato come le organizzazioni internazionali sono rappresentati per la maggior parte da uomini e gli esempi sono eclatanti. Pensiamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: su 15 membri, solo 3 sono donne. 

Dal punto di vista medico, il corpo femminile è stato percepito in diversi modi nel tempo. Fino al 1800, i medici vedevano le donne come una versione "minore" del maschio. Il corpo maschile era la "norma", e gli eventi fisiologici nelle donne erano spesso visti come una fonte di debolezza.  La condizione di "isteria" attribuita alle donne, emersa nel XIX° secolo, è una chiaro esempio del modo in cui le malattie clinicamente definite e documentate sono incorporate nelle condizioni sociali, politiche e storiche. Questa situazione ha dei chiari riflessi nel diritto internazionale dei diritti umani. l diritto alla salute riproduttiva, per esempio, è stato riconosciuto come diritto umano fondamentale negli anni ’90”.

L’intero libro si sviluppa secondo i punti fondamentali del paradigma di Ippocrate: anamnesi, diagnosi, trattamento e prognosi. Ci spiega questa scelta?

“L’utilizzo del paradigma di Ippocrate non è nuovo ad ambiti non medici. Ho scelto di applicarlo alla mia analisi giuridica dopo aver parlato con una cara amica filosofa e averlo studiato a lungo. L’anamnesi è diventata l’analisi dei casi giuridici, la diagnosi è la nuova nozione “Violenza sulla salute delle donne”.  Il trattamento è l’analisi di come si può agire. La prognosi è una previsione dell’evoluzione del fenomeno, dove il diritto è causa e cura allo stesso tempo”. 

Quali cambiamenti sul piano internazionale e regionale possono essere suggeriti per garantire equità nell’accesso ai servizi alla salute riproduttiva? 

Adottare norme che criminalizzino forme violenza di genere contro le donne, quali lo stupro, seguendo gli elementi che si sono affermati sul piano internazionale, quali la mancanza di consenso. Il dibattito presente in alcuni paesi, anche in Europa (vedi in Spagna con il movimento yo sì te creo), dimostra la necessità di rivedere norme penali che richiedono, ad esempio, la dimostrazione dell’uso della forza. Servono norme che criminalizzino lo stupro all’interno della relazione matrimoniale, non previste in paesi come Ghana, India, Indonesia, Jordan, Lesotho, Nigeria, Oman, Singapore, Sri Lanka e Tanzania. In quattro di questi lo stupro all’interno del matrimonio è legale, anche quando la moglie non ha nemmeno raggiunto l’età minima consentita per sposarsi. Dall’altro lato serve la decriminalizzazione, ad esempio, dell’aborto. In El Salvador, si può essere condannate al carcere, anche per aborto spontaneo. 

E’ necessario poi che gli stati garantiscano un accesso pronto ed efficace ai servizi di salute riproduttiva, che sia non discriminatorio, facendo attenzione all’intersezionalità delle ragioni della discriminazione (genere, etnia, nazionalità, religione, …). Più in generale, è necessario sradicare gli stereotipi che sono presenti nelle società, andando ad incidere sulla matrice culturale della violenza”. 

Maggiori informazioni sul contenuto del libro

Federica SCOTELLARO