Italia e Repubblica Ceca: dalle mascherine al ruolo di politica e stampa

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A partire dal 20 marzo alcuni organi di informazione italiani denunciarono quello che è sembrato uno sgarro tra Paesi dell’Unione (successivamente risolto), commesso dalle autorità della Repubblica Ceca ai danni dell’Italia: un sequestro di mascherine e respiratori che la Cina inviava al nostro Paese nel pieno dell’emergenza coronavirus.

Come riporta questo articolo di La Repubblica del 21 marzo, la denuncia partì dalla pagina Facebook di Lukáš Lev Červinka, dottorando presso il Dipartimento di Diritto costituzionale e Scienze dello Stato della Facoltà di Legge dell’Università Carlo di Praga in co-tutela presso il Dipartimento di Economia - Dottorato in Diritto, Mercato e Persona - dell’Università Ca’ Foscari.

Il titolo del suo progetto di Ricerca è Partiti anti-establishment: una minaccia per la democrazia o una speranza per un suo nuovo equilibrio? ed è dedicato alla natura del pensiero anti-establishment nella politica italiana e ceca. Prima sentire la sua versione sul caso delle mascherine, ci siamo fatti spiegare meglio il cuore della sua ricerca, particolarmente attuale in un momento storico che vede la deriva nazionalista come uno degli scenari possibili dell’Europa post-pandemia.

“Il fenomeno dei Partiti anti-establishment è dominante nelle società democratiche contemporanee, e rimane però in parte all’ombra del populismo, con cui viene spesso identificato. In breve, per quanto entrambi i fenomeni si collochino nella comprensione della società come suddivisa in una élite di potere che governa e una massa governata, il populismo si definisce attraverso il suo appello alle masse mentre il pensiero anti-establishment è in opposizione alle élite al potere. I movimenti anti-establishment possono essere a loro volta sia elitari che populisti, così come i movimenti populisti possono appellarsi alle masse rispetto il mantenimento del potere da parte delle élite.

Proprio questa caratteristica del pensiero anti-establishment nella politica, ovvero il tentativo di cambiare l’establishment, è fondamentale per il presupposto che i partiti che muovono da tale corrente di pensiero siano più inclini alle modifiche della trasposizione della volontà del popolo nel processo legislativo, quindi nel fondamento stesso degli strumenti democratici del potere in sé. L’Italia e la Repubblica Ceca sono dei casi ideali quindi per l’indagine della crescita e dell’azione dei partiti anti-establishment nella democrazia. A permettere il lavoro comparativo sono da un lato la somiglianza strutturale del sistema costituzionale e la crescita di partiti anti-establishment al parlamento, e al governo in entrami i paesi, e dall’altro il fatto di avere una diversa storia ed esperienza della democrazia.

Dopo aver studiato giurisprudenza all’Università Carlo di Praga, dove ho ottenuto la laurea e il corrispettivo di un master di primo livello, mi sono dedicato al diritto costituzionale e in particolare ai gruppi dei parlamentari, ho deciso di proseguire gli studi indagando la democrazia come sistema politico, ma non dal punto di vista puramente costituzionalista. La volontà della co-tutela è nata dalla necessità di combinare diverse modalità di lavoro per poter realizzare uno studio multidisciplinare. Ca’ Foscari, consigliatami da più parti, si è rivelata quello che cercavo. E’ una università che sostiene attivamente l’interdisciplinarietà e i progetti di ricerca internazionali e credo di poter dire che è aperta a sguardi e indagini poco tradizionali sui fenomeni.

Accanto allo studio della democrazia dal punto di vista giuridico - politologico, mi dedico all’ermeneutica nel diritto, potrei dire che questo è il mio hobby, e anche per questo entrambe le università sono ideali. L’Università Carlo vanta una forte tradizione della teoria dell’interpretazione giuridica, che mi permette di sviluppare la parte legale dell’ermeneutica, mentre Ca’ Foscari è famosa per l’area linguistica, che aiutano a svilupparne la parte linguistica. Nella pratica, questi due aspetti si possono combinare per esempio nella forma del seminario sul linguaggio giuridico che sto preparando con la prof. ssa D’Amico, docente di Lingua e letteratura ceca del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati di Ca’ Foscari (che ringrazio anche per questa traduzione).

Ci racconta la sua versione dei fatti nel caso delle masherine e quale è stato il suo ruolo nella denuncia?

Devo confessare che il ruolo che mi è stato dato dai media e anche da molte persone è surreale e la realtà dei fatti è ben più banale. L’unica cosa che ho fatto è stata quella di andare a cercare come apparissero i pacchi di aiuti della Cina per l’Italia dopo aver visto delle immagini durante un servizio televisivo su un sequestro di materiale sanitario nella città ceca di Lovosice. Questo perché mi è apparso strano che ci fossero sulle scatole le bandiere della Cina e dell’Italia e la scritta “Siamo con voi. Forza Italia!”. E ho scoperto che quelle scatole apparivano uguali a quelle inviate dalla Cina all’Italia con gli aiuti umanitari. Inizialmente mi aspettavo che il governo ceco ne parlasse, ma dopo tre giorni di silenzio ho deciso di manifestare i miei dubbi sulla mia pagina Facebook. Da lì la cosa è stata ripresa dai media e dai giornalisti. Il merito del fatto che si è potuto verificare l’accaduto e il materiale per l’Italia sia stato poi inviato è dei giornalisti, che hanno deciso di informare la pubblica opinione sul fatto.

Democrazia, cittadinanza attiva, valori dell'UE e rapporti diplomatici tra i Paesi membri...Che cosa viene intaccato (o stimolato) da episodi di questo genere?

L’intera storia dimostra innanzitutto il ruolo fondamentale che i media e il lavoro giornalistico giocano nella democrazia. Sono convinto che i cechi non siano un popolo indifferente alla sofferenza altrui. In passato questo è stato più volte dimostrato e quando necessario, i cechi hanno dato il loro aiuto. Ad esempio, negli anni ’90 sono stati accolti numerosi rifugiati dai conflitti nella ex Jugoslavia o ancora molte organizzazioni non profit si sono attivare per aiutare la ricostruzione di Notre Dame dopo l’incendio che l’ha colpita.

D’altra parte però, i cechi oggi sono tra coloro che hanno rifiutato di aiutare gli italiani nella lotta al coronavirus. Allo stesso modo si sono rifiutati di aiutare l’Italia, la Spagna o la Grecia con i migranti e i richiedenti asilo che raggiungono le loro coste. Potrebbe così sembrare che la solidarietà dei cechi si stia riducendo o che sia condizionata da qualcosa.

La verità, però, è che in questi casi i media e i giornalisti hanno giocato un ruolo fondamentale nell’influenzare l’umore della società e la posizione finale del paese.
Rispetto questa crisi, da gennaio i cechi sono bombardati quotidianamente con notizie provenienti da diversi paesi sul numero dei contagiati e dei morti, o sul collasso del sistema sanitario o ancora sulla carenza di cibo e di come questo possa raggiungere anche la Repubblica Ceca. I media hanno sostenuto, sfortunatamente, una visione catastrofica della situazione diffondendo la paura nella società, paura che si è trasformata nel comprare cibo a lunga scadenza, mascherine e medicinali prima ancora che risultasse un contagio in Repubblica Ceca.

Dal momento in cui il coronavirus è apparso in Italia, i media hanno prodotto una narrazione di caos e rovina, che affligge l’Italia e danneggia anche i cechi. Come spesso tristemente accade, i politici hanno assecondato tutto questo, cercando di indicare gli errori fatti dall’Italia o avanzando interpretazioni errate della situazione all’estero, coprendo i propri errori e impreparazione.

La questione delle mascherine è nata in questa costellazione sociale. Dobbiamo riconoscere che tutti i paesi avrebbero difficoltà a difendersi da una tale pressione mediatica e sbandamento della propria classe politica. Se ci guardiamo dentro, vediamo che ogni paese ha almeno un momento in cui ha ceduto alla pressione dei media e delle classi politiche.

Un altro elemento, anche questo non così positivo, che questa storia ha rivelato è la chiusura del giornalismo, nelle differenti lingue e negli interessi nazionali, anche all’interno dell’Unione europea. Vediamo che spesso i giornalisti si occupano solo della loro regione o paese e si rifanno a notizie apparse sui giornali locali o le agenzie d’informazione per quanto riguarda l’estero. Dopo aver ripreso la notizia, spesso giungono a conclusioni senza avere conoscenza della situazione o della lingua in cui l’informazione è stata data, come è successo con molti giornali e siti che hanno ripreso l’articolo de La Repubblica sulle mascherine in Repubblica Ceca. Anche la scoperta che molti giornalisti, così come i media da cui dipendono, utilizzino il traduttore di google per tradurre un articolo in lingua straniera, mi ha alquanto scioccato. Non riesco a immaginarmi di utilizzarlo per un articolo per un lavoro scientifico o addirittura citarne un brano così tradotto. Una scoperta spiacevole, soprattutto in relazione alla capacità, di cui sopra ho parlato, di formare una posizione in merito a livello nazionale è stata anche l’istinto di alcuni giornalisti di difendere l’orgoglio nazionale o gli interessi nazionali a prescindere dalla verità o dalla correttezza. Di conseguenza, mi domando come dei media, che si basano su tutto questo, possano aiutare a costruire una società democratica giusta e assistere le persone nel controllo del potere della classe politica e non solo.

La crisi del coronavirus ha dimostrato in modo chiaro le insufficienze dell’Unione europea così com’è adesso, e soprattutto che nessuna struttura istituzionale è in grado di cancellare il dato concreto di codipendenza dei singoli paesi, delle loro élite e ovviamente anche dei media. Sfortunatamente è un fenomeno che si ripresenta ogni volta che l’Unione europea deve fronteggiare come un insieme coeso una difficoltà maggiore”.


Federica SCOTELLARO