L'Accademia Svedese premia Massimo Ciaravolo

condividi
Massimo Ciaravolo

L’Accademia Svedese ha deciso di attribuire a Massimo Ciaravolo il Premio dell’Accademia Svedese per l’introduzione della cultura svedese all’estero per l’anno 2023. Il Premio gli sarà attribuito il prossimo 20 dicembre. L’ammontare del premio è di 80.000 corone svedesi.

L'Accademia dei Nobel per la letteratura gli riconosce un ruolo di spicco nell'introduzione della cultura e della letteratura di questo paese all’estero attraverso il suo lavoro di ricerca e di insegnamento presso il nostro ateneo.

Massimo Ciaravolo, nato nel 1964 e residente a Milano e a Venezia, è autore, curatore e traduttore. Lavora come professore associato di lingue e letterature scandinave all’Università Ca’ Foscari Venezia dal 2017.

Ciaravolo ha tradotto tra l’altro Katarina Frostenson, Tua Forsström, Ulf Peter Hallberg, Hjalmar Söderberg e August Strindberg. Tra le sue opere si possono nominare Den insiktsfulle läsaren. Några drag i Hjalmar Söderbergs litteraturkritik (1994: Il lettore acuto. Aspetti della critica letteraria di Hjalmar Söderberg) e En ungdomsvän från Sverige. Om mottagandet av Hjalmar Söderbergs verk i Finland 1895–1920 (2000: Un amico di gioventù dalla Svezia. Sulla ricezione dell’opera di Hjalmar Söderberg in Finlandia dal 1895 al 1920). Il suo ultimo libro Libertà – gabbie – vie d’uscita (2022), pubblicato da Edizioni Ca' Foscari sia in edizione a stampa che open access (scaricabile qui), raccoglie studi sulla modernità in Henrik Ibsen, Herman Bang, August Strindberg, Sigbjørn Obstfelder e Sophus Claussen.

Ciaravolo è inoltre curatore e coautore di Storia delle letterature scandinave (Iperborea, Milano 2019) e ha scritto sulle figure letterarie del flâneur del vagabondo, sulla letteratura operaia svedese e su quella della migrazione e della postmigrazione.

In occasione del premio, gli abbiamo rivolto questa intervista.

Questo riconoscimento prestigioso premia la diffusione della cultura svedese all'estero. Come è nato il suo interesse per la lingua svedese e come si è sviluppato nel tempo fino a farla diventare apprezzato docente e noto traduttore di autori svedesi?

Negli anni Settanta, alle scuole medie, mi innamorai dello studio della lingua inglese e sviluppai la passione al liceo linguistico, allargandola al tedesco. Al liceo scoprii anche il piacere della letteratura, allora soprattutto inglese e tedesca. Già alle medie mi piaceva la geografia, e ricordo la ricerca sulla Svezia e il suo welfare state. Ora può sembrare strano, ma Olof Palme e la socialdemocrazia – come visione di una realtà sociale e politica diversa dalla nostra – mi affascinavano già allora e devo dire che non ho cambiato idea. La svolta avvenne al mio primo anno di università a Milano, a Lingue nel 1984. Si poteva studiare svedese e la scelsi come terza lingua. Che poi al secondo anno diventò la prima, per le proteste di mia madre. L’amore è fatto di sensi, e il suono, la materialità della lingua svedese mi colpiscono al cuore, ora come allora. Da lì tutto è partito: viaggi, corsi di lingua, borse di studio, tesi, traduzioni, ricerca e insegnamento. 

Quanto è conosciuta oggi la cultura svedese in Italia e quali sono i suoi aspetti di modernità? Quali sono i tratti ancora ignoti?

Nel campo letterario si sono fatti passi da gigante dagli anni Ottanta. In quel decennio, a Milano, cominciava a operare la casa editrice Iperborea, che poi ha fatto da traino per editori grandi, medi e piccoli, i quali hanno offerto in traduzione uno spettro sempre più ampio e diversificato di generi, voci e tendenze. Un aspetto di modernità è la capacità di affrontare temi forti e attuali che sono universali (il rapporto con l’ambiente e il non-umano, le dinamiche di coppia e familiari, l’universo infantile, la riflessione stessa sullo stato sociale, le odierne migrazioni, per fare alcuni esempi) ma anche fortemente radicati in un dato paesaggio, un dato clima e una data tradizione culturale e spirituale: una fiducia nel racconto e nella ricerca di senso attraverso la parola, nonostante tutto. 

La svedesità diffusa nella nostra cultura è veicolata naturalmente non solo, e forse non principalmente, dalla letteratura. Quasi tutti noi italiani compriamo mobili e arredi in noti negozi dove la rappresentazione della Svezia è diventata un brand. Ciò che cerco di insegnare ai miei studenti sono i presupposti culturali di quel tipo di abitare, a partire dal funkis (il funzionalismo) degli anni Trenta e da un sostrato contadino e luterano ancora precedente.

Ci sono autori contemporanei svedesi che magari sono ancora poco conosciuti in Italia e che varrebbe la pena di scoprire? Magari ci può dare un consiglio per un originale regalo sotto l'albero? 

Propongo tre scrittrici viventi. Il romanzo di Sara Stridsberg La gravità dell’amore (Mondadori) ha nell’originale un altro titolo, il nome del maggiore ospedale psichiatrico di Stoccolma, Beckomberga, chiuso nel 1995. Il sottotitolo recita: “Un’ode alla mia famiglia”. È un racconto con una base autobiografica su una famiglia disfunzionale, ma anche sulla famiglia allargata che la bambina protagonista trova a Beckomberga facendo visita al padre e, per metonimia, sulla famiglia intesa come “casa per tutto il popolo” (anche il popolo in sofferenza psichica) che voleva essere l’utopia del welfare state svedese. Il romanzo di Kerstin Ekman Essere lupo (Iperborea) racconta la storia di un ex cacciatore e ispettore forestale in pensione, il cui incontro con un lupo fa scattare qualcosa di diverso, cambiando la prospettiva sul rapporto tra l’uomo e l’animale, tradizionalmente basato sul dominio. Elisabeth Åsbrink non scrive romanzi ma saggi di alta qualità letteraria. Il suo Made in Sweden (Iperborea), in originale “Le parole che hanno fatto la Svezia”, è ormai libro di testo per i miei studenti: brevi capitoli su parole, date e personaggi chiave che formano oggi la “svedesità”, compreso, ovviamente, il fondatore della nota industria di arredamenti.

Non vedo l’ora che esca della Åsbrink, sempre per Iperborea, il libro sulla scrittrice Victoria Benedictsson, contemporanea di August Strindberg ma ancora sconosciuta in Italia: un piccolo grande classico che andrebbe scoperto e di cui spero che il nuovo libro di Åsbrink incoraggerà la traduzione.

A che punto è l'insegnamento della lingua svedese in Italia e a Ca’ Foscari in particolare?

Tra le lingue scandinave, svedese è la più diffusa, presente nelle sei sedi dove esistono gli studi scandinavi (in ordine di nascita: Roma, Napoli, Firenze, Milano, Genova, Venezia). A Ca’ Foscari, dopo avere rilevato il gran lavoro di fondazione svolto dal collega Massimiliano Bampi dal 2006 al 2018, Sara Culeddu e io abbiamo ampliato l’offerta formativa sia al corso di laurea triennale Lingue, civiltà e scienze del linguaggio, sia a livello magistrale, dove siamo presenti in tre corsi di laurea (Lingue e letterature europee, americane e postcoloniali, Scienze del linguaggio ed Environmental Humanities). La nostra “CEL” di lingua svedese dott.ssa Annette Blomqvist, è una colonna e punto di riferimento per le quattro classi (tre alla Triennale e uno alla Magistrale). Abbiamo ogni anno un buon numero di studenti; diversi di questi si sono già laureati alla Magistrale e si sono affermati nel lavoro. Vorremmo tanto diventare una sede universitaria di studi scandinavi dove si possano studiare più lingue, perché tra me e le mie colleghe (oltre a Sara Culeddu, anche Martina Ceolin di Filologia Germanica) non mancano le conoscenze di danese, norvegese e islandese. Il tempo ci dirà se questo progetto potrà realizzarsi.

Federica Ferrarin