Bernardine Evaristo porta a Venezia lo schiavismo rovesciato e le sue donne

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Doris è una schiava bianca, esile, dagli occhi azzurri e lunghi capelli biondi, strappata da bambina alle campagne inglesi e venduta ai ricchissimi proprietari neri di una piantagione. Radici bionde racconta la sua ricerca di libertà in un mondo dominato da violenza e oppressione. Un romanzo distopico che racconta lo schiavismo con i colori capovolti, che sconvolge il nostro immaginario e paradossalmente lo rinforza.

Il tour italiano di Bernardine Evaristo ha toccato Venezia. Ospite di Ca’ Foscari per un appuntamento di Writers in conversation, la kermesse satellite di Incroci di civiltà, l'autrice ha conversato con Shaul Bassi nell’auditorium a Santa Margherita gremito di gente.

Cosa prova quando un libro prende una seconda vita in un’altra lingua?

Radici bionde è un libro datato, che racconta di un mondo alla rovescia in cui i Nehri schiavizzano i Bianki (nella traduzione di Martina Testa della casa editrice Sur, si storpiano volutamente i due termini, come nella versione originale). Sono curiosa di scoprire cosa ne pensa la gente qui in Italia. È sempre una storia al femminile in cui ho voluto sovvertire l'idea dello schiavismo.
Dal 2019 sono stata tradotta in 66 lingue ed è bello sapere che posso essere letta da molte più persone nelle lingue madri, nel loro Paese. Per Radici Bionde è quasi un sogno che diventa realtà, anche dopo tanti anni.

Curiosando nell’officina della scrittrice: come ha costruito il libro? Aveva già tutto in mente o si è configurato man mano?

Ero consapevole che era un tema che stavo trattando in modo del tutto nuovo. Sapevo già di voler affrontare tanti aspetti su cui far riflettere: la religione, il matrimonio, le abitazioni, il fisico, i capelli. (In questo mondo distorto ci sono anche parrucchieri bianki, costretti ad acconciare i loro capelli come i capelli afro con pettini sottili.) L’obiettivo era raccontare un percorso -accidentato- verso la libertà. Lo schiavista è un capo africano e nel libro dedico una sezione a lui (e al suo punto di vista) nel quale racconta i motivi per cui ritiene lo schiavismo giusto e moralmente accettabile, anzi quasi salvifico. E non ho inventato nulla, mi sono basata su documenti e testimonianze rintracciate negli archivi dell’Università di Londra degli schiavisti del XVIII sec.

Devo ammettere - afferma Bassi - che ho fatto fatica a immaginare Doris bianca, tanto vivido è l’immaginario legato allo schiavismo e all’oppressione nei confronti dei neri. Ma con questo ribaltamento non rischia di essere criticata, invece, per cadere in un altro facile stereotipo: ‘i neri violenti’?

Diciamo che quando si legge il libro si capisce che sto raccontando la storia come è andata veramente, solo con i personaggi al contrario. Noi inglesi abbiamo alle spalle 200 anni di storia di schiavismo e i lettori hanno ben compreso il racconto capovolto. Solo una volta ad una presentazione un uomo nero mi ha detto: “Ha portato via la nostra storia e l’ha data ai bianchi!”. Io allora gli ho chiesto: “Ha letto il libro?” e lui, candidamente: “No.”

 

Nel 2019 Evaristo con Ragazza, donna, altro ha vinto il Booker Prize, ex aequo con Margaret Atwood, prima donna nera a ricevere il più prestigioso riconoscimento letterario inglese. E da allora ha avuto un successo strepitoso, un vero e proprio fenomeno mondiale, ha scatenato emozioni profondissime e ha conquistato lettrici  e lettori.

 

La domanda più banale di tutte: si aspettava tutto ciò?

Naturalmente non mi aspettavo tutto questo successo. È il mio ottavo libro, ci ho messo 6 anni a scriverlo, ho iniziato nel 2014. Nel frattempo sono nati e si sono sviluppati due movimenti: il #MeToo e il Black Lives Matter e ho capito che  la coscienza del pubblico poteva cambiare e le nostre società potevano essere risvegliate. Grazie a questi due movimenti le donne nere hanno cominciato ad essere visibili e interessanti. Fino ad allora non avevamo importanza sufficiente ed è per questo che ho voluto inserire tutti questi personaggi. Volevo che tutte noi avessimo un ruolo nella letteratura e nella cultura. C’è da dire anche che ho ultimato il libro in un momento in cui i social media avevano un impatto positivo e globale: grazie a Twitter si sono aperte conversazioni a livello mondiale, ci si scambiava pareri e si creavano legami fra donne nere.
Ma il viaggio verso il Booker Prize credo sia stato determinante per questo successo esplosivo: si è cominciato a parlare di donne e donne nere, ha spalancato le porte a tutti gli argomenti trattati nel libro. 

Ritorniamo a curiosare nell’officina della scrittrice: le 12 protagoniste c’erano tutte sin dal principio con i loro rapporti e relazioni? Ha fatto del fieldwork per osservare i diversi luoghi e contesti che sa raccontare con acume e precisione?

C’è stato uno sviluppo organico del libro, volevo parlare di tante storie: un migliaio inizialmente, poi un centinaio, poi ho pensato fosse ridicolo. Sono arrivata a scrivere di 12 personaggi. Non ho iniziato con una lista. Il primo personaggio che ha preso forma è stato Carole, poi sua madre Bummi, in seguito LaTisha. Ma non potevo iniziare con Carole e il suo trauma, temevo desse un tono sbagliato al libro, che non è e non vuole essere un libro di vittime. Il primo tono è determinante e volevo si capisse sin da subito che il libro parla di tanti temi: famiglia, relazioni, razzismo, sesso, gender. Ho deciso di iniziare con Amma, anziana, queer, legata al mondo dell’arte e del teatro ed è un personaggio nuovo, perfetto per iniziare. Sono cresciuta in una famiglia di 4 fratelli e 3 sorelle e solo quando avevo 19 anni ho cominciato ad avvicinarmi al mondo delle donne nere perché vivevo in quartiere di bianchi. Ho cominciato a fare teatro con persone che provenivano dai Caraibi, ho 4 amiche grazie a cui ho cominciato a capire la sorellanza tra donne nere. Ho anche cercato di fare molta ricerca per portare autenticità. Ho incontrato molte donne, capitane d’azienda, donne del mondo dell’arte, insegnanti e ho fatto molte ricerche per conoscere meglio il mondo agricolo dell'Inghilterra settentrionale. Ho studiato molto per la protagonista non binaria perché non sapevo quale fosse la sensazione di non sentirsi appartenente ad alcun genere. Questo libro si basa sulle ricerche che ho condotto, sono un’ascoltatrice e un’attenta osservatrice del mondo che mi circonda ed è stato essenziale per costruire la mia fiction. Amma si rifà un po’ a me da giovane. Penelope si ispira ad una persona reale che ho conosciuto, con cui lavoravo e non mi piaceva affatto, ho impiegato molto tempo a renderla simpatica e a togliere dal personaggio il mio giudizio, dandole umanità. Yazz è molto divertente: io non sono madre, conosco tante madri e figlie e ho fatto riferimento alle dinamiche che conosco per il suo personaggio. Ho 64 anni e ricordo bene il mio passaggio nei vari gruppi d’età; mi è stato molto utile per disegnare i miei personaggi.

Oltre ad essere una grande scrittrice lei  è anche un’attivista culturale straordinaria. Ha dei consigli da darci per renderci più consapevoli del nostro passato e della bellezza che la varietà e la diversità danno al nostro presente?

La consapevolezza è frutto di un lungo processo. Affrontare il nostro passato è una sfida necessaria, conoscerne soprattutto le zone d’ombra è fondamentale per essere consapevoli di ciò che è stato fatto. Il passato coloniale va preso in considerazione per capire gli effetti sul nostro presente. Negarlo non aiuta, dobbiamo essere consci della nostra storia e ricordarci come la storia viene raccontata a seconda di chi la interpreta. La storia è stata prevalentemente raccontata da uomini, dai colonizzatori bianchi. Quindi abbiamo perso il racconto delle donne, dei lavoratori e degli schiavi. Per capirne di più possiamo farci aiutare storici, geografi, sociologi. Nel mondo dell'arte e della cultura in generale molti si fanno carico di questa consapevolezza per esplorare e interpretare la nostra società. E tutti possono avere un ruolo per raccontare il passato: naturalmente gli esponenti del mondo accademico, ma anche chi si occupa di cinema, di radio, chi scrive canzoni e musica. Tutto quello che si può ancora fare per risvegliare l’attenzione verso il passato e attivare le coscienze è fondamentale.

 

Bernardine Evaristo è nata a Londra nel 1959 da madre inglese e padre nigeriano, quarta di otto figli. È autrice di romanzi, testi teatrali e critici, è una attivista da sempre impegnata in campagne per l’inclusione e la visibilità degli artisti neri. Ragazza, donna, altro è stato il primo libro di una donna nera ad arrivare in testa alla classifica della narrativa tascabile. 

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Sara Moscatelli