Partiamo da una tendenza: negli ultimi 15 anni la danza è una presenza in crescita nei principali musei di tutto il mondo e ha stimolato strategie curatoriali innovative e in molti casi ha portato all’attivazione di dipartimenti dedicati alla performance. Ma cosa sta cambiando e come grazie alla danza negli spazi museali ed espositivi?
Lo scopriremo con Dancing Museums. The Democracy of Beings, un progetto di ricerca finanziato da Creative Europe (2018-2021) che continua il lavoro da poco concluso con Dancing Museums. Old Masters, New Traces (2015-17), ma che per la prima volta coinvolge un’Università - Ca’ Foscari Venezia, con i dipartimenti di Filosofia e Beni Culturali e di Management - come polo di ricerca sul tema insieme alla Fondazione Fitzcarraldo.
Tra i partner figurano organizzazioni di danza (La Briqueterie, Dance4, Dansateliers Mercat de les Flors, Tanech Praha e il Comune di Bassano del Grappa) e musei (il MAC VAL Musée d’art contemporain, il Museo Civico Bassano del Grappa, il Museum Boijmans Van Beuningen, il Nottingham Contemporary e la Prague City Gallery) che ospiteranno sei artisti provenienti da paesi diversi e un ciclo di seminari e workshop. Gli artisti selezionati elaboreranno e sperimenteranno i loro progetti tramite un articolato sistema di residenze nei vari musei coinvolti. Un convegno internazionale a Ca’ Foscari nel 2021 concluderà questo percorso di ricerca facendo luce sui risultati ottenuti.
Dancing Museums, che per la parte cafoscarina è curato da Susanne Franco, nasce per esplorare nuove modalità di fruizione dell’arte attraverso la danza e la performance, oltre che nuovi approcci della museologia e del management delle arti alla partecipazione attiva di un pubblico sempre più vario e ampio. L’idea di base è che se l’arte va incontro al pubblico, il pubblico va incontro all’arte e ciò può avvenire solo se si rende fruibile il patrimonio culturale. Se fino a poco fa si puntava a far conoscere l’arte ora si cerca di far fare al visitatore un’esperienza diretta. In questo senso lo studio delle modalità di partecipazione del pubblico sollecitato dalla danza mira alla sperimentazione di nuove forme di democrazia e comunità.
Il progetto promuove una riflessione trasversale sugli spazi, sulla progettazione curatoriale e sulle risorse umane, con la formazione e il potenziamento di nuove figure professionali in grado di innescare percorsi innovativi e sostenibili, promuovere l’inclusione, l’incontro e la condivisione del sapere del patrimonio culturale.
Nello scenario dei ‘musei danzanti’ la danza non è solo rappresentata, ma spesso anche trasmessa ai visitatori che in questo modo si appropriano di un patrimonio coreutico incorporandolo. Spesso gli artisti invitati a creare delle opere coreografiche in spazi museali fanno in modo che lo spettatore assista anche al processo creativo, o al contrario presentano performance che possono continuare anche in assenza di pubblico, mettendo in discussione la necessità della sua presenza per l’esistenza stessa della rappresentazione. Il fatto che la danza e la performance siano eseguite sia nella forma “finita” sia sotto forma di processi creativi in atto fa dello spazio espositivo un luogo in cui il tempo della produzione, della presentazione e della fruizione si intrecciano, e di conseguenza le fasi di creazione, prove e restituzione al pubblico acquisiscono lo stesso valore.
Non da ultimo, i musei di nuova costruzione o restaurati di recente vengono sempre più spesso inaugurati con performance site specific di danza perché il visitatore possa fare esperienza dello spazio espositivo, prima ancora di essere abitato dalle opere d’arte.
Nel complesso questa transizione in atto della danza dalla Black Box, il modello spaziale più tradizionale per lo spettacolo teatrale in cui la rappresentazione ha una durata definita e segue precise convenzioni spazio-temporali, a quello del White Cube, il modello espositivo “neutro” in cui la disposizione spaziale e temporale è pensata per offrire un’esperienza che il visitatore sceglie autonomamente quanto far durare, sta generando nuove soluzioni creative e nuove proposte di fruizione dell’arte. Un primo segnale dell’intreccio tra i linguaggi dell’arte visiva e performativa è la proliferazione di nuovi generi come la “Mostra coreografica” o l’“Installazione coreografica”.
Ph. Matteo de Fina |copyright Palazzo Grassi
A Venezia la danza ha già fatto il suo ingresso nei musei nell’ambito di Dancing Museums. Susanne Franco ha curato, in collaborazione con Palazzo Grassi, una masterclass per danzatori, Transmitting Yvonne Rainer’s Trio A (1966), condotta dalla danzatrice e coreografa Sara Wookey, e la conferenza-performance aperta al pubblico On Transmitting Trio A (1966) by Yvonne Rainer. Le 15 danzatrici che hanno partecipato hanno imparato ed eseguito Trio A, che è una pietra miliare della post-modern dance americana, sia nell’atrio di Palazzo Grassi per il pubblico presente in visita, sia durante la serata in cui Sara Wookey ha presentato anche le sue variazioni da lei create a partire da questo pezzo. Trasmettere un’opera coreografica storica all’interno di uno spazio museale è funzionale a far passare l’idea che un patrimonio coreutico va preservato anche e soprattutto grazie alla sua incorporazione e alle inevitabili trasformazioni che questo processo comporta perché proprio nella sua attualizzazione acquista un senso per il pubblico di oggi.
Susanne Franco ha inoltre curato psalming di Filippo Michelangelo Ceredi con la collaborazione alla drammaturgia di Gaia Clotilde Chernetich, che è assegnista di ricerca per Dancing Museums presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali. Si tratta di una performance in dialogo con psalm/biblioteca dell’esilio di Edmund de Waal allestita presso l’Ateneo Veneto, un evento organizzato dal Center for the Humanities and Social Change di Ca’ Foscari. In questo caso si è trattato di una performance site specific per attivare l’installazione e guidare il pubblico in un percorso in cui movimenti dei performer facevano eco alla lettura dei testi e alla musica eseguita live da Merces Casali, per indagare le dinamiche del ricordo nelle esperienze dell’esilio.
Infine, ad agosto gli artisti in residenza nell’ambito di Dancing Museums trascorreranno un giorno a Venezia per immaginare e progettare forme di interazione con il turismo di massa in una città che andrebbe ripensata radicalmente come un museo a cielo aperto anche grazie al coinvolgimento di artisti che possono proporre percorsi coreografici per vedere e sentire la città e le sue opere d’arte da una prospettiva insolita.