Il 2018 conferma il trend innescato dalla crisi finanziaria: 75 nuovi casi di comuni italiani in difficoltà, con 45 procedure di riequilibrio e 30 dissesti. Lo stesso numero del 2017. Ad aggiornare i dati sulle crisi dei municipi che tanto hanno fatto discutere nelle ultime settimane arriva il “Rapporto Ca’ Foscari sui comuni” (da oggi su Amazon, nelle librerie dal 17 giugno, Castelvecchi Editore), un volume a cura di Marcello Degni, magistrato della Corte dei conti e docente all’Università Ca’ Foscari Venezia, contenente i risultati di un progetto di ricerca coordinato dal centro Governance & Social Innovation di Ca’ Foscari, diretto dal professor Stefano Campostrini, del Dipartimento di Economia. La ricerca è stata realizzata con il contributo incondizionato di Banca Farmafactoring.
A partire da un database costruito informatizzando tutta la documentazione relativa a dissesti e riequilibri messa a disposizione dal Ministero dell’Interno, i ricercatori di Ca' Foscari hanno elaborato tutti i dati e i documenti presentando, anche grazie a riflessioni e interventi di diversi studiosi nazionali, un’analisi approfondita dell’attuale situazione delle difficoltà finanziarie presenti in moltissimi comuni italiani.
Allarme confermato
La seconda edizione del Rapporto conferma l’allarme lanciato nelle precedenti fasi dello studio. Nell’ultimo quinquennio (2014-2018) sono ben 273 i comuni che hanno dichiarato difficoltà finanziarie tanto da avviare in 126 casi la procedura di dissesto - una media di 25 nuovi casi/anno rispetto ai 12 casi/anno del quinquennio precedente - e in 225 quella di pre-dissesto (riequilibrio): di questi ultimi ben 78 (35%) sono poi transitati al dissesto nel periodo considerato.
I comuni che hanno attualmente in corso una procedura, comprese quelle aperte prima del 2014, sono 379, al lordo dei (pochi) riequilibri chiusi e dei dissesti antecedenti il 2013 ancora aperti.
L’andamento dettato dalla crisi
“Il numero dei comuni che hanno attivato le procedure di dissesto e riequilibrio nel periodo 1989 – 2018 mostra con evidenza un andamento ad U - spiegano i ricercatori - L’impatto della grande crisi ha prodotto, dal 2008 in poi, la ripresa del fenomeno della criticità finanziaria che non accenna a scendere”.
L’articolazione regionale mostra una concentrazione territoriale del fenomeno. Se la media italiana è di circa il 10% di comuni che hanno visto nel periodo situazioni di criticità abbiamo regioni (soprattutto al Nord) che non ne hanno nessuno e casi come la Calabria, Campania e Sicilia, che ne hanno più di un terzo. L’andamento è crescente, in termini percentuali, al crescere della popolazione.
Crisi, tagli e governance da rivedere
“La crisi e riforme difficili da implementare hanno reso difficile la gestione dei municipi - commenta Marcello Degni, magistrato e docente a Ca’ Foscari - Autonomia di entrata, definizione dei livelli standard di spesa per l’erogazione di servizi relativi alle funzioni fondamentali (Livelli essenziali delle prestazioni, LEP) sono gli elementi cruciali per un efficace funzionamento del sistema di finanziamento degli enti locali. Ma sono anche fattori di grande criticità. LEP e fabbisogni standard, che dovrebbero consentire di valutare l’azione pubblica, sono ancora a uno stato embrionale. L’effetto dei tagli sul percorso di federalismo fiscale delineato dalla legge 42 del 2009 è stato devastante: gli istituti fondamentali di quel disegno ne escono svuotati o stravolti”.
“E’ necessario individuare nuovi modelli di governance del territorio, innovazione sociale e partecipazione, nella prospettiva della co-creazione - afferma Stefano Campostrini - Nei comuni le variabili in gioco sono tantissime, anche in piccole realtà, incommensurabilmente più numerose della più complessa realtà aziendale. Non è quindi imbrigliando la complessità che si può governarla, ma riconoscendola e trovando soluzioni necessariamente complesse per indirizzarla verso obiettivi comuni”.
Le soluzioni
Il Rapporto, partendo da riflessioni sia teoriche sia corroborate dai numeri, avanza anche alcune ipotesi su possibili soluzioni. Se i comuni non possono fallire, oltre che regolare gli squilibri finanziari è necessaria la creazione di presupposti per una governance equilibrata e virtuosa, che comprenda garanzia di autonomia impositiva, capacità di riscossione delle entrate e crescita delle competenze (sblocco del turn over, formazione permanente, rescaling dimensionale).
“Non si può pensare a procedure di risanamento dai contorni incerti e dall’orizzonte temporale indeterminato - scrivono gli studiosi -. Violare platealmente le norme costituzionali su equilibrio e copertura, scardinare il rapporto tra governanti e governati sulle politiche relative alle entrate (imposizione fiscale) e alle spese (politiche pubbliche), scaricare sulle generazioni future un onere pesante e ineludibile, come è accaduto in questi anni attraverso una legislazione rapsodica e asistematica, non è sostenibile. Si travolge, come recentemente ribadito dalla Corte Costituzionale, la funzione di bene pubblico del bilancio”.
“L’attuale quadro normativo che disciplina la criticità finanziaria (Titolo VIII del TUEL) è evidentemente inadeguato se ha prodotto “anomalie” per ben, in un decennio, il 10% dei comuni italiani - concludono - Una possibile proposta di riforma che, alla luce degli studi, il Rapporto delinea va in tre sensi: rafforzare le capacità dei comuni (con attività formative e di sostegno costante), modificare la disciplina del dissesto, favorendo meccanismi più efficaci/efficienti di controllo e risanamento, che assicurino, tra l’altro, tempi certi (per i debitori, gli amministratori e i cittadini) e terzo, a tale attività correttiva, affiancare un’attività di monitoraggio costante delle finanze dei comuni”.