Asiamedia

Zendan-e Zanam: La prigione delle donne

Iran

La stessa idea di partenza di Dâyere (Il cerchio) di Ja‘far Panâhi (la prigione come microcosmo della società e in particolare della condizione della donna), ma un modo diverso di rappresentarla. Ecco Zendân-e zanân (La prigione delle donne) di Manije Hekmat.

La prigione come microcosmo di un'intera società: l'idea che sta alla base dell'iraniano Zendan-e Zanam non è certo originalissima, ma l'intelligenza dell'esordiente Manijeh Hekmat sta nell'aggirare l'assunto sociologico per comporre un racconto dove alla dimostrazione di una tesi si preferisce la drammaticità del dato duro, reale, quasi irriducibile a una idea generale per la sua unicità e ricchezza di particolari.
 

Perché le donne del carcere di Tahereh sono tutte uguali e tutte diverse allo stesso tempo, costrette da qualcosa che è accaduto "prima" e "fuori" a condividere la loro vita entro lo spazio angusto di una cella. Costrette a dimenticare se stesse, la propria singolarità di donne e persone, benché sia proprio una forma di "eccezionalità" ad averne causato l'arresto. Così Mitra, condannata all'ergastolo per aver ucciso il marito, non vuole dimenticare ma, al contrario, si ostina a essere la donna feroce, determinata e ribelle che era prima di entrare in carcere, quella donna per cui le regole della società iraniana potevano essere spezzate anche attraverso la violenza. Nascono da qui gli scontri con la giovane direttrice del carcere, ma nasce da questa sensazione di aver intrapreso una lotta coraggiosa, benché sbagliata nella forma, anche quell'unico sguardo di comprensione che, alla fine, riescono a scambiarsi mentre Mitra riconquista la libertà.

Manijeh Hekmat lascia che la verità delle vite di queste donne emerga a poco a poco attraverso i riti quotidiani e il passare del tempo (ben 17 anni), usando il perimetro stretto del carcere come cassa di risonanza per un affresco della società iraniana contemporanea e, soprattutto, delle sue trasformazioni. Lo sguardo neutro, il ritmo pacato, la preferenza per il piano sequenza contribuiscono a scardinare la consequenzialità temporale, e nel momento in cui questa scelta crea qualche problema di comprensione allo spettatore, rivela anche tutta la sua efficacia rappresentativa. Perché è proprio nella decostruzione del tempo e nella sua rappresentazione immobile che la Hekmat trova il principio di ogni prigionia, reale e simbolica..

Luca Mosso