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This life of mine

Cina

Tratto dal romanzo di Lao She, il film racconta la storia della Cina dal 1911 alla vittoria comunista. È curioso un confronto con Flower Street, film coevo ma girato a Hong Kong. Entrambi condividono un'aspirazione irriducibile alla pace, segno di una cultura esausta da decenni di conflitti e carestie.

THIS LIFE OF MINE
Wo zhe yi beizi di Shi Hui

 

 

Cina, 1950, b/n
Con: Shi Hui, Wei Heiling, Li Wei, Cheng Zhi, Shen Yang
 

 

Shi Hui, regista e protagonista del film, è una delle figure più importanti e tragiche del cinema cinese. La sua carriera inizia come attore negli anni Quaranta con una serie di film che vengono censurati dai giapponesi. Nel corso degli anni Quaranta si dedica sempre più alla regia e alla sceneggiatura. Nato nel 1915, Shi Hui viene duramente attaccato durante la campagna anti-destra del 1957 e, lo stesso anno, si toglie la vita come segno di protesta.

Tratto dal romanzo di Lao She, il film racconta la storia della Cina dal 1911 alla vittoria comunista. Il periodo di governo del Guomindang è descritto con impietosa denuncia, mentre la fine, che appare un po' posticcia, è la celebrazione di rigore del partito comunista. Il quadro storico è pregno di ideali e di speranze di un popolo che si sente maltrattato e umiliato; la descrizione della vita quotidiana dei personaggi attinge invece dalla vena più realistica della recente tradizione romanzesca cinese, e di Lao She recupera l'interesse affettuoso per il popolo, per la vita delle strade e lo scorrere tumultuoso delle generazioni. La recitazione di Shi Hui, che ringiovanisce ed invecchia mirabilmente, è supportata da un ottimo cast di attori e caratteristi che rendono con dinamismo il brulichio degli hutong. A livello di regia però il film è legnoso e molto teatrale. I quadri sono sempre stretti, la prospettiva frontale, gli attori raccolti in un raggio ridotto, le scenografie povere e impressioniste, assenti o quasi i movimenti di macchina. Così tutto il film è eloquentemente in tensione tra due poli: il realismo della riproduzione della vita quotidiana e la parabola morale, il grido di denuncia contro le oppressioni e l'apologia semplicistica della rivoluzione comunista, l'immediatezza della recitazione e la artificiosità delle scenografie.

La pellicola si apre su un vecchio vagabondo (Shi Hui) che, in una notte di neve e tormenta, si accascia al suolo e rievoca la sua vita. Alla fine della dinastia Qing il protagonista diventa un poliziotto. Si assiste alla vita povera ma dignitosa della sua e delle altre famiglie che condividono la corte; l'uomo, assegnato a un ponte, regola affari di poco conto e dirime dispute nel vicinato. Ma è impotente, sotto ordini superiori, quando la situazione degenera, come durante ribellioni popolari o grandi movimenti politici. È costretto ad assistere, imbelle, all'uccisione del figlio del suo migliore amico da parte di un gruppo di ribelli.

Cambia spesso padrone: si succedono i mancesi, Yuan Shikai, i signori della guerra, i nazionalisti, i giapponesi. I poliziotti sono assoldati a proteggere i signori della guerra, devono trovare loro dell'oppio e chiudere gli occhi di fronte alle ovvie prevaricazioni che infliggono alla gente comune. Ma continuano a essere poliziotti per la misera paga che consente loro di mantenere la famiglia. Il protagonista è un personaggio ambiguo, ricco di contraddizioni. Ignorante, non comprende le istanze degli studenti o le parole quali "democrazia" e "comunismo" che legge sui giornali, ma non può non indignarsi di fronte alle patenti ingiustizie che il popolo soffre sotto ogni governo. Stringe amicizia con Shen Yuan, uno studente rivoluzionario costretto a darsi alla macchia. Pur senza avere chiare le motivazioni ideologiche che spingono il giovane alla lotta, il protagonista percepisce che la sua rivolta è giusta, e lo aiuta in più occasioni a fuggire alla polizia. Cresce anche due figli, rimane vedovo presto, marita la figlia e poi il figlio; quest'ultimo stringe amicizia con Shen, diventa comunista, rappresenta la nuova, vigorosa generazione che, ideologicamente preparata affronta i soprusi con la guerra che porterà fine a tutte le guerre. Il figlio è spinto a quest'atto di aperta ribellione ai voleri del padre (che comunque lo appoggia spiritualmente) perché i giapponesi hanno rapito la moglie per farne un membro delle "truppe di sostegno morale", ovvero donne che partivano al fronte come conforto per i soldati. Il figlio raggiunge la resistenza, il padre viene torturato dai nazionalisti. In prigione ritrova Shen poco prima che quest'ultimo venga fucilato. Allora tutta la rabbia di quest'uomo comune esplode, e grida dalle sbarre la sua rabbia per i soprusi continui e le angherie che ha dovuto subire per tutta la vita, pur continuando paradossalmente per tutta la vita a servire il popolo e il governo, che si dimostra irriconoscente e prevaricatore.

L'uomo, ultrasessantenne, è costretto a mendicare per i pochi anni che gli restano da vivere. Fino, appunto, alla serata che apre il film, in cui muore, ricordando la sua vita tumultuosa e tragica. Sul corpo del padre morente, cui sfuggono dalle mani la tazza e il bastone, come segno inconfondibile della sua morte, si incrocia con dissolvenza l'immagine del figlio accanto alla bandiera comunista; e poi dietro al figlio appare l'immagine della Cina tutta, finalmente riunita sotto l'egida comunista. Questa conclusione, a posteriori certo (ma Shi Hui venne già all'epoca fortemente criticato) non può non risultare amara e in qualche modo profetica: il grande tema del film è il ripetersi ciclico delle generazioni, e dei soprusi che debbono subire: è facile supporre che anche il nuovo governo non mancherà di causare dolore al popolo, in modi non ancora immaginati. D'altro canto, il film è anche un'apologia dello spirito cinese che, pur sopportando mille ingiustizie, riesce a non spezzarsi e a trovare nelle microcomunità familiari la forza per non cedere all'amarezza del destino.

È curioso un confronto con Flower Street, film coevo ma girato a Hong Kong. Entrambi condividono un'aspirazione irriducibile alla pace, segno di una cultura esausta da decenni di conflitti e carestie. Ampli affreschi storici entrambi, il film cinese è privo di orpelli, al limite del lamentoso e fatalista, teatrale e chiaramente schierato ideologicamente (anche se, si è detto, l'appello alla speranza finale suona posticcio), mentre il film di Hong Kong è più fluido e vago, meno pregno ideologicamente e più melodrammatico, più curato ed estetizzante, indicatore di una società che si costruirà sugli ideali della coesistenza pacifica in vista della prosperità economica.

Corrado Neri