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The white haired girl

Cina

È con questo film che si suole fare iniziare la storia del cinema della repubblica popolare cinese. Girato da Shui Hua, uno dei più prolifici autori cinesi dell'epoca comunista, il film si presenta come un'opera collettiva dell'istituto d'arte Lu Xun.

THE WHITE-HAIRED GIRL Baimao nü

Wang Bin, Shui Hua
Cina, 1950, b/n
Con: Tian Hua, Chen Qiang, Li Baiwan, Hu Peng

È con questo film che si suole fare iniziare la storia del cinema della repubblica popolare cinese. Girato da Shui Hua, uno dei più prolifici autori cinesi dell'epoca comunista, il film si presenta come un'opera collettiva dell'istituto d'arte Lu Xun; godette di ufficiali riconoscimenti e garantì la notorietà alla giovane attrice, Tian Hua, così come a Chen Qiang, la cui interpretazione nel ruolo del malvagio latifondista è entrata nella leggenda (un ruolo simile lo ebbe in Red Detachment of Woman).

Tratto da una pièce teatrale di Yan'an, il film determina il canone ideologico della cinematografia comunista; sono chiare le influenze dal realismo sovietico, così le eredità della tradizione cinese: i canti che interrompono la narrazione, il populismo, la moralità scultorea dei suoi protagonisti. I campi sono nettamente delimitati e non esistono sfumature possibili: i contadini sono nobili, generosi e forti, mentre i feudatari sono malvagi, tirannici e senza pietà.

Il film comincia con una rievocazione idilliaca della vita nei campi e della giovinezza. Cantando, la bella Xi'er e il promesso sposo Dachun mietono i campi in perfetta armonia con la famiglia e con la natura. Ripresi dal basso, in un bianco e nero scultoreo, i giovani corpi, benché castamente, sono statue di salute e vitalità. Ma il malvagio potente locale si è invaghito della bella Xi'er (che ha una straordinaria somiglianza con la giovane protagonista di Terra gialla, dir. Chen Kaige, 1985), e con un tranello costringe il padre a sigillare con l'impronta dell'indice l'atto di vendita della figlia; l'anziano, oberato dai debiti, non ha modo di difendere la propria famiglia. Mentre Xi'er, Dachun e gli altri membri della famiglia cenano nella stanza che dovrebbe ospitare i promessi sposi il giorno seguente, il vecchio in primo piano si sfrega impotente l'indice sul vestito per cancellare la macchia di inchiostro. L'uomo si toglie la vita la sera stessa, e il giorno seguente la ragazza viene portata nella dimora dei padroni. Qui subisce le peggiori angherie: la madre del tiranno la schiavizza, il feudatario abusa di lei sessualmente, è continuamente umiliata dagli esponenti di una classe ritratta come immorale, viscida, codarda, crudele, decadente. I corpi giovani al contrario si ergono in tutta la loro virile potenza, ritratti come le montagne, le acque del fiume, i campi di grano: essi esprimono orgoglio, forza, determinatezza. Già nel villaggio circola la voce dell'esistenza dell'armata rossa, che ha liberato dalla tirannia numerosi villaggi. Dachun, che i crudeli padroni hanno deciso di espellere, tenta di liberare la fidanzata, ma fallisce. Raggiunge così, grazie all'aiuto di gente del popolo di buona volontà, e attraversando spettacolari paesaggi montuosi, l'armata rossa: scala una montagna, sulla cui sommità si ergono due sentinelle nelle loro uniformi pulite, la stella rossa che brilla fiera sul loro cappello d'ordinanza. Dachun si arrampica, e due mani tese lo aiutano ad arrivare in cima alla montagna; i giovani si abbracciano, gli occhi scintillanti, e Dachun dice: "finalmente vi ho trovato" e la scena successiva lo mostra fiero nella sua uniforme, il fucile in mano. Nel frattempo la bella Xi'er è rimasta incita, e scopre grazie all'aiuto di una compaesana anche lei costretta a lavorare nella trista casa, che i padroni hanno deciso di venderla. Riesce a fuggire, e viene data per morta. In realtà vive, è determinata a vivere a tutti i costi (come sottolinea a più riprese nelle canzoni che intona, vento nei capelli, rocce oscure dietro di lei) per ottenere un giorno la sua vendetta. Ha abortito, vive delle offerte che i fedeli lasciano in un tempio; i suoi capelli sono completamente bianchi. La popolazione la crede un'immortale, e girano su di lei leggende fantastiche: è così anche, en passant, criticata la superstizione popolare. Il vero spirito è solo quello rivoluzionario! Scoppia la guerra sino giapponese, Dachun torna al villaggio per reclutare i contadini. Decide anche di scoprire la verità sull'immortale dai capelli bianchi. La segue fino alla grotta dove vive, ed in un momento di grande pathos i due amanti si riconoscono, la fanciulla sviene tra le braccia di lui. Nelle sequenze successive una folla giustamente furiosa circonda i malvagi proprietari terrieri (il rampollo della famiglia si è fatto crescere i baffi alla giapponese, ulteriore segno della sua malvagità), sinchè non arriva Xi'er stessa a puntare il dito (cantando) e ad accusare il criminale di gesta orribili.

La normalità è così ristabilita: la ragazza torna alla sua chioma corvina, e insieme a Dachun ara i campi fertili.

Film-manifesto, entrato nella mitologia del cinema cinese; ne esiste anche una versione balletto-rivoluzionario, The White-Haired Girl (dir. Sang Hu, 1972). È il film che più di tutti ha contribuito a dettare sullo schermo le regole imposte dal partito a Yan'an, e che graficamente stabilisce lo standard degli eroi rivoluzionari: al contrario delle rappresentazioni tradizionali dove l'eroe maschile è un debole letterato, e la fanciulla è virtuosa e paziente, e diverso anche rispetto ai film anni trenta, in cui le eroine svilupparono una personalità forte ed indipendente, ancorché fortemente seducente e femminile, ecco come l'archetipo dell'eroe rivoluzionario esprime una sensualità pura, raggiante, una forza di spirito ineguagliabile, una corporeità statuaria e lo sguardo deciso al futuro. Naturalmente, vengono abbandonati tutti i vezzi decadenti del cinema di Shanghai anni trenta, in cui i personaggi sperimentavano le affascinanti novità occidentali. Anche qui si tratta di prestiti (segnatamente dal realismo sovietico), ma nella sfera dell'idealizzazione della vita contadina. Corpi scolpiti nell'acciaio per coltivare con rispetto e nell'uguaglianza la terra degli antenati.

Corrado Neri