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Sonatine

Giappone

In Sonatine si ritrovano le due linee di fuga che Takeshi Kitano pare aver imboccato con le sue ultime opere, il coté comico-surreale proprio de L'estate di Kikujiro quanto quello malinconico di di Hana-Bi. Sonatine è il film in cui Kitano ritrova l'inquadratura fissa, frontale e senza alcuna ipotesi voyeuristica del film delle origini. Questa si pone come scena fondante, punto d'arrivo e di partenza del percorso di sottrazione intrapreso.

SONATINEdi Takeshi Kitano

Regia, Montaggio e Sceneggiatura: Kitano Takeshi. Fotografia: Yanagijima Katsumi. Musica: Hisaishi Jō. Costumi: Allen M. Kudō e Gotō Jun'ichi Interpreti: "Beat" Takeshi, Watanabe Testu, Katsumura Masanobu, Terajima Susumu, Ōsugi Ren. Produzione: Bandai bijuaru/Shōchiku. Origine: Giappone, 1993. Durata: 94 minuti.
 


Sonatine è un film del 1993; la sua re-visione, a qualche anno di distanza dall'uscita internazionale (in Italia il film fu ignorato dai distributori), può apparire illuminante. In esso si ritrovano le due linee di fuga che Takeshi Kitano pare aver imboccato con le sue ultime opere. Tanto il coté comico-surreale proprio de L'estate di Kikujiro quanto quello malinconico di Hana-Bi sono presenti in una forma ancora impura. La parabola successiva del regista consisterà proprio in un processo di purificazione del tema in favore ora dell'una ora dell'altra componente.

Lo yakuza Murakawa e il suo piccolo clan, costretti a rifugiarsi in una casa in riva al mare, sembrano vivere in una dimensione allucinata. Completamente ai margini della realtà sia per la "naiveté" sia per la violenza da cui sono animati, il loro modo di vita finisce per simboleggiare una condizione diffusa. Se i film di Kitano affascinano è, a nostro avviso, proprio in virtù di questa relazione tra intimo e epocale, tra coscienza del singolo e spirito del tempo. Che sia distaccato, cinico, profondamente umano, comico, grottesco, disperato Beat Takeshi mette in campo con le sue azioni una sfera più ampia di quella personale. In lui, nella sua paradossalità, nell'assenza assoluta di ogni relazione causa-effetto, lo spettatore, superato l'attimo iniziale di sbalordimento, ritrova una condizione dell'uomo moderno. Forse, per questo, tra i tanti autori nipponici contemporanei, Kitano – che non è il più complesso né il più geniale - è quello che meglio è stato recepito in Occidente. A differenza della nuova epica di Tsukamoto, della modernità di Takashi o della eccentricità di Kurosawa (Kiyoshi), Kitano riesce meglio di altri a parlare all'occidentale senza perdere la sua nipponicità. C'è nel suo modo di raccontare una sostanziale discontinuità che ricorda il montaggio delle figure che compongono i brevi e penetranti poemi haiku. Quasi ogni inquadratura di Sonatine costituisce, ad esempio, un'entità autonoma, senza alcun rapporto apparente con le inquadrature precedenti o successive. L'accostamento di questi sintagmi nel costruire un'unità di livello superiore lascia ampio spazio all'immaginario. Il raccordo di montaggio in Sonatine è allora un salto nel buio che lo spettatore affronta con trepidazione.

Sonatine è un film che descrive un percorso di deriva: non solo i personaggi si trovano costretti ad abbandonare la città d'origine e il proprio territorio d'azione fino a venir privati di ogni relazione con un tessuto urbano qualsiasi, ma anche la messa in scena risente di quest'evoluzione perdendo sempre più le proprie coordinate "sociali"o "realistiche", per avvicinarsi ad una visione che ha molto in comune con la chimica. Se l'incipit è attento nel riprodurre le inquadrature del film di yakuza, attento nel dare ai personaggi porzioni di spazi consone al loro potere, lo sviluppo del racconto distrugge questa geopolitica mettendo il boss, i suoi sicari, l'uomo e la donna in posizioni simmetriche e paritarie. Arrivando ad eliminare ogni impulso sentimentale o drammaturgico, Sonatine, con la sua nenia da carillon continua, descrive situazioni in cui il personaggio, il suo corpo e la sua psicologia, vengono trattati al pari di un paesaggio.

Sonatine è anche il film in cui Kitano ritrova l'inquadratura fissa, frontale e senza alcuna ipotesi voyeuristica del film delle origini. Questa si pone come scena fondante, punto d'arrivo e di partenza del percorso di sottrazione intrapreso. Essa è anche il territorio su cui imbastire un nuovo sistema di rapporti.

Carlo Chatrian