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Sinfonia per un "eroico" massacro – Windtalkers di John Woo

Hong Kong

Il cinema mitopoietico di John Woo. Alla ricerca ossessiva di una coerenza autoriale.

SINFONIA PER UN "EROICO" MASSACROWINDTALKERS DI JOHN WOO

Titolo originale: id. Regia: John Woo. Sceneggiatura: John Rice, Joe Batteer. Fotografia: Jeffrey L. Kimball. Montaggio: Jeff Gullo, Steven Kemper, Tom Rolf. Musica: James Horner. Scenografia: Holger Gross. Costumi: Nick Scarano. Interpreti: Nicolas Cage (il sergente Joe Enders), Adam Beach (il soldato Ben Yahzee), Christian Slater (il sergente Peter "Ox" Henderson), Peter Stormare (il sergente Eric "Gunny" Hjelmstad), Noah Emmerich (il caporale Charles "Chuck" Rogers), Mark Ruffalo (Pappas), Brian Van Holt (Harrigan), Martin Henderson (Nellie), Roger Willie (il soldato Charles Whitehorse), Frances O'- Connor (l'infermiera Rita Swelton), Jason Isaacs (il maggiore Mellitz), Billy Morts (il sergente Fortino), Cameron Thor (Mertens), Kevin Cooney (un medico), Holmes Osborne (il colonnello Hollings), Keith Campbell (Kittring), Clayton J. Barber (Hasby), Scott Atkinson (il sergente di Camp Tarawa). Produzione: Terence Chang, Tracie Graham, Alison R. Rosenzweig, John Woo per Lion Rock/Metro-Goldwyn- Mayer. Distribuzione: 01. Durata: 133'. Origine: Usa, 2002.

Secondo conflitto mondiale. Centinaia di indiani Navajo vengono reclutati tra i marine allo scopo di essere addestrati all'utilizzo di un codice militare segreto, basato sulla loro lingua madre e pertanto di impossibile decifrazione per i giapponesi: diventano così i "code talkers" (coloro che parlano in codice). Sul fronte di Saipan, il sergente Joe Enders rientra nei ranghi dopo una lunga convalescenza. Menomato nell'udito e tormentato dai sensi di colpa per aver sacrificato i suoi uomini durante una fase del conflitto, Enders viene incaricato di proteggere il soldato Navajo Ben Yahzee, col compito di difendere il codice anche a scapito della vita di chi lo custodisce: analogo, ingrato compito spetta al sergente Henderson con il soldato Whitehorse. Alle iniziali incomprensioni tra Enders e Yahzee fanno eco i battibecchi tra la truppa, sovente improntati a toni razzisti: ma allorché il Navajo dimostra il proprio coraggio sul campo, Enders inizia a instaurare un rapporto di stima e di rispetto con il commilitone. Avanzando in territorio nipponico, i marine si accampano in un villaggio dove vengono colti di sorpresa dall'esercito avversario: Henderson vi perde la vita, mentre Enders è costretto a uccidere Whitehorse per non farlo cadere in mano al nemico. Yahzee lo attacca furiosamente per il suo comportamento e inizia a temere per la propria vita, ma nel corso della battaglia successiva avrà modo di ricredersi.

Con Windtalkers John Woo presenta l'elaborazione figurativa e concettuale del proprio fare cinema più articolata realizzata fino a questo momento: a un livello ancor più teorico che in Mission Impossible 2, e non soltanto per la serietà dell'assunto rispetto ai toni da divertissement di quest'ultimo. E benché possa apparire paradossale che ciò avvenga in occasione della scelta di un genere cinematografico tanto codificato come quello bellico, la pellicola si configura come un'epitome stilistica e tematica della produzione del regista cantonese, come tenteremo di dimostrare nella seguente analisi dei tempi e dei modi dell'ultima prova del più celebrato autore vivente di action movies.

Il cinema di Woo (almeno nella sua forma più compiuta e "autoriale", ovvero da A Better Tomorrow in poi) esibisce un chiaro intento mitopoietico, che si potrebbe schematicamente riassumere come rappresentazione epica delle drammatiche vicissitudini di personaggi di statura eccezionale, impegnati in una faticosa rinascita interiore e sovente destinati a pagare con la vita la propria coerenza. In Windtalkers tale tematica viene condotta alle estreme possibilità concettuali fino ad attuarne il rovesciamento: così l'individualismo esasperato di The Killer cede il passo a un sincero patriottismo; i superpoliziotti di Hardboiled lasciano spazio a comuni militi disposti a offrire la vita sul campo di battaglia; agli artefici di un'impossibile ribellione etica subentrano, insomma, gli Eroi dell'ordinaria trincea. Con fare artistico non dissimile – i puristi ci perdonino il paragone – da quello dei poemi omerici, Woo elabora una mitopoiesi di dimensioni sconosciute nel panorama cinematografico contemporaneo, fondata su un principio elementare ma assoluto: il sacrificio degli Eroi assume pieno significato solamente grazie alla cronaca delle loro gesta realizzata attraverso il mezzo cinema.

Gli eroi non versano lacrime
A dispetto dell'apparente coralità, Windtalkers è imperniato sull'incontro/ scontro tra il sergente Enders e il soldato Yahzee, di cui la coppia Henderson/Whitehorse non è che un pallido riflesso. A tale proposito, in luogo di citare i titoli più celebri, ci piace ricordare quel Heroes Shed No Tears (1986) che, al di là della comune ambientazione bellica e a dispetto delle numerose diversità narrative e stilistiche (si tratta di un guerrilla movie incentrato sui temi della solidarietà e della vendetta, ancora acerbo nella realizzazione), contiene in nuce almeno due tematiche fondamentali sviluppate da Woo nella recente pellicola: l'amicizia in chiave interrazziale e la poetica dello sguardo. La reciproca stima tra Chan Chung e l'ex marine americano prefigura infatti la complessa relazione interpersonale tra Enders e Yahzee: ma se nella prova giovanile di Woo il rapporto tra il mercenario cinese e il suo commilitone durante la guerra del Vietnam si limita a riprodurre i luoghi comuni del cameratismo, quello tra i due protagonisti di Windtalkers è rappresentato nelle più sottili sfumature evolutive, dall'iniziale diffidenza fino alla conclusiva e in qualche modo trionfale simpatheia (precisamente nel senso terminologico di partecipazione emotiva). L'ambiguità morale alla base dell'interazione tra i due personaggi è anch'essa profondamente wooiana: Enders, incaricato di proteggere il codice ma non il codificatore, si sforza di non provare alcun sentimento nei confronti del suo ignaro protetto; e solamente nell'epilogo il loro contrasto si comporrà in una catartica armonia.

L'occhio come specchio dell'anima è inoltre presente in entrambi i film: ma se, in Heroes shed no tears, tale tema è poco più di un espediente narrativo culminante nella menomazione visiva di Chan da parte dell'ufficiale di frontiera, nella recente pellicola di Woo assume una netta rilevanza simbolica. Lo sguardo detta le coordinate dell'inquadratura, disegna le traiettorie delle pallottole, misura l'estensione delle deflagrazioni, ma soprattutto presiede alle diverse fasi relazionali tra i due protagonisti: le espressioni di Enders e Yahzee abbracciano un'intera gamma di sfumature psicologiche, dall'indifferenza all'astio fino a un'empatia tragicamente interrotta. Allo sguardo passionale e primitivo del navajo fa eco quello spento e talora delirante dell'italomericano, a testimonianza di differenti caratteri, vissuti, desideri: ma se Yahzee dimostra fin dall'inizio un trasporto emotivo nei confronti del commilitone, Enders è cinico, indifferente, tragicamente ripiegato sui propri drammi personali (i suoi uomini sono rimasti uccisi al fronte ed egli si fa carico di tale colpa). L'offuscata espressività di Enders testimonia la percezione ovattata di chi è schiavo di un'incipiente sordità, che si traduce metaforicamente nell'incomprensione e nel rifiuto del contatto umano. E la mdp di Woo vi si sofferma, indugia un attimo più del dovuto su quegli sguardi, come a rintracciarvi le pieghe dell'anima.

Soltanto attraverso un doloroso iter di rinascita interiore, che lo accomuna ai grandi personaggi di Woo, Enders sarà in grado di ovviare alla propria menomazione fisica e spirituale con la più alta delle prove: il sacrificio di sé, che si configura anche come riscatto per il tragico errore del passato. Per contro, la linearità del percorso emotivo di Yahzee segue uno schema sostanzialmente tripartito: tesi (stima/ammirazione), antitesi (avversione/incomprensione), sintesi (gratitudine/riconoscenza). Nella commovente sequenza della morte di Enders – non a caso giocata sull'alternanza di intensi primi piani –, l'ordito creato dagli sguardi dei due è finalmente dimentico dello iato antropologico, culturale ed esistenziale che li divideva, sicché i commilitoni si ritrovano congiunti in un unico afflato, espresso mediante le semplici parole pronunciate dal Navajo al figlioletto: "Ricordati di dire che era mio amico". La relazione tra i due protagonisti maschili del film si configura dunque come estrema evoluzione del tema dell'amicizia virile che è da sempre centrale nel cinema di Woo: come in The Killer o Hardboiled, l'altalenarsi di antagonismo e attrazione produce un'intesa basata su autentiche affinità elettive, spezzata da tragici eventi che finiscono tuttavia per sublimarla in un sentimento di natura superiore.

La relazione brevissima e pudica tra Enders e l'infermiera, unico personaggio femminile di rilievo, testimonianza eloquente dell'indifferenza di Woo nei confronti delle convenzioni cinematografiche contemporanee, se da un lato si collega nuovamente alla tradizione americana classica, dall'altro si riconduce al gusto mélo che domina il corpus wooiano. Come nell'età dell'oro del cinema hollywoodiano,

il rapporto uomo-donna è improntato ad un'assoluta castità: ma se in passato ciò era dovuto a mere convenzioni sociali, nelle pellicole di Woo è dettato da una poetica del pudore che nasconde sovente passioni forzatamente sopite. In tal modo la love story appena sfiorata tra Enders e l'infermiera appare strettamente imparentata con analoghe relazioni impossibili (il killer e la cantante di The Killer, il marinaio e la ragazza in Senza tregua, e via dicendo). Nell'universo dell'autore hongkonghese il mélo non è una scelta stilistica, è una categoria dell'anima.

Nel cinema di Woo la violenza si impone come unico artefice in grado di produrre mutamenti repentini in una società incancrenita dalla corruzione e dall'avidità, tale da gettare i personaggi del regista cantonese in balia di un'irresistibile forza centripeta verso il fulcro della propria autodistruzione. A Better Tomorrow, The Killer, Hardboiled esplicano mirabilmente tale concetto. In Windtalkers l'esercizio della violenza durante il conflitto bellico si configura come unica possibilità di sopravvivenza, in un contesto nel quale l'eliminazione del nemico non rientra più nelle coordinate etiche del concetto di omicidio. Gli antichi eroi di Woo, tesi sovente al riscatto di sé in spregio alla propria stessa esistenza, giungevano alla redenzione attraverso la violenza: un mezzo parossistico per purificarsi da una lunga connivenza con le ingiustizie e la sopraffazione. I soldati di Windtalkers realizzano la propria catarsi in un eroico bagno di sangue sul campo di battaglia, non prima però di aver compreso che il Nemico altro non è che un insieme composito di loro simili, trovatisi casualmente a indossare una divisa di diverso colore. Woo orchestra allo scopo una straordinaria sinfonia bellica che alterna, con innata capacità affabulatoria, il drammatico "allegro assai" delle sequenze di combattimento con il mesto "andante" dei momenti di cameratismo quotidiano, a comporre un inatteso, sublime epicedio.

Il (neo)classicismo di Windtalkers
Il linguaggio cinematografico di Woo ha acquisito una maestosità di messinscena che è forse il risultato più alto della raggiunta maturità artistica: pur non rinunciando alle ben note figure retoriche (il celebre Mexican stand off), il regista ha trasformato i suoi "balletti di piombo" in grandiosi movimenti orchestrali tesi a riprodurre, con impressionante realismo, la furia ipercinetica dei conflitti a fuoco, delle esplosioni, delle morti cruente. E, soprattutto, Windtalkers pare aver metabolizzato la classicità stessa del cinema americano: impossibilitato tuttavia a replicarne la compostezza in quanto legato a una concezione plastica del dinamismo cinematografico eminentemente contemporanea, l'atteggiamento registico di Woo, ben lungi dal configurarsi come sterile citazione, si impone come elaborazione complessa e personalissima della tradizione hollywoodiana, filtrata da una sensibilità affatto orientale e avvalorata da una profonda carica umana. Una delle peculiarità del film è proprio l'intensa umanità che lo pervade, a testimonianza della levatura morale che guida lo sguardo dietro la mdp: l'epos wooiano non si esprime mai nelle forme di retorica patriottica che connotano le recenti produzioni belliche statunitensi, bensì rispecchia i sentimenti dei propri tormentati Eroi innalzandoli su un piano superiore. La sapienza nella trattazione del materiale diegetico è tale che perfino il paesaggio, da un piano meramente figurativo, passa ad assumere un rilievo simbolico: un esempio eloquente è il magnifico incipit, con i suoi solenni movimenti di macchina lungo la Monument Valley, che si erge per l'appunto a monumento della nazione che ha partorito una stirpe di Eroi.

Marco Bertolino
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