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Shyām Benegal: Alla ricerca dell'India

India

Shyām Benegal è un nome prestigioso del Nuovo Cinema indiano e uno dei rari cineasti che hanno costantemente affinato il linguaggio e ampliato la ricerca tematica. A differenza di altri cineasti "impegnati", gode di un moderato successo anche tra il grande pubblico. Forse è questo ad irritare taluni.

Non sono moltissimi i cineasti indiani degli ultimi trent'anni che hanno saputo continuamente rinnovare il proprio linguaggio e la propria ricerca. Di questi, Shyām Benegal è quello che meno di tutti ha dormito sugli allori. Sugli allori del suo primo film, Ankur (Il germoglio, 1973/74), una delle opere di maggiore successo nella fase iniziale del movimento del Nuovo Cinema indiano, chiamato anche Cinema Parallelo (Samānāntar Sinemā, fine anni Sessanta). Ma a dispetto di questa rara e instancabile capacità di evoluzione e affinamento, concretatasi in una vasta produzione di film, sceneggiati e documentari, sempre di indiscussa qualità e rilevanza, se non sempre dei capolavori, Shyām Benegal non gode dei favori della parte più intellettuale e "purista" della critica. Spesso è stato identificato con il Middle Cinema, definizione in sé positiva, soprattutto nel contesto indiano, perché dovrebbe tradursi nella volontà di creare opere significative in forme accessibili. Qui invece assume un significato riduttivo, con una meno che vaga connotazione dispregiativa, trovandosi collocato poco al di sopra dei bassifondi del vituperato cinema popolar-commerciale, a incolmabile distanza dalla rarefatta stratosfera dell'Arte, dominio di pochissimi, e anche meno, artefici e degustatori eletti. Molte possono essere le ragioni di questa animosità nei confronti del regista: il fatto stesso di aver continuato a realizzare tanti e ottimi film, di aver sempre trovato in molte direzioni i fondi per realizzarli, di essersi "compromesso" con le istituzioni per cui ha ricoperto diversi incarichi, di aver ricevuto sempre una lusinghiera accoglienza internazionale e un moderato consenso anche tra il grande pubblico di casa. Ma considerando la desolata china discendente imboccata da tempo dal Nuovo Cinema, che si è rivelato privo proprio delle qualità che Shyām Benegal ha in esubero (la capacità di rinnovarsi e di evolversi, appunto) e, di converso, la recente affermazione, anche in occidente, di un delizioso film popolar-commerciale come Lagān (La tassa, 2002, regia di Āshutosh Govārikar) e di altri della stessa collocazione, forse sarebbe più opportuna, da parte di certi settori, una seria riflessione sul modo di far cinema.
 

Quanto a Shyām Benegal, oggi non è più uno dei "giovani" del Nuovo Cinema, essendo nato nel 1934, in un insediamento semirurale alla periferia di Hyderabad, nell'allora omonimo principato (attuale Andhra Pradesh). In famiglia, originaria del Karnataka, si parlava in konkni, dialetto della costa sud-occidentale, mentre la lingua ufficiale dello stato era l'urdu e quella della gente la telegu. Shyām Benegal le parla tutte, con l'aggiunta dell'inglese, naturalmente; ma i suoi film, ad eccezione di Kondurā / Anugrahan (o The Boon, 1977), che ha anche una versione telegu, sono tutti in hindi. Cugino di primo grado di Guru Datt (1925-1964), uno dei più grandi cienasti indiani, ne eredita la passione e realizza il primo "film" con una piccola cinepresa a manovella del padre, fotografo di professione, a dodici anni.

Sono anni, quelli, densi di avvenimenti cruciali per la storia della regione e dell'India; tra questi. la rivoluzione contadina del Telengana (1946), sostenuta dai comunisti e repressa prima dalle forze del principato e poi da quelle dell'India indipendente, che avevano annesso Hyderabad con una "azione di polizia" nel settembre 1948. Molti studenti avevano lasciato gli studi per prendere parte alla rivolta; Nehru aveva loro concesso l'amnistia e alcuni avevano ripreso gli studi. Tra questi, c'erano dei compagni di scuola del regista, di qualche anno più grandi, la cui esperienza lascia in lui un segno profondo. Uno dei temi che percorrono la sua opera, le condizioni semifeudali di sfruttamento nelle zone rurali indiane, si origina probabilmente in quegli anni e da quei contatti.

Mentre studia economia all'università di Osmania, a Hyderabad, il cinema contina ad essere parte essenziale della sua vita: fonda la prima Film Society della città. Dopo la laurea (1957), si trasferisce a Bombay dove lavora per l'agenzia pubblicitaria Lintas (1959-63) e per la Advertising & Sales Promotion Co. (1963-73); e dal 1971 al 1972 lavora anche negli Stati Uniti presso un'emittente televisiva. In questo periodo realizza centinaia di filmati pubblicitari e numerosi documentari. Il fatto che sia diventato famoso a quarant'anni, con il suo primo film, testimonia non un inaspettato arridere della fortuna, ma il peso dell'invidiabile competenza professionale acquisita nei tredici anni precedenti.

Ankur è una storia di sfruttamento e prevaricazione (ma non in bianco e nero) di un giovane proprietario terriero di estrazione urbana nei confronti della sua bella domestica del villaggio, sposata con un sordomuto. Oltre a tracciare già la possibile evoluzione del percorso narrativo del regista, il film presenta anche altri aspetti distintivi del suo cinema. In primo luogo, la capacità di trovare un sostegno finanziario anche fuori dai canali statali, privilegiati dal Nuovo Cinema: il film è infatti prodotto da una compagnia di distribuzione pubblicitaria per cui Benegal aveva lavorato, la Blaze Film Co., che in seguito produrrà altre sue opere. E soprattutto il suo ineguagliabile fiuto di talent-scout: attori, direttori di fotografia, musicisti tra i più importanti della cinematografia indiana di questi trent'anni "nascono" - e continuano a nascere - nei suoi film. In Ankur sono gli attori Shabānā Āzmī e Shankar Nāg, il direttore della fotografia (in seguito regista) Govind Nihālānī, il musicista Vanrāj Bhātiyā, i primi di una lunghissima lista. Nel secondo film, Nishānt (La fine della notte, 1975) sono altri attori: Smītā Pātil (morta di infezione da parto a trentun anni, nel 1986), Nasīruddīn Shāh, Amrīsh Purī; mentre il soggetto del film è di un noto drammaturgo indiano, Vijay Tendulkar, lui pure tra gli assidui collaboratori di Benegal. Anche quella di Nishānt è una storia di sopraffazione: tre latifondisti, padroni di un villaggio, rapiscono e violentano la bella moglie del maestro elementare. Ma è anche una rivisitazione del Rāmāyan, in cui la nuova Sītā, rapita da un odierno demone Rāvan, non viene salvata dallo sposo Rām, ma stabilisce invece il primo vero legame umano proprio con il sequestratore e viene uccisa con lui.

Con i primi due film, si evidenziano tutti i temi e i motivi che saranno poi esplorati e sviluppati successivamente: sfruttamento e prevaricazione delle classi privilegiate sugli strati sociali più deboli; la donna come vittima eletta di questa violenza e la graduale evoluzione di questa figura da vittima ad artefice della propria vita; la ricerca di una specifica identità indiana attraverso la rilettura di miti antichi e moderni. Il primo elemento si dispiega nelle opere iniziali, nelle due citate e nel terza, Manthan (Il frullamento, 1976), sulla formazione di una cooperativa del latte nel Gujarat e sui problemi dei lavoratori del settore, che sono anche i finanziatori del film. Ritorna in Ārohan (L'ascesa, 1982), finanziato dal governo del Bengala, che racconta la lunga battaglia legale e politica sostenuta da un piccolo contadino per difendere i suoi diritti di mezzadro; in Susman (L'essenza, 1986), prodotto da Association of Cooperatives and Apex Societies of Handloom, incentrato sulle tribolazioni di una famiglia di tessitori di un particolare tipo di seta e sui contrasti tra i tessitori eredi di questa antica forma di artigianato e la produzione di massa realizzata con telai elettrici; e in Samar (Il conflitto, 1998), prodotto dal governo indiano (Ministero della giustizia sociale), basato su un conflitto di casta effettivamente avvenuto nel Madhya Pradesh tra un capovillaggio di casta alta e un intoccabile.

In tutti questi film, hanno sempre rilievo figure femminili forti, che tuttavia diventano protagoniste assolute in altre opere di Benegal, tanto da fare di lui il più "femminista" dei registi indiani, senza peraltro averne la predisposizione, come afferma lui stesso: "Deve essere la crescente consapevolezza della centralità delle donne nella vita e nella società a farmele ritrarre così. Ma deve essere un processo inconscio, a pensarci bene, perché io sono sciovinista come tutti gli uomini". La sua vita registica è segnata, marchiata quasi, da ritratti femminili straordinari, come Ushā, la protagonista di Bhūmikā (Il ruolo, 1976), indotta a lavorare nel cinema fin da bambina per mantenere la famiglia, che cerca di liberarsi da ogni dipendenza psicologica attraverso deludenti rapporti, prima con l'uomo diventato suo marito e in seguito con un regista cinematografico e poi con un aristocratico di tradizione feudale, finché decide di camminare da sola. Memorabili sono le donne del bordello di Mandī (La piazza del mercato, 1983), in cui il sovvertimento dell'ordine etico e sociale diventa l'ordine "naturale" e la prostituzione un mezzo di emancipazione. Non si può non citare, tra le altre, l'indomita Mammo nel film omonimo (1995), per volontà altrui cittadina pakistana dal giorno della Partizione (1947), che dopo molti anni torna in India, la sua casa, e ricorre ad ogni mezzo, legale e illegale, per restarci. E ancora Sardārī Begam, protagonista del film dallo stesso titolo (1996), che abbandona la rispettabile famiglia paterna per dedicarsi alla musica e non esita a diventare l'amante di un ricco aristocratico per raggiungere la sua meta. E infine l'omonima protagonista dell'ultimo (in ordine di tempo) gioiello, Zubaidā (2000), in cui una delle più famose star del cinema popolare, Karismā Kapūr, sotto la guida del regista di dimostra attrice di squisito talento.

Attraverso la figura femminile, Shyām Benegal avvia anche la ricerca dell'identità indiana attraverso i miti e la storia, ricerca che si era già evidenziata in Nishānt, per proseguire con Junūn (L'ossessione, 1978), ambientato all'epoca della grande rivolta del 1857 contro gli inglesi, il cosiddetto Mutiny, e Kalyug (L'era meccanica, 1980), rilettura in chiave moderna del Mahābhārat. Questo viaggio alla ricerca dell'India passa attraverso un grandioso sceneggiato televisivo in 53 episodi Bhārat: ek khoj (India: una ricerca, 1988), tratto da The Discovery of India, il libro del 1946 di Nehru, figura sulla quale Benegal realizza un documentario nel 1983 (in collaborazione con il regista russo Yuri Aldokhin, co-produzione indo-sovietica), per culminare con The Making of a Mahatma (1995), sul periodo africano di Gandhi. Ma il momento più straordinario in questo percorso di ricerca e scoperta (anche nel senso di "togliere la copertura") e quindi di riconoscimento di identità è Sūraj kā sātvān ghorā (Il settimo cavallo del sole, 1992). Tratto dall'omonimo romanzo hindi del 1952, di Dharmvīr Bhārtī (1926-96), il film è un indagine sulla natura dell'amore, come momento individuale e sociale, e le forme che assume per adattarsi o per eludere i condizionamenti economici, sociali e culturali della classe media, serbatorio di tanta parte degli intellettuali indiani. Rigorosamente fedele al romanzo, Shyām Benegal ne trasforma completamente il senso assumendo a tema centrale un motivo marginale del testo: la figura di Devdās, eroe del romanzo omonimo di Sharatchandr Chattopadhyāy (1876-1938), portato sullo schermo nel 1935 da Pramtesh Chandr Baruā (1903-51), seguito da una serie infinita di rifacimenti (l'ultimo è del 2002, diretto da Sanjay Līlā Bhansālī) e grande mito dell'India contemporanea. Sūraj kā sātvān ghorā rilegge e smonta questo mito con una forma narrativa complessa, raffinata e intrigante, affermandosi come una delle pietre miliari del cinema indiano degli ultimi dieci anni.

Filmografia essenziale

Film:
Ankur (Il germoglio, 1973)
Charandās Chor (Charandas, il Ladro, 1974)
Nishānt (La fine della notte, 1975)
Manthan (Il frullamento, 1976)
Bhūmikā (Il ruolo, 1976)
Kondurā / Anugrahan (o The Boon, 1977)
Junūn (L'ossessione, 1978)
Kalyug (L'era meccanica, 1980)
Ārohan (L'ascesa, 1982)
Mandī (La piazza del mercato, 1983)
Trikāl (Tre epoche, 1985)
Susman (L'essenza, 1986)
Antarnād (Il suono interiore, 1992)
Sūraj kā sātvān ghorā (Il settimo cavallo del sole, 1992)
Mammo (1995)
The Making of the Mahatma (1995)
Sardārī Begam (1996)
Samar (Conflitto, 1998)
Zubaidā (2000)

Sceneggiati televisivi:
Yātrā (Il viaggio, 1986)
Kathā sāgar (L'oceano dei racconti, 1986)
Bhārat: ek khoj (India, una ricerca 1988)

Documentari:
A Child of the streets (1967)
Indian Youth: An Exploration (1968)
Quest for a Nation (1970)
Sruti and Graces in Indian music (1972)
Notes on the Green Revolution (1972)
Tata Steel: Seventy Five Years of the Indian Steel Industry (1983)
Nehru (1983, in collab. con Yuri Aldokhin)
Satyajit Ray (1984)
A Quilt of Many Cultures: South India (1990)

Bibliografia
Chaddā, M., 1990, Hindī sinemā kā itihās (Storia del cinema hindi), Sachin Prakāshan, Nayī Dilli, pp. 445-458.
Masud, I., 1985, The Cinema of Shyam Benegal, in T.M. Ramachandran, 1985, 70 Years of Indian Cinema (1913-1983), CINEMA India-International, Bombay, pp. 177-186.
Rajadhyaksha, A., - Willemen, P., 1995, Encyclopaedia of Indian Cinema, Oxford University Press-British Film Institute, New Delhi-London, pp. 55-56.
Rao, M., 1991, Shyam Benegal, in Focus on Directors. Panorama Parade (pubblicazione annuale della rivista "Cinema in India"), Bombay, pp. 22-29.
Vasudev, A., 1986, The New Indian Cinema, Macmillan, Delhi, pp. 39-42.
Vasudev, A. - Lenglet, P., (eds.), 1987, Indian Cinema Superbazaar, Vikas Publishing House, New Delhi, II ed., I ed. 1983, pp. 157-171.

Cecilia Cossio