Asiamedia

Shonen

Giappone

Toshio è un ragazzino di dieci anni costretto dal padre e dalla matrigna a svolgere uno strano lavoro: inscenare falsi incidenti in cui simula, non senza rischi, di essere stato investito dagli automobilisti per poi estorcere dei salati risarcimenti.

Intrapresa, suo malgrado, la terribile ‘professione’, cerca degli appigli fantastici per darsi coraggio e affrontare la pesante realtà, attraverso una sorta di personale mitopoiesi dove si raffigura come un esule, proveniente dalla galassia di Andromeda, che salverà la terra da «mostri enormi» con occhi scintillanti e bocche fiammeggianti, fantomatica evocazione delle temibili automobili. Dopo un tentativo di fuga fallito, la matrigna lo convince ad appoggiare la sua ribellione contro il marito che, oltre a sfruttare sempre più lei e Toshio per gli incidenti finti, vuole farla abortire. Mentre la polizia è sulle loro tracce, all’interno del gruppo scoppiano le crisi latenti. Tratto da fatti di cronaca realmente accaduti in Giappone, Shonen, oltre ad essere un capitolo imprescindibile della filmografia di Oshima, è un’opera che intreccia vari livelli tematici e stilistici: il crudo e disincantato ritratto di un’infanzia negata e un’aspra critica alla società nipponica (strette in un tipo di rapporto che va dal ‘micro’ al ‘macro’); un soggetto neorealistico e uno sviluppo visivo avanguardistico. 

Il regista crea un personaggio a tutto tondo che trasfigura nel mito e nel rituale (che di lì a poco caratterizzerà la grande saga famigliare di Gishiki) delle azioni inaccettabili e indotte, cercando ogni tipo di difesa psicologica: si veda la valenza simbolica che Toshio conferisce al cappellino giallo che ha preso dalla testa di un possente robot giocattolo, proiezione diretta di un Io ideale, contrappunto positivo (e superegoico) alla ripugnante figura paterna.

 Le fratture psicologiche del protagonista, infatti, sono sintomatiche degli effetti indiretti di una società che ancora dipende fortemente dai  retaggi della tradizione, come il predominio dell’uomo sulla donna e l’esaltazione dell’autorità paterna (di matrice patriarcale). Una società che ha creato un mito del benessere sfrenato, a cui nessuno vuole rinunciare (il personaggio del padre esige sempre più soldi dal figlio e dalla moglie per potersi permettere alberghi e ristoranti di lusso).

A suggerire questo livello di critica più ampio contribuisce anche un motivo stilistico: la bandiera giapponese, proposta col sole nero nei titoli di testa, per preludere a un viaggio dentro l’anima oscura della società nipponica (o forse un riferimento a un’eclissi della nazione?), e in seguito, in prossimità del finale, poeticamente simbolizzata nell’accostamento cromatico di uno scarponcino rosso posato su una distesa di neve bianca, per indicare il senso di perdita dell’innocenza vissuto dal bambino. Formalmente uno dei vertici massimi di Oshima, Shonen alterna severe geometrie di immagini a morbidi movimenti di macchina; combina scatti fotografici in bianco e nero (rimando alla vicenda cronachistica) a repentine variazioni cromatiche per enfatizzare il senso drammatico dei mutamenti imprevedibili della realtà.

Com’è consuetudine in Oshima, la colonna sonora non è un mero commento alle immagini ma un elemento organico alla significazione profonda dell’apparato visivo, che in Shonen si avvale di composizioni in cui la melodia si  sfalda in  sonorità liquide perturbanti che hanno per scopo la penetrazione del subconscio dello spettatore.

Anche in Shonen Oshima dimostra la sua vocazione al pensiero della fine, all’implacabile scandagliamento delle pulsioni oscure che albergano in una società votata ormai all’autodistruzione, entro la quale stenta a trovare accoglimento perfino una semplice aspirazione alla normalità da parte di un bambino, ovvero colui che dovrebbe essere alla base delle speranze che una collettività rivolge al futuro.

 

Diego Baratto