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Non uno di meno - Yi Ge Dou Bu Neng Shao

Cina

Un'opera ideologica, a tratti edificante, realizzata con una sincera partecipazione al tema del «farsi artefici del proprio sentire», impaginata nell'asciutta espressività di immagini eloquenti, compatte, incisive.

NON UNO DI MENOYi ge dou bu neng shao

Regia: Zhang Yimou. Sceneggiatura: Shi Xiangsheng. Fotografia: Hou Yong. Scenografia: Cao Jiuping. Costumi: Dong Huamiao. Musica: San Bao. Montaggio: Zhai Ru. Interpreti: Wei Minzhi, Gao Enman, Zhang Huike, Fu Xinmin, Bai Mei. Produzione: Shao Yu per Guanxi Film Studios, Beijing New Pictures Distribution Company. Distribuzione: Columbia TriStar. Origine: Cina, 1998. Durata: 100 minuti.
 

Il film di Zhang Yimou ci riporta alla dimensione neorealista della favola pedagogica, di cui ripercorre con precisione e misura i nuclei espressivi. La storia di Wei Minzhi, una supplente tredicenne che parte a piedi per raggiungere la città e ritrovare un alunno, asseconda un incedere narrativo sobrio, privo di sostanziali sbavature. Un tono vivificato dalla prospettiva diretta e immediata della riproduzione fotografica, dalle aperture di campo su spazi rurali disadorni e solitari. Una temperatura emotiva che cresce con l'evolvere della storia, raccontata con poca enfasi eppure inscritta nei temi dell'abbandono, della povertà. Wei Minzhi raggiunge la città e va alla ricerca del bambino, ma non sa come fare. La sua permanenza in città segue le tappe di un apprendistato nei territori dell'economia e della necessità. Già prima, quando chiedeva in prestito ai piccoli allievi i soldi per l'autobus, si era accorta che non era così facile ottenere il consenso per assolvere il suo compito. Senza perdersi d'animo, l'evidenza le aveva indicato la via della ragione attraverso le determinazioni dell'economia, e Wei si era improvvisata docente di calcolo. Aiutata dai bambini alla lavagna, la maestrina aveva scomposto e ricomposto i numeri fino a risolvere i quesiti che le si ponevano: quanti soldi occorrono a una ragazzina per riportare il bambino a scuola entro due giorni? Ma i conti non tornano se non si presta fede in ciò che si fa. In effetti, quando il film di Zhang Yimou ha inizio, pensiamo che la piccola Wei sia motivata soltanto dal tornaconto. Giunta in paese con l'incarico di sostituire per un mese il maestro della scuola, la vediamo ombrosa, taciturna. E il realismo più sincero e credibile del film risiede nella misura con cui è affrontato il lavoro sui piccoli attori. La sensibile Wei, inizialmente, si mostra impacciata dinanzi alle regole del metodo scolastico sbrigativamente impartitole dal maestro. Quindi, Zhang Yimou risolve le situazioni adattandole ai comportamenti del personaggio: spetta a Wei, alla sua determinazione, di affrontare con spontaneità e intelligenza il suo compito di educatrice. Così, avvertiamo che Wei non è mossa unicamente dalla promessa della ricompensa economica: è quanto richiede la dimensione di letizia (un tempo si sarebbe detto di «propaganda») evocata dalle immagini del film. Ma lo schematismo ideologico (mentre la povertà delle campagne conserva un cuore di umanità, perfino la città e la società dei media possono dimostrarsi accoglienti purché si guardi con partecipazione e ottimismo al divenire) non impedisce a Zhang Yimou di realizzare un film interessante. Nella semplicità della sua misura, Non uno di meno possiede una grazia sospesa tra pathos e disincanto che rende dolente ma contenuta l'enfasi drammatica, mentre l'accento metaforico è trattenuto nell'evidenza irriducibile del realismo. La vita scolastica nel paese ci mostra una classe di bambini senza genitori, e la stessa maestra è una bambina senza veri punti d'appoggio. Non che i bambini siano orfani, ma sono abbandonati al loro sentire, e alla ritualità di compiti che restano estranei alle loro vite. Ma Yimou ci mostra anche come questi bambini sappiano molte cose della vita senza che un vero insegnante abbia potuto mostrarle loro. Il loro percorso in comune sembra racchiudere il vero senso dell'esperienza scolastica. Infatti, lo stato confusivo che accompagna le «lezioni» di Wei produce movimenti sintomatici, comportamenti irrazionali che esprimono bene il senso di famiglia sostitutiva rappresentato dalla classe. Quella che i bambini porgono alla giovane insegnante è allora una richiesta d'amore, e la risposta di Wei è coerente con i loro desideri: il suo apporto consiste nel guidare i bambini verso il senso del loro «essere per gli altri». L'arrivo di Wei nella grande città rappresenta l'emergere di una nuova angoscia nella sensibilità idealista della ragazzina: l'incontro con la dimensione alienante della città, con le sue regole inappuntabili. Il caos, la miseria, non significano tuttavia anche la perdita della speranza. La determinazione compassata di Wei rappresenta la carta vincente della volontà sul senso della disfatta che potrebbe trapelare nei pensieri di una ragazzina sola e senza punti di riferimento. Wei sa che bisogna lottare, affermare il proprio punto di vista cercando il dialogo «empatico», emotivo, l'unico di cui, a tredici anni, si può essere in qualche modo padroni. Ottiene allora di mostrare il suo appello alla televisione, e recupera il piccolo studente, il quale, nel frattempo, aveva trovato accoglienza in un ristorante. Nessuno, in Cina, negherebbe un piatto di riso a un fratello. È quanto sostiene Zhang Yimou attraverso il suo film. Un'opera ideologica, a tratti edificante, realizzata con una sincera partecipazione al tema del «farsi artefici del proprio sentire», impaginata nell'asciutta espressività di immagini eloquenti, compatte, incisive. Durante la prima parte si ha come la sensazione di trovarsi in un film importante in cui, oltre alla freschezza scenografica, Yimou presta attenzione all'educazione morale di questi piccoli bambini, figli veri (tutti non-attori) della Cina che sarà. Poi, i sospetti di un'opera a tesi sono troppo scoperti per non saltare all'occhio. Ma questa Cina umana e generosa trova in Zhang Yimou un regista che non eccede in eloquenza simbolica, e il suo film resta alla memoria per il ritratto di questi bambini avvinti dall'idea di credere in una «famiglia» o in una partecipazione più costruttiva alle tappe della loro esperienza.

Roberto Lasagna