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Nichiyobi wa owaranai

Giappone

Un racconto coscienziale, di lirismo lacerato, intenso e struggente che conferma la stilizzazione e l'astrattezza dell'ultimo (ma non solo) cinema nipponico.

NICHIYOBI WA OWARANAI di Takahashi Yoichirō


La cifra dominante dell'opera seconda di Yoichirō Takahashi è lo spaesamento. Una sensazione straniante che permea Kazuya, la sua fidanzata Sachiko, il padre Yoshiki, la madre Shinobu. Quattro personaggi in cerca di un'identità, di approdo, che fuggono da qualcosa senza sapere esattamente cosa cercare. Si tratta, per loro, di un viaggio dell'anima, introspettivo, euristico. La narrazione di Nichiyobi wa owaranai è composta da microeventi, piccole fratture, scarti impercettibili. Attraverso un movimento centripeto i personaggi introiettano le loro sensazioni, trasmettendole con brevi gesti, leggere alterazioni espressive. Il film di Takahashi procede, così, per continua sottrazione di elementi drammaturgici, depura la sceneggiatura di ogni orpello esornativo, prosciuga la messa in scena a movimenti minimi, essenziali. È un cinema della stasi, quello di Takahashi, non statico, piuttosto contemplativo, vicino all'ipnotismo di certi cineasti taiwanesi. Il suo è un racconto coscienziale, di lirismo lacerato, intenso e struggente che conferma la stilizzazione e l'astrattezza dell'ultimo (ma non solo) cinema nipponico, che ama raccontare per frammenti, restituire i sentimenti attraverso la forza di un istante, in modo rapsodico, ellittico. L'omicidio finale è quindi da intendersi come la negazione di una speranza, di un'utopia palingenetica. È un mondo chiuso quello di Nichiyobi wa owaranai, claustrofobico (anche se ripreso più in esterni che in interni), asfittico, opprimente, che comprime i personaggi. Un film disperato, girato in uno stato di lucida follia che conferma la nascita, accanto alle grandi prove di maestri come Imamura e Ōshima, di una new wave per nulla inferiore a quelle di altri paesi orientali.

Antonio Termentini
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