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Naruse Mikio (1905-1969)

Giappone

È a partire dal 1951 che i film di Naruse raggiungono l'apice qualitativo. Fu allora che seppe imporsi, sensibile artigiano di atmosfere lette fra le righe, tessute tra sguardi e dialoghi in cui mai una parola risulta sprecata. Il passaggio da un piano all'altro è fluido, quasi impercettibile, quasi a sottolineare la profondità e nello stesso tempo la continuità dello spazio in cui la vita dei vari personaggi si snoda, come un fluire ininterrotto.

NARUSE MIKIO (1905-1969)

"Il film è un qualcosa destinato a scomparire in breve tempo. Questo è il destino del cinema...", dichiarava Naruse in un'intervista nel 1961. Per fortuna le sue previsioni non si sono avverate: al Film Center di Tōkyō sono conservati cinquantatré dei suoi sessantanove film, molti dei quali vengono ancora oggi proiettati.
 

Si era formato ai tempi del muto e ha sempre considerato il film una merce e il regista un artigiano. Lavorava moltissimo: con lui si girava dalle nove del mattino alle cinque del pomeriggio; riusciva a realizzare un film in trenta giorni, e senza superare il budget previsto. Eppure con questo spirito "artigianale", ha saputo creare un suo originalissimo mondo.

A rendere particolare il suo cinema sono l'estrema attenzione che il regista presta alla descrizione della vita quotidiana e la focalizzazione costante sulla figura umana. È come se la macchina da presa restasse incollata a ogni istante del presente, lo stesso al quale anche i personaggi si trovano incatenati. La vita per loro è un'esperienza al limite della sopravvivenza, fisica, psicologica, morale, nella dolente consapevolezza che se la felicità, la pienezza esistono, sono comunque impossibili da raggiungere. Il punto focale del film è il presente, speso della gente comune: il passato sopravvive solo come breve flashback e il futuro sembra non esistere. La vita scorre senza sosta e, soprattutto per le donne, strette nella morsa degli obblighi imposti dalla società e dalla famiglia tradizionale, non c'è via d'uscita a un destino troppo spesso claustrofobico.

Proprio per questo a partire da Kimi to wakarete (Dopo la nostra separazione, 1932), i film di Naruse avranno quasi tutti protagoniste femminili: in alcuni casi sono ragazze giovani, forti, intelligenti; in altri donne sole, appartenenti ai ceti più poveri, talvolta vedove, intrappolate in professioni socialmente malviste, ma che rappresentano per loro l'unica possibilità di rendersi economicamente indipendenti. Testarde e combattive, lottano per mantenere la propria dignità, pur nella dolorosa consapevolezza di non avere alcuna via d'uscita. In altri film, fra cui Meshi (Il pasto, 1951), Tsuma (La moglie, 1953), Yama no oto (Il suono della montagna, 1954), le protagoniste sono mogli insoddisfatte, legate a un uomo che non le ama, ma da cui la società pretende che dipendano totalmente, dal punto di vista economico e psicologico. Quasi sempre senza figli (dove manca la comunicazione non c'è vera coppia), sono piene d'amarezza, eppure nessuna di loro riesce a troncare il legame matrimoniale: magari giocano con l'idea dell'indipendenza, ma finiscono per tornare dal marito. Non si rassegnano all'idea che la felicità sia solo un'illusione e continuano a lottare, come le giovani donne protagoniste di Inazuma (Lampi, 1952) o di Hōrōki (Diario di un vagabondaggio, 1962), che con testarda determinazione si sforzano di sfuggire al destino di privazione cui sembrano condannate e di conservare il rispetto di sé anche di fronte alla più crassa volgarità.

Tutte cercano la felicità a dispetto dell'evidenza della sua impossibilità: la società può anche non avere un posto per loro, ma accettarlo non vuol dire rinunciare alla propria dignità e ai propri sogni.


Non ci sono happy ends, nei film di Naruse, anzi molto spesso il finale resta come sospeso: del resto l'interesse del regista non si focalizza sulla trama, ma sui personaggi. Questi si rivelano gradualmente, senza colpi di scena, attraverso le vicende della vita di tutti i giorni, i dialoghi e soprattutto i gesti apparentemente più insignificanti. Rare sono le scene drammatiche, gli scontri violenti: il regista preferisce affidare l'espressione dei sentimenti - anche forti - alla comunicazione non verbale, a uno sguardo o a un movimento del corpo appena accennato, oppure stemperare la drammaticità in un delicato umorismo. Non è un caso dunque che le sue opere migliori si caratterizzino proprio per l'equilibrio che si stabilisce fra la noia della vita di tutti i giorni e la commedia o il melodramma.

Inoltre per quanto i personaggi si trovino spesso a dover fronteggiare situazioni terribili, Naruse nella maggior parte dei casi abbandona la sua poetica del presente e ricorre all'ellissi: lo spettatore non è mai testimone del dramma, piuttosto ne è messo al corrente dopo, quando i protagonisti lo hanno già rielaborato, metabolizzato. Questo, è naturale, comporta un allentamento della tensione: non c'è enfasi, né amplificazione drammatica, ma piuttosto una sorta di pudore - e di rispetto - di fronte alle tragedie e alle miserie del prossimo. Hasumi Shigehiko, a proposito del cinema di Naruse, parla di una sensibilità per l'essenziale che diventa "minimalismo", per la linearità della composizione e la sobrietà del montaggio e dell'uso della macchina da presa.

L'esperienza del muto gli aveva insegnato a esprimersi con gli oggetti, a lasciare parlare la scena, mentre all'attività di montatore va ricondotta la sua tecnica raffinata di ripresa. I dialoghi, essenziali per dare priorità ad altre forme di espressione, sono tuttavia sempre carichi di significato: spesso Naruse non tagliava la scena in corrispondenza dell'ultima battuta pronunciata dal personaggio, com'era uso fare allora, ma lasciava qualche fotogramma in più, quasi per dare alle parole il tempo di imprimersi nella mente dello spettatore.

La sua raffinatezza tecnica emerge anche dall'estrema fluidità con cui si snodano le storie che racconta: non a caso la macchina da presa riprende sempre oltre al personaggio l'ambiente. Rarissimi sono invece i primi piani ai quali Naruse preferisce il piano americano o la mezza figura, dove l'obiettivo riesce a cogliere il flusso della vita senza spezzarlo.

Filmografia
1933 Dopo la nostra separazione (Kimi to wakarete)
1935 Moglie, sii come una rosa (Tsuma yo, bara no yōni)
1939 Tutta la famiglia lavora (Hataraku ikka)
1951 Il pasto (Meshi)
1952 Okuni e Gohei (Okuni to Gohei)
1953 Lampi (Inazuma)
1953 Fratello e sorella (Ani imōto)
1953 Moglie (Tsuma)
1953 Marito e moglie (Fūfu)
1954 Il suono della montagna (Yama no oto)
1954 Tardi crisantemi (Bangiku)
1955 Nubi fluttuanti (Ukigumo)
1956 Fluttuare (Nagareru)
1962 Diario di un vagabondaggio (Hōrōki)
1967 Nubi sparpagliate (Midaregumo)

Nota bibliografica
Bock Audie E. (a cura di), Mikio Naruse. A Master of Japanese Cinema, The Film Center, School of the Art Institut, Chicago, 1984.
Hasumi Shigehiko - Yamane Sadao (a cura di), Naruse Mikio, Madrid, Filmoteca Española, San Sebastián; Festival Internacional de Cinema de San Sebastián, 1. ed., 1998.
Satō Tadao, Le cinéma japonais. 1, Paris, Centre Georges Pompidou, 1977.
Satō Tadao, Le cinéma japonais. 2, Paris, Centre Georges Pompidou, 1977.

Paola Scrolavezza