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Lin family shop

Cina

Il film riunisce un'equipe di figure importantissime del cinema e della cultura cinese: tratto dal romanzo di Mao Dun, sceneggiato da Xia Yan, una delle figure più influenti del cinema di sinistra. La rappresentazione della borghesia è quella canonizzata dal partito comunista, di cui il film abbraccia le teorie e i modelli rappresentativi: classe sociale oppressa dall'imperialismo e dal capitalismo selvaggio dei giapponesi e dei nazionalisti, è pur tuttavia la classe che opprime il proletariato cinese.

LIN FAMILY SHOPLinjia puzi di Shui Hua

Cina, 1959, col
Con: Xie Tian, Ma Wei, Yu Lan, Zhao Ziye, Chen Shu

Il film riunisce un'equipe di figure importantissime del cinema e della cultura cinese: tratto dal romanzo di Mao Dun, sceneggiato da Xia Yan, una delle figure più influenti del cinema di sinistra (Xia Yan aveva già sceneggiato un'opera di Mao Dun, Spring Silkworms), e diretto da Shui Hua (regista del celebre White-Haired Girl). La rappresentazione della borghesia è quella canonizzata dal partito comunista, di cui il film abbraccia le teorie e i modelli rappresentativi: classe sociale oppressa dall'imperialismo e dal capitalismo selvaggio dei giapponesi e dei nazionalisti, è pur tuttavia la classe che opprime il proletariato cinese.

Il film, fotografato con eleganza e interpretato efficacemente, è una pellicola crudele e disperata, nonostante il tono leggero, l'andamento pacato e ritmico, l'assenza di colpi di scena drammatici e di colonna sonora retorica. È crudele perché racconta, di un'epoca travagliata, sia le difficoltà che la gente comune deve affrontare nella lotta per la sopravvivenza quotidiana, sia le bassezze del popolo, che, incapace di unirsi contro il comune nemico, riattualizza il modello di prevaricazione con il più debole, sempre più in giù nella scala sociale. Altrimenti detto: il governo e la guerra opprimono i commercianti (la borghesia), ma i commercianti a loro volta opprimono gli azionisti e i creditori, ancor più poveri di loro.

Il film è ambientato in un villaggio di pescatori nelle vicinanze di Shanghai durante la guerra contro il Giappone. La guerra non tocca le sponde quiete del villaggio, ma influenza profondamente la vita degli abitanti, e in particolare dei protagonisti, la famiglia Lin che gestisce un commercio. Essa è composta dai genitori, la figlia unica, e Sousheng, figlio adottivo. Essi devono scendere a continui compromessi per riuscire a sopravvivere: cambiare le etichette dei prodotti giapponesi, che erano alla moda ma che, dallo scoppio della guerra, sono boicottati. Devono combattere contro la bottega adiacente a colpi di sconti e riduzioni, anche a rischio di vendere in perdita; i creditori li assillano, e le banche non vogliono più concedere loro dei prestiti. Tutti questi movimenti, che sulla carta romanzesca restano piuttosto inerti e poco interessanti, si colorano sulla celluloide di forte umanità: i personaggi sono infatti vivacemente caratterizzati, sì che ogni scontro economico diventa un dramma umano e psicologico: il direttor della banca professa amicizia ma non si fa trovare nel momento del bisogno, gli azionisti del negozio sono un'anziana malinconica e sospettosa e una vedova con un bambino piccolo, che si fanno rabbonire dalle parole sapientemente demagogiche di Lin. Costui, infatti, non esita a sfruttare chi può, in un chiaro, semplice e spietato mors tua, vita mea. Per esempio: appena uscito dalla banca che gli ha rifiutato un prestito, sull'orlo del fallimento (e sotto la neve che cade impietosa), incontra un suo creditore e gli impone la restituzione immediata del debito, anche a costo di mandare a picco la famiglia dell'uomo, ridotto ancora peggio della sua. Una sequenza spietata mostra Lin e il suo assistente andare a casa del creditore e, di fronte alla moglie malata e prole numerosa, riprendersi tutto ciò che gli avevano venduto a credito, nonostante le proteste dell'uomo. Ma Lin non è solo carnefice, è anche vittima, e questo ritratto a tutto tondo fa la ricchezza del film. Il capo della polizia si invaghisce della figlia Lin (che è l'unica a mostrare un segno di vita ideologica, partecipando a manifestazioni contro il Giappone e contro le guerre intestine), e ricatta la famiglia: se vogliono continuare a esercitare la professione, devono dargli la ragazza come concubina. Di fronte al silenzio del padre, il poliziotto lo fa arrestare. La famiglia lo libera, dilapidando le ultime sostanze.

Il film procede, così, alternando i momenti di pietà per la famiglia Lin alle accuse contro la miopia del popolo che non riesce a fare fronte comune. Una sequenza indicativa: l'arrivo dei profughi da Shanghai, bombardata dai giapponesi, è vissuto come un evento per la popolazione locale: i più sono curiosi, ma per i commercianti significa guadagno. I Lin hanno l'idea di vendere a basso prezzo dei set di oggetti d'uso quotidiano quali bacinelle, saponette etc., speculando dunque sui più sfortunati.

In seguito all'arresto e alla costosa liberazione del patriarca la famiglia è al collasso finanziario. Che fare? Si chiedono, e Shousheng in piedi di fianco al signor Lin traccia sul tavolo col dito la parola che non osa pronunciare: "partire". Si organizza la fuga: la madre, in lacrime, si offre di restare, e concede la mano della figlia (che aveva eroicamente negato al vecchio poliziotto) al giovane Shousheng (i due ragazzi non si guardano, ma chinano rispettosamente il capo con l'ombra di un sorriso sulle labbra). Padre e figlia partono. La mattina seguente la notizia si diffonde in paese. Il negozio è assediato dai creditori, che si disperano di non poter più ritrovare il loro patrimonio; la banca è la più forte, sempre. Il dramma esplode: la vecchia e la vedova con il neonato in braccio sono in prima fila nella calca urlante dei creditori, ma la polizia disperde i dimostranti, e spara. Nel parapiglia della fuga scomposta la donna perde il bambino, che viene calpestato dalla folla, e la telecamera si arresta sul volto sconvolto della donna che giace a terra in lacrime. Poi l'ultima sequenza: in un lago avvolto dalle nebbia una barca avanza lentamente. All'interno, Lin ha lo sguardo perduto nel vuoto, leggermente scosso dal movimento delle onde.

Questa conclusione è amara e toccante, e il film risulta efficace perché alterna la denuncia contro il potere del Guomindang, che non agisce contro il Giappone in difesa della patria ma manovra per arricchire le proprie casse, alla denuncia della meschinità della gente comune, che si occupa del proprio misero universo, opprimendo a sua volta i più poveri. Shui Hua riesce a dare un ritratto ambivalente della famiglia Lin, sì che essa non risulti biecamente esemplare, ma ogni membro abbia una sua precisa caratterizzazione psicologica, contraddittoria e dunque realistica. La regia è sobria ma solenne, abbraccia le strade e i canali del villaggio brulicante di gente con ampie panoramiche e indaga sui volti alla ricerca dell'emozione e del pensiero dei personaggi, inscrivendoli così nella complessa tela della congiuntura storica.

Proprio a causa delle ricche ambiguità il film fu duramente accusato durante la rivoluzione culturale.

Corrado Neri