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Kids return

Giappone

Per Kitano Takeshi l'infanzia e l'adolescenza sono aspetti fondamentali della poetica cinematografica: Kids Return (1996), un film di spessore e complessità nelle sue innumerevoli sfumature, fatte di sguardi, posture, silenzi e suoni, ne rappresenta un ritratto corale.

INFANZIA AL LIMITE IN KIDS RETURN

Che per Kitano Takeshi l'infanzia e l'adolescenza siano aspetti fondamentali della sua poetica cinematografica, è un fattore facilmente individuabile in molti suoi film, primo fra tutti nell'intenso e dolce Kikujirō no natsu (L'estate di Kikujiro, 1999). Tuttavia, la descrizione del travaglio e del dramma che si prova al raggiungimento dell'età adulta, viene descritto dal cineasta nipponico nel modo più incisivo in Kids Return (1996), un film di spessore e complessità nelle sue innumerevoli sfumature, fatte di sguardi, posture, silenzi e suoni. 
 

L'amicizia che lega i protagonisti, Shinji e Masaru, è di stampo marcatamente adolescenziale. Uniti in tutto, i due condividono l'aspetto ludico tipico della propria età in qualsiasi attività intraprendano, anche quando si tratti di imprese illecite, come quando, invece di andare a lezione, derubano i coetanei in metropolitana, incendiano l'auto appena comprata di un loro professore, o quando tentano di entrare in un cinema per adulti. Come molte amicizie di questo tipo, nate dalla condivisione di lunghi e noiosissimi pomeriggi, anche la loro relazione è destinata a mutare. La scuola termina con gli esami di diploma e ognuno prende la sua strada: Shinji tenta la via della boxe professionista, mentre Masaru diviene uno yakuza (da notare nel ruolo del suo capo un piacevole cammeo dell'ex stella del rock nipponico Ishibashi Ryō, uno dei tanti esempi di "gangster buono" proposti dal cineasta).

Il cerchio narrativo si chiude con il fallimento di questa gioventù che Kitano sembra amare e difendere, conferendole ingenuità anche nelle situazioni peggiori. Shinji viene traviato dal pugile fallito Hayashi, uno stereotipo, quello dell'atleta perdente, spesso presente nel cinema giapponese e nel mondo dei manga, mentre Masaru viene cacciato con disonore dal suo clan.

Il fallimento non riguarda solo i due protagonisti, ma anche gli altri giovani personaggi protagonisti delle tante piccole storie che gravitano intorno alla loro relazione, tutti "perdenti" e a un passo dall'età adulta.

Come già detto, il regista difende questa gioventù debole e silenziosa. La protegge mostrandocela in tutta la sua spontaneità, come nel caso dell'incosciente maleducazione di Masaru nei confronti del suo oyabun (capo famiglia), che sancirà la sua espulsione dalla banda. Il personaggio, interpretato da un bravo, sebbene non entusiasmante, Kaneko Ken, non sottostà all'ipocrisia del mondo adulto, ma protesta perché nessuno tenta di vendicare il suo capo, ucciso a tradimento da una banda rivale. Proprio la sua autenticità di ragazzo gli permette di percepire e quindi di reagire con impeto alla falsità del vecchio boss, al quale poco importa dell'assassinio del proprio luogotenente.

Elemento cardine della storia è senza dubbio la liaison di amore e di devozione tra Masaru e Shinji (un perfetto Andō Masanobu): il primo si comporta sempre da capo, il secondo parla poco e lo segue ovunque senza esitazione. Tra loro tutto è equilibrato, la loro intesa perfetta, come intuiamo già dal loro rincontro —mostratoci in parte a inizio film— dopo una lunga separazione, quando saltano nuovamente in sella alla loro bicicletta (icona dell'infanzia), quasi non si fossero separati che per poche ore. Il "ritorno dei ragazzi" non comporta timore per il futuro: senza progetti, sanno di poter contare sulla propria amicizia.

Dal punto di vista formale, seppure coadiuvato dalle stupende musiche di Jō Hisaishi e dall'impeccabile regia di Kitano, Kids Return può forse sembrare un film minimalista e statico, ma in realtà esso vive di quella passione, a volte discontinua e smorzata, della gioventù dei nostri anni. La pellicola è costruita con meticolosa attenzione nei tempi dei dialoghi e delle inquadrature, semplici ed efficaci. In definitiva, un'opera che mostra la lacerazione determinata dalla crescita.

Riccardo Rosati