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Junūn - L'ossessione, 1978

India

Tratto da un racconto di Ruskin Bond, il film è ambientato durante il Mutiny, la rivolta anti-inglese del 1857. Il pretesto narrativo è l'ossessione amorosa di un nobile musulmano per una giovane inglese, mentre il tema riguarda i contraddittori rapporti tra due culture.

JUNŪN (L'OSSESSIONE, 1978)

 

Regia e sceneggiatura: Shyām Benegal, dalla novella A Flight of Pidgeons, di Ruskin Bond; produzione: Shashi Kapūr (Film Valas); dialoghi: Satyadev Dūbe (in collab. con Ismat Chughtāī); fotografia: Govind Nihālānī; montaggio: Bhānudās; musica: Vanrāj Bhātiyā; interpreti: Shashi Kapūr (Jāved Khān), Shabānā Āzmī (Firdaus), Jennifer Kendal (Mariam), Nasīruddīn Shāh (Sarfaraz Khān), Kulbhūshan Kharbandā (Rāmjīmāl), Nafīsā ‘Alī (Ruth), Ismat Chughtāī (Mrs. James), Sushmā Seth (Chāchījān), Tom Alter (Charles Labadoor). Hindi/colore/141'.

Premio nazionale 1979 per il miglior film hindi, la migliore colonna sonora e per la migliore fotografia a colori.

Il pathan [uno dei quattro gruppi musulmani "nobili", originari della regione afghana o del Pakhtunistan] Javed Khan è sposato con Firdaus, sorella di Sarfraz Khan, sottufficiale indiano dell'esercito inglese. Javed, appassionato di piccioni addestrati, non ama la moglie ed è morbosamente attratto da Ruth, figlia di Charles Labadoor, un uomo d'affari inglese sposato a Mariam, figlia di un inglese e di Mrs. James, indiana musulmana di famiglia nobile. Una domenica mattina, nel maggio del 1857, i ribelli guidati da Sarfraz uccidono dei civili inglesi in una chiesa, durante una funzione religiosa. Tra gli uccisi c'è anche Charles Labadoor, mentre Ruth riesce a salvarsi, grazie anche a Ramjimal, un mercante hindu legato alla famiglia da gratitudine e amicizia. Quando Javed viene a sapere che la ragazza, con la madre e la nonna, si trova nella casa di Ramjimal, va a prendere le donne e le porta nella propria casa; annuncia inoltre che sposerà Ruth, salvando così lei e la famiglia dagli insorti. Firdaus è disperata, mentre Sarfraz non riesce a capire l'ossessione amorosa di Javed, che pensa solo ai suoi piccioni e a sposare Ruth, invece di unirsi alla lotta contro gli inglesi. Mariam cerca di temporeggiare: Ruth sposerà Javed solo se gli ammutinati riusciranno a spezzare l'assedio inglese di Delhi. Quando gli inglesi, invece, riescono a conquistare la città, Javed chiede a Mariam che sia Ruth a decidere se sposarlo o no. Solo quando un giovane cugino di Javed resta ucciso in battaglia, il pathan rinuncia a Ruth, dopo aver capito di essere ricambiato nel suo amore, e si unisce ai compagni, anche se sa che ormai hanno perduto.

 

Junun viene spesso paragonato a Via col vento, anche se in formato ridotto: ne condivide la qualità di affresco epico e l'atmosfera di grande respiro. Narra anch'esso la fine di un mondo e l'inizio di una nuova era, quella dell'India "moderna", sotto il diretto dominio della Corona britannica. L'ammutinamento delle truppe indiane contro gli inglesi, iniziato nella guarnigione di Merath, il 10 maggio del 1857, è un avvenimento molto discusso: alcuni vi hanno voluto vedere il primo vagito dello spirito nazionale; altri, più realisticamente, lo considerano l'ultimo sussulto della vecchia classe dominante. Era iniziato come rivolta militare, provocata – come causa immediata – dalla distribuzione di cartucce unte con grasso animale, il cui involucro doveva essere strappato con i denti, prima dell'uso. Erano circolate voci che si trattasse di grasso di vacca o di maiale, cosa che avrebbe violato i tabù religiosi hindu e musulmani; per questo motivo, tra i soldati si era diffusa una grande agitazione. La mattina del 9 maggio, ottantacinque dei novanta soldati che durante la parata del 23 aprile avevano rifiutato di usare le pallottole incriminate, accusati di insubordinazione, vengono pubblicamente umiliati, incatenati e condannati a lunghi periodi di carcere. Il giorno dopo scoppia la rivolta che raccoglie il malcontento dei soldati e dei sottufficiali indiani, trattati da inferiori dagli ufficiali britannici, e si diffonde rapidamente nell'India settentrionale. Al gruppo dei soldati ribelli si sono uniti proprietari terrieri e contadini, danneggiati dalla eccessiva tassazione imposta dagli inglesi, e principi diseredati, come la regina di Jhansi, di cui gli inglesi si erano annessi il regno, perché priva di eredi legittimi. L'insurrezione coglie di sorpresa gli inglesi che sembrano incapaci di reagire. L'anno successivo, tuttavia, gli inglesi hanno ragione dei ribelli e il dominio dell'India viene assunto direttamente dalla Corona; la Compagnia delle Indie Orientali, dopo 258 anni, esce di scena.

Junun inizia con il sentore della ribellione: un cantore canta i versi del poeta Khusro [1253-1324] davanti a un gruppo di soldati e a un fachiro, che cade in trance e descrive il fiume di sangue che sta per scorrere. Sarà lo stesso fachiro e i soldati ribelli, che vanno e tornano dalle battaglie – dapprima sicuri e vigorosi, poi sempre più stanchi e logorati – a scandire le fasi dell'insurrezione. In un'altra parte della città, la tranquilla esistenza dei Labadoor, che scorre accompagnata dalle note serene di un pianoforte, sembra alludere con la sua placidità alla calma innaturale che precede un cataclisma. È quanto si verifica il giorno dopo, con la strage dei civili inglesi riuniti in chiesa, ad opera dei rivoltosi guidati da Sarfraz. È la scena più cruenta e traumatica della vicenda: a questo punto, tutto è già accaduto; inizia un diverso rapporto tra i protagonisti degli eventi.

La tormentata passione di Javed per Ruth (...) è il volto "popolare" di una narrazione in cui il tema di fondo è quello dei rapporti tra indiani e inglesi, tra culture ugualmente grandi e per molti versi incompatibili. Tali rapporti, ambigui ed irrisolti, si propongono in forme complesse e sfumate nell'amicizia che si consolida tra Mariam e Ramjimal – il mercante hindu che la salva, insieme con la vecchia madre e la figlia, mettendo a repentaglio la propria vita e quella della sua famiglia – o nella diffidente solidarietà che nasce tra le donne inglesi e le donne musulmane del casato di Javed. Ma è nella lotta psicologica tra Javed e Mariam e nel grande scontro che oppone quest'ultima a Sarfraz Khan che si definiscono e si approfondiscono i rapporti di reciproco disprezzo, non scevro d'attrazione e rispetto, in cui ciascuna parte è orgogliosamente convinta della propria superiorità morale e culturale.

Fin dalle prime scene, si coglie la scarsa considerazione degli inglesi nei confronti dei "nativi" nelle parole di Charles Labadoor, quando si rivolge alla moglie per rispondere alle apprensioni della suocera, in merito alle voci sulla rivolta: "Vuoi gentilmente dire a tua madre, in una lingua che possa capire, che un popolo che non è stato capace di ribellarsi ai suoi padroni per duemila anni, è poco probabile che possa farlo domani". Anche riguardo al fatto che il pathan sosti davanti alla casa per vedere Ruth, la sua reazione tradisce un atteggiamento molto sprezzante: "Non badarci, mia cara, succede regolarmente", che i "nativi", cioè, si eccitino davanti alle donne bianche. Lo stesso atteggiamento, assai più temperato, è presente anche in Mariam, come si può osservare nel gesto altero di sciogliere le proprie mani da quelle di Ramjimal, quando questi cerca di rassicurarla e di convincerla ad aspettare, prima di agire in maniera improvvida (...). L'orgoglio di Mariam – in cui si mescolano dignità e alterigia – si enfatizza davanti a Javed, il quale, a sua volta, ha nei suoi confronti un atteggiamento ambivalente. Si potrebbe dire che, nel rapporto tra Mariam e Javed, Ruth non sia altro che il pretesto per misurare la rispettiva forza.

Ruth rimane sostanzialmente estranea a quanto accade: supera rapidamente lo shock dell'insurrezione e della drammatica morte del padre e si adatta subito alla nuova vita in casa della zia di Javed, in compagnia della giovane nuora, che ha all'incirca la sua età. Nei momenti precedenti all'insurrezione, Ruth appare più che altro seccata dagli sguardi penetranti di Javed, che è un indiano, quindi di razza e di rango inferiori rispetto a lei, appartenente alla classe dominante. Tuttavia, Javed è anche un affascinante bel tenebroso e tale particolare non sfugge alla ragazza, neppure quando è ancora in una posizione privilegiata rispetto a lui. Di notte, infatti, lo immagina mentre avanza verso di lei, con uno sguardo minaccioso e a un tempo suggestivo di oscure promesse. La paura e una vago disgusto per l'audace pathan, quando – sua prigioniera – ne conosce le intenzioni e ne paventa le azioni, lentamente cede il passo prima alla curiosità e poi a un'attrazione sempre meno dissimulata. Finisce per innamorarsi di lui e acconsentirebbe anche a sposarlo, sentendosi come la principessa di una fiaba, dimentica della delicata e critica realtà che stanno vivendo indiani e inglesi.

Mariam e Javed, invece, non dimenticano mai chi sono, ognuno impegnato a dimostrare all'altro la propria superiorità. È soprattutto l'atteggiamento di Javed che focalizza l'attenzione del regista. Si è accennato poc'anzi all'ambivalenza del comportamento di Javed verso Mariam, che si dimostra fin dalla prima volta in cui si trovano di fronte. Javed entra con la sciabola in pugno, nella stanza in cui si trovano le tre donne e afferra il polso di Ruth per trascinarla via. Mariam, con uno scatto violento, balza verso di lui e lo colpisce duramente sulla mano, liberando la figlia ed esclamando contemporaneamente: "Non osare toccarla!". Per Javed quella reazione è come una frustata al suo onore di pathan: non può cedere alla sua passione, comportarsi come un volgare rapitore di donne, confermando così ciò che legge negli occhi di Mariam, ovvero tutto il disprezzo per una razza inferiore, barbara e brutale. Nello stesso tempo, quel disprezzo gli impedisce di essere pienamente un gentiluomo (come poi dimostrerà di essere), perché gli apparirebbe come un atto di sottomissione davanti ai dominatori stranieri. Javed si troverà sempre trascinato da queste due forze contrarie davanti a Mariam. Pur trovandosi nella possibilità di approfittare in qualunque momento della situazione, si piega a chiedere la mano di Ruth a Mariam, accettando sia di aspettare la fine del lutto per il marito, sia di far officiare un rito funebre cristiano per Mrs. James, presenziando anche alla sepoltura, sia infine accogliendo le condizioni – la sorte di Delhi – poste dalla donna. Mariam cerca di guadagnare tempo per salvare Ruth da un matrimonio (ancora) indesiderato e tuttavia non si rende conto di dare ordini senza trovarsi più nella posizione di poter dettare condizioni. In realtà, non c'è un momento in cui Mariam non si senta membro della classe dei dominatori e Javed lo sa perfettamente: "Aspetterò, ma non venga a gettarmi in faccia la sua alterigia inglese. Io spezzerò il suo orgoglio, Mariam sahiba!". Ma per quanto Javed desideri spezzare quell'orgoglio, non può farlo senza apparire un barbaro, ai suoi stessi occhi, oltre che a quelli di lei, un atteggiamento che rivela rispetto umano, ma anche un vago senso di inferiorità di cui Javed non riesce a liberarsi.

Ben diverso è il carattere di Sarfraz. Anche con lui, Mariam ostenta l'orgogliosa distanza tanto efficace sul pathan: "La prova della sua umanità l'abbiamo avuta in chiesa". Sarfraz non ha sensi di inferiorità e non teme di apparire barbaro; risponde quasi dolcemente: "Certo, l'umanità la tirate fuori solo quando sono gli inglesi a morire. Solo loro sono esseri umani, solo loro hanno un nome. Gli indiani sono tanti, che importa se ne muore qualcuno?". Sarfraz non è un brutale assassino; anzi, è il solo personaggio della vicenda ad avere qualcosa che assomigli ad una coscienza soprarregionale, l'unico a intuire confusamente che quell'insurrezione potrebbe diventare qualcosa di più. È lui il grande sconfitto della vicenda: non perché la rivolta avesse veramente la possibilità di essere altro. Sarfraz viene sconfitto proprio perché si apre davanti a lui un'ottica storica più ampia, che manca agli altri contendenti, indifferenti a ciò che non è immediato e personale tornaconto. In tal senso, Javed Khan è esemplare di una classe aristocratica in disfacimento, più interessato ai suoi piccioni addestrati che agli eventi che scuotono l'India. Quando Sarfraz, disperato per la caduta di Delhi, si lancia contro i piccioni per ucciderli, Javed si lancia a sua volta contro di lui, gridando: "Fermati o ti uccido!". E Sarfraz: "Per questi piccioni sei pronto ad uccidere e per il tuo paese non sei pronto a fare nulla? È la gente come te che ci ha portati alla rovina" (...).

Ciò nondimeno, proprio nelle fasi iniziali della rivolta e del film, Javed rivela una visione più realistica della situazione indiana, rispetto al cognato. All'eccitazione di Sarfraz che racconta come la rivolta si diffonda rapidamente, ora che Bahadur Shah II (l'ultimo imperatore mughal) è stato messo alla testa degli insorti, Javed risponde con una stanca consapevolezza: "Bahadur Shah è solo un burattino. Gli insorti staranno al potere per un po' di tempo e poi sarà finita. Per gli inglesi sarà un gioco da ragazzi aver ragione di loro. E poi, rispetto ai navab, sono tanto peggiori gli inglesi? E questi tuoi navab che adesso sono dalla tua parte? È tutta facciata. Il fatto è che i navab si sono spaventati e hanno alzato la testa, perché gli inglesi li stanno privando di ricchezze e prerogative. Ma come cambierà il vento, cambieranno bandiera". Anche lui, alla fine, si unirà alla lotta, non perché convinto delle ragioni di questa, ma solo come gesto di solidarietà familiare, per vendicare la morte del giovane cugino, e anche perché sa che non ci sarà salvezza per lui, comunque. E per ironia del destino, dopo essere stato l'ultimo a raggiungere il campo di battaglia, sarà l'ultimo a lasciarlo. Quando anche Sarfraz viene colpito a morte e trascinato via dal cavallo, i ribelli si sbandano e si danno alla fuga, incalzati dagli inglesi vittoriosi. Javed rimane solo con il suo cavallo, in mezzo ai morti: una scena struggente, colma del senso della fine di un'epoca (quella dei mughal) e di un'illusione (quella di Javed, che si spegne con la fine della rivolta).

Cecilia Cossio
da Cecilia Cossio, 1993, Shashi Kapur. Una stella coperta da una nube, Cesviet, Milano, pp. 99-107.