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Il ritmo dei ricordi - Conversazione con Chang Tso-chi, Cannes 1999

Taiwan

Opera terza del regista di Taiwan Chang Tso-chi, in cui si riconosce un senso profondo del tempo e dello spazio, colto con lo sguardo ampio e generoso di chi vuole dare forma e immagine alla durata e all'attesa.

Sta tutto nella dialettica dentro/fuori il ritmo di Darkness and Light, opera terza del regista di Taiwan Chang Tso-chi, in cui si riconosce un senso profondo del tempo e dello spazio, colto con lo sguardo ampio e generoso di chi vuole dare forma e immagine alla durata e all'attesa. Si tratta di cercare un equilibrio tra la realtà che vive all'interno della casa dei protagonisti (attori non professionisti, che il regista ha scelto dopo un'esperienza di lavoro con i ciechi), e l'esterno, il mondo che si apre al di fuori di una finestra e che si offre, con le braccia spalancate, allo sguardo duplice dei personaggi e dello spettatore. Stare "fuori", allora, significa perdersi nell'intricato percorso fatto di sogni, speranze e promesse. Restare "dentro", invece, sembra un invito a ritrovarsi tra i dolci fantasmi del passato, fra quelle presenze che ritornano a manifestarsi alla fine del film in un significativo momento di ricongiunzione, dove il tempo si ferma in un istante dilatato e diffuso.

Scopriamo l'equilibrio tra le opposte dimensioni nell'alternanza di buio e luce che scandisce regolarmente l'incedere del film. È una dinamica che si ritrova nelle dissolvenze, nelle pause scure della narrazione, nel mondo buio di cui ci parlano gli occhi vuoti dei ciechi; ma anche nei bagliori improvvisi che bagnano di calore il paesaggio silenzioso e i corpi fragili, che alla luce sembrano esporsi con sguardo di meraviglia. È lo stupore a pervadere con dolcezza le immagini di Darkness and Light: lo scopriamo negli occhi dei giovani protagonisti, nei loro gesti morbidi, nelle parole sussurrate o taciute. Come se il trascorrere del tempo e il ripetersi delle situazioni nascondesse continue sorprese: quelle che Chang Tso-chi coglie in improvvisi sussulti e trasforma in contrasti di luce.

Uno degli elementi più forti di Darkness and Light è la dimensione orizzontale del tempo, come se il film scorresse nell'immobilità, diffondendosi sui luoghi della città in maniera uniforme. Quest'impressione è data soprattutto dall'uso delle dissolvenze in nero, per scandire il passaggio da una sequenza all'altra.
Per quanto concerne il tempo, nel linguaggio cinematografico, più che la successione cronologica, mi interessa il momento. In effetti, nel mio film non c'è una scansione classica, cioè il passare da ieri a oggi a domani, perché ciò che mi preme mostrare è piuttosto una successione di momenti. Amo molto la vita quotidiana e mi piace presentare l'accadere degli eventi nei dettagli. Per me è questa la percezione della vita e dello scorrere del tempo. Così, se si vuole rappresentare la realtà, bisogna interessarsi ai particolari che ci circondano, dimenticando la loro successione cronologica e il tempo. Del resto è un po' quello che succede con i ricordi: non si ha memoria di ogni momento della vita, ma di ciò che ha segnato l'esistenza, i momenti forti.

A proposito della memoria, la finestra alla quale si affaccia spesso la protagonista sembra quasi dare accesso al passato.
Bisogna dire che la finestra presenta una questione di punti di vista: quando siamo all'interno della finestra si ha una visione differente di ciò che accade all'esterno, mentre quando si è all'esterno ciò che si vede all'interno sono dei ricordi, che sono racchiusi e mostrati dalla finestra. Quando è affacciata, la ragazza sogna di essere tra le braccia del suo nuovo ragazzo, ci sono i fuochi d'artificio e tutto è bello, tutto è possibile: è l'ignoto, è il futuro, è il sogno... Insomma, la finestra è il luogo delle memorie. Del resto è raro per noi essere all'esterno della nostra finestra: si è più spesso all'interno e si guarda il bagaglio delle proprie memorie, proiettandole verso il sogno, verso il futuro. È raro stare fuori e guardare se stessi.

Il luogo che il padre torna a visitare, quello che per lui rappresenta il posto della memoria, è un sottopassaggio, ovvero un luogo chiuso. Sembra quasi che il film voglia indicare una separazione tra gli spazi esterni, che appartengono alla vita, e i luoghi interni, gli spazi chiusi, che appartengono ai non vedenti, come la casa appunto, dove alla fine si trova chiusa anche la ragazza.
Più che mostrare un contrasto tra ciechi e vedenti, direi che sotto questo aspetto mi interessava sottolineare la dissonanza che segna il personaggio del padre, che non è nato cieco ma lo è divenuto a causa di un incidente. È per questo che non ha dimenticato quel tunnel. È il caso di dire che quello è un "passaggio" importante della sua vita: è lì che ha incontrato sua moglie ed è di lì che passava tutte le mattine per andare a lavorare. Insomma, quello è un luogo che per lui significa molto, ricco com'è di ricordi. È lì che è nato il suo amore e prima di morire ha bisogno di ritornarvi per ritrovare la felicità un'ultima volta. Direi dunque che per il padre c'è un contrasto tra il prima e il dopo, mentre, per ciò che concerne la ragazza e il suo innamorato, la differenza è legata al loro destino, alle loro storie personali. Il ragazzo, infatti, proviene da una famiglia della Cina continentale, non parla la lingua locale e per questo ha dei problemi. La la ragazza, invece, ha una maniera differente di affrontare la vita: è felice, sogna e guarda sempre attraverso la finestra. I loro destini sono differenti. A un certo punto s'incrociano, ma ognuno poi segue il suo cammino.

A proposito della ragazza, Kang-i: sembra quasi che il senso del movimento nel film sia dovuto esclusivamente a lei. Gli altri personaggi sono invece più immobili e questo aumenta il senso della loro fragilità.
In realtà, quello della staticità degli altri personaggi è un elemento forzato. Ho dovuto scegliere una maniera più statica di filmare i ciechi, perché essi sono limitati nei movimenti sul set.

Perché ha voluto circondare la protagonista di corpi fragili? Come mai una scelta così radicale, forte, dolorosa?
Per me non si è trattato di scegliere una ragazza normale e circondarla di gente che soffre. Io ho vissuto con i ciechi ed è stata un'esperienza molto forte. Ho scoperto che il mondo dei ciechi ha qualcosa di straordinario. Ci sono molte cose da dire su di esso. Del resto, l'attore che interpreta il fratello della ragazza aveva già preso parte al mio film precedente e ormai è diventato un amico. Lo avevo incontrato in una scuola per ragazzi down ed era stato proprio lui che, preso dall'entusiasmo, all'improvviso mi aveva detto: "Voglio fare l'attore". Per me è diventato quasi un dovere farlo lavorare: anzi, penso continuare a proporgli qualcosa, perché ha recitato bene e perché si diverte a farlo. Tornando alla vostra domanda, desideravo raccontare una storia con dei ciechi perché avevo già scritto questo soggetto, basato sulle mie esperienze personali e comprendente anche il personaggio del ragazzo ritardato. Del resto, non credo che la vita degli handicappati sia necessariamente handicappata. Se è degna, non è necessariamente infelice.

Tornando all'uso delle dissolvenze in nero, vedendo il film abbiamo quasi avuto la sensazione che la loro durata così prolungata volesse dare spazio e tempo allo sguardo dei ciechi, quasi fossero una finestra sul buio che domina la loro vita.
No, non era questa la mia idea di partenza. Piuttosto il fatto è che amo molto le dissolvenze in nero. Del resto anche in Ah Chung, il mio film precedente, le usavo moltissimo. Per me è una questione di ritmo: le dissolvenze mi danno la cadenza che mi serve.

La sequenza in cui va via la luce vuole essere un omaggio a Hou Hsiao-hsien, visto che in molti dei suoi film c'è un momento in cui viene a mancare la corrente elettrica?
No, è una cosa che a Taiwan accade spesso, direi quotidianamente.

Nella sequenza della gita in barca, che si conclude con Kang-i che si tuffa, c'è una libertà che non si trova nel resto del film: quasi avesse voluto aprire una parentesi di felicità nella storia di questa ragazza.
In effetti dal punto di vista della ragazza quello è il momento più gioioso, perché per lei quelle sono le vacanze estive e poi dovrà tornare a Taipei per studiare. Quanto alla maniera di filmare questa sequenza, non è che ho cercato di segnarla in maniera differente dal resto del film. Tutto dipende dal fatto che quello è per la ragazza un momento particolarmente felice: è su quel battello con un ragazzo, è innamorata e sa bene che tutto, lì, è per lei più bello di quanto possa essere a Taipei, dove pure è destinata a tornare.

Proprio in questa sequenza troviamo quelle bellissime dissolvenze incrociate che sembrano quasi un'ideale sovrapposizione di corpi.
Sì, è esattamente ciò che volevo ottenere. Non tanto un'ellissi temporale, quanto un lavorare sulla coincidenza dei corpi e dei desideri, operare per una volta sull'unità dei corpi, mentre tutto il resto del film è costituito da corpi separati, dove ognuno vive nel suo spazio.

Massimo Causo, Grazia Paganelli e Giuseppe Gariazzo