Asiamedia

Gaichū (Insetti nocivi)

Giappone

Il regista giapponese Akihiko Shiota guida lo sguardo, lancia allo spettatore che non ha fretta di capire e sa aspettare con calma indizi sufficienti per comprendere cosa si nasconde dietro quel mondo all'apparenza così ben organizzato.

GAICHŪdi Shiota Akihiko

Una ragazzina esce di casa ogni mattina per andare a scuola, ma non ci arriva mai, si perde lungo strade e canali, incontra i derelitti della città, trascorre il suo tempo con loro e poi torna a casa come se fosse stata a scuola. Un'adolescente – verrebbe da dire – è un'adolescente in tutto il mondo. Ciò che cambia semmai è il modo di raccontare i suoi disorientamenti esistenziali. Il regista giapponese Akihiko Shiota (classe '61) decide di seguire la sua giovane protagonista in silenzio, di lasciarla vagabondare liberamente, di spiegare poco e di fare intuire molto. In realtà, però, guida lo sguardo, lancia allo spettatore che non ha fretta di capire e sa aspettare con calma indizi sufficienti per comprendere cosa si nasconde dietro quel mondo all'apparenza così ben organizzato. Sì, perché ciò che balza subito agli occhi è l'ordine meticoloso che lo contraddistingue. A cominciare proprio dalla divisa scolastica indossata da Sachiko e dalle sue compagne che, meglio di ogni altro oggetto, riassume il senso dell'età di chi la indossa: pulita e senza una piega fuori posto, la divisa rende tutti uguali, annulla differenze sociali e comportamentali, nasconde all'esterno ciò che si cela in profondità. È una maschera, appunto, che può far apparire Sachiko uguale alle sue coetanee anche quando, in realtà, poco o nulla condivide con loro. Sachiko non è più una bambina anche se quell'uniforme sembra ostinatamente dire il contrario. Nella sua vita è già entrato l'amore, quasi sicuramente il sesso, anche se nulla ci viene detto chiaramente. Sappiamo dalle chiacchiere che circolano tra le sue compagne che ha avuto un'esperienza amorosa precoce col maestro di prima media che poi ha abbandonato l'insegnamento per andare a fare l'operaio in un impianto nucleare. Sappiamo anche che il padre se n'è andato da tempo e che la madre cerca di tirare avanti barcamenandosi tra un lavoro poco remunerativo e un amante molto ambiguo. Sappiamo ancora che la madre tenta il suicidio quando resta sola in casa. Sappiamo, questa volta perché lo vediamo, che Sachiko preferisce stare con gli emarginati che vivono di espedienti in case squallide e sporche piuttosto che con le ragazze della sua età.
 

Sappiamo perché vediamo. Sachiko non parla. Nessuno parla in questo film di poche parole, pochissima musica, lunghi silenzi. Se non parla, Sachiko, però, almeno scrive. Intrattiene una corrispondenza epistolare col maestro, gli racconta di cose strane (pesci maschi che obbligano le femmine a deporre le uova). È così, tra le righe di queste lettere, che si percepisce l'irrequietezza di Sachiko, il disagio della sua vita da tredicenne che non trova mai il modo di esplodere apertamente.

Quando alla fine decide di partire per andare a trovare il suo maestro, si tira quasi un sospiro di sollievo. Ma il finale è agghiacciante. Per una serie di coincidenze sfortunate il maestro non arriva e Sachiko se ne va con un estraneo. Naturalmente porta ancora indosso la divisa della scuola, con la gonnellina a pieghe e le calzette bianche.

Mariachiara Pioppo