Asiamedia

Distance

Giappone

Per Koreeda il cinema è un discorso memoriale proiettato al di qua della soglia dell'indicibile. Oggetto discreto, la morte proietta la sua evidente opacità anche sui corpi di coloro che restano al di qua della membrana che separa i vivi dai morti. Ed è tentando di dare forma a uno stupore primordiale (tentando cioè di visualizzare uno sguardo che vede ancora – anche – dopo...) che il cinema di Koreeda tocca i suoi punti più alti e perturbanti.

DISTANCEdi Kore-Eda Hirokazu

La cifra espressiva di Kore-Eda oscilla tra una rarefazione radicale dello sguardo (Maborosi) e una fascinazione glaciale nei confronti di sceneggiature claustrali, gelide (After Life). Tra questi due estremi formali s'incunea la poetica di Kore-Eda, un'interrogazione liminare condotta oscillando tra l'indicibile della morte (o meglio la cessazione della percezione della vita) e lo sgomento dello sguardo che tenta di dare forma a quest'assenza. Il filmare di Kore-Eda in questo senso si pone consapevolmente in una situazione di pericolo, anche se l'apparente immobilità del suo stile sembra non registrare la minima oscillazione di tensione. Eppure è proprio quando sembra cessare la minima attività vitale che il suo cinema inizia a vivere compiutamente.

Distance tenta di saldare lo iato tra sguardo e parola, riprendendo però i cardini intorno ai quali ruotavano i suoi film precedenti. Ancora una volta un gruppo di varia umanità si trova a confrontarsi nell'isolamento più assoluto con ciò che resta della vita dopo la morte. Per Kore-Eda il cinema è un discorso memoriale proiettato al di qua della soglia dell'indicibile. Oggetto discreto, la morte (intesa sembra come mancanza terminale) proietta la sua evidente opacità anche sui corpi di coloro che restano al di qua della membrana che separa i vivi dai morti. Ed è tentando di dare forma a uno stupore primordiale (tentando cioè di visualizzare uno sguardo che vede ancora – anche – dopo...) che il cinema di Kore-Eda tocca i suoi punti più alti e perturbanti. Infatti, nonostante i silenzi ostinati e gli smarrimenti, Distance è un film che non cede alla tentazione della smaterializzazione del mondo. Mistero tra i misteri, il mondo resta evidente anche quando tutto il resto sembra oscillare e fluttuare.

Kore-Eda potrebbe essere il perfetto regista horror. La determinazione con la quale mette in discussione il principio di percezione del reale (ipotizzando silenziosamente altri mondi) è la manifestazione di un disagio che pur ancorato al presente intuisce altri perturbamenti. Non potendo (volendo?) allontanarsi dal perimetro del visibile (forse per poter filmare meglio ciò che non vi rientra...), il suo sguardo si carica così di un'impercettibile distorsione espressionista che si manifesta osservando corpi e ambienti come se necessariamente dovessero recare i segni di ciò che li trascende. Inquieti reportage sul dolore e sulle possibilità di continuare a convivervi nel mondo, i film di Kore-Eda (nonostante la programmaticità tematica da cui a volte sono gravati) si offrono come strumenti di un'esplorazione del reale che tenta di ripensare instancabilmente le cifre del complotto che ci oppone/unisce a ciò che alligna alle periferie della coscienza (e dello sguardo).Si tratta quindi di ripensare, (ri)filmare perimetri e spazi. Saggiare la forza dei corpi sopravvissuti, pensare le forme di vita alternative alla fine. Anche quando la Distance sembra incolmabile.

Giona A. Nazzaro