Asiamedia

Chicken heart

Giappone

Shimizu è regista dalle indubbie capacità nel definire gli assi di ripresa per ogni singola scena, tuttavia quest'abilità rischia di risultare controproducente perché non è supportata da un adeguato lavoro di composizione narrativa.

 CHICKEN HEART

di Hiroshi Shimizu

Hiroshi Shimizu aveva colpito per la leggerezza con cui aveva saputo abbinare comico e tragico nell'opera prima Ikinai. Il film aveva fatto proprio il lavoro sull'ellisse e sul fuoricampo del maestro Kitano (di cui Hiroshi era stato assistente in Sonatine).I vuoti,che in quel film nutrivano una storia di suicidio collettivo (anticipando quello che da lì a pochi anni sarebbe diventato un sottogenere di successo delle produzioni nipponiche), non trovano una corrispondenza adeguata in questo secondo lavoro. Chicken Hearts, dietro l'apparenza di un film socialmente impegnato, svuota di significato (o lo riduce a puro nucleo tematico) quel lavoro di sottrazione con cui Kitano legge la realtà. Molto più prossimo ad un'opera formattata su una deriva sociale fatta per compiacere il gusto occidentale,il secondo film di Hiroshi non convince: se in Ikinai l'ironia nascondeva una precisa critica al sistema, qui il comico che caratterizza i personaggi e le situazioni è molto più rassicurante.
 

Così è la marginalità vissuta dai tre protagonisti. Il giovane che per sbarcare il lunario si adatta a fare il punchball, l'artista auto-emarginatosi dal mondo e il classico impiegato sconfitto dalla società appaiono allora come una parodia dell'eterogeneità sociale mostrata nel film precedente. Virando tutto sul versante comico, Hiroshi non restituisce il senso dello humour graffiante che è segno di una precisa lettura del presente. Hiroshi è regista dalle indubbie capacità nel definire gli assi di ripresa per ogni singola scena, tuttavia quest'abilità rischia di risultare controproducente perché non è supportata da un adeguato lavoro di composizione narrativa. Come molti film comici non ben calibrati, Chicken Hearts corre il rischio di sovrapporre scene autosufficienti, in cui l'evoluzione della trama è più il frutto del caso o di salti improvvisi che di un percorso coerente (troppo fragile è infatti il filo che dovrebbe seguire l'evoluzione psicologica del giovane). E se la scelta vuole rappresentare una chiave di lettura mimetica della situazione di deriva vissuta dai protagonisti, essa risulta comunque controproducente in termini di fruizione dell'opera.

Carlo Chatrian