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Bimal Roy: A Man of Silence

India

Uno dei più famosi registi di Bollywood di tutti i tempi, ricordato per i suoi film capaci di dare una visione realistica dell'India dei suoi tempi. Ha vinto per sette volte il premio alla Miglior Regia ai Filmfare Awards: dal 1953 al 1955, dal 1958 al 1960 e nel 1963.

 

 "A man of silence" è il titolo del libro che Rinki  Roy Bhattacharya,1 figlia di Bimal Roy, dedica al padre nel 1989, a ventitrè anni dalla sua morte, avvenuta nel 1966. E’ un modo perfetto per definire il carattere schivo e gentile di questo grande cineasta, considerato tra i precursori della corrente realista nel cinema dell’India. Bimal Roy2 era nato a Dacca, nel 1909, quando la città, oggi capitale del Bangladesh, era un centro urbano periferico del Bengala indiviso e il subcontinente indiano faceva parte dell’impero britannico. Veniva da una famiglia di proprietari terrieri, ma i rovesci economici alla morte del padre avevano costretto Bimal Roy, che studiava all’università, a lasciare gli studi per trasferirsi a Calcutta in cerca di lavoro, con la madre e i fratelli minori. La sua passione per la fotografia lo aveva portato a contatto con l’ambiente del cinema e precisamente con i leggendari New Theatres, gli studi fondati nel 1931 da Virendranath Sarkar. Qui Bimal Roy viene assunto come aiuto-operatore dal regista Nitin Bos e diventa in breve un nome di fiducia. Di fiducia soprattutto per P.C. Barua, che se lo assicura come direttore della fotografia in diversi suoi film, come la versione hindi di Devdas (1935), Grihdah (La casa in fiamme, 1936), Maya (id., 1936) e Mukti (Liberazione, 1937).

Dopo aver realizzato Bengala Famine,  documentario sulla terribile carestia del Bengala del 1943, Bimal Roy passa decisamente dietro la macchina da presa con Udayer pathe (Sulla via della luce, 1944, con una versione hindi uscita nel 1948, dal titolo Hamrahi, Compagni di viaggio). Il film, che vede contrapposti lo scrittore Anup, impegnato nella causa della classe lavoratrice, e Rajendranath, rappresentante del capitalismo rampante indigeno, ha una sorta di sequel nel successivo Anjangarh (id., 1948). Qui il conflitto è tra il despota di un piccolo regno e una compagnia mineraria apparentemente democratica, che tuttavia si rivela priva di scrupoli come il regnante, con il quale si allea per accusare un innocente del malcontento popolare.

Nel frattempo, dopo il 1945 si stavano verificando notevoli cambiamenti nell’economia del cinema. Gli enormi aumenti nei costi di produzione avevano causato la rovina di gloriose compagnie di produzione, come i New Theatres, determinando, insieme ad altri fattori come la Partizione del 1947, un afflusso di energie verso Bombay. Nel 1950, anche Bimal Roy is dirige all’Ovest e, dopo qualche tempo presso i Bombay Talkies, fonda nel 1952 una sua compagnia, Bimal Roy Productions, con cui realizza i suoi film più noti e di maggior successo. Sempre nel 1952 e a Bombay si tiene il primo festival internazionale del cinema ed è in questa occasione che il neorealismo italiano entra nell’orizzonte cinematografico dell’India come ispirazione fondamentale per i cineasti di quella e delle successive generazioni.  Tra i primi a recepirla a Bombay è Bimal Roy che nel 1953 consegna alla storia il film a cui è più internazionalmente legato il suo nome, Do bigha  zamin (Due pezzi di terra),4 la storia del contadino Shambhu, costretto ad andare a lavorare a Calcutta, come tiratore di risciò, per salvare i suoi due pezzi di terra dalla morsa del latifondista cui cui è indebitato. Nonostante il romantico idealismo che pervade le scene di vita agreste, emerge chiara la condizione di povertà e sfruttamento dell’India rurale, condizione resa ancora più drammatica dal processo di urbanizzazione selvaggia avviatosi dopo la fine della seconda guerra mondiale e l’ottenimento dell’indipendenza. Il film, che aveveva ricevuto una menzione speciale ai festival di Cannes e Karlovy Vary (1955-56), deve molto alla straordinaria interpretazione del protagonista, Balraj Sahni, e all’opera dei collaboratori del regista, presenti in altre sue opere: l’autore dei testi delle canzoni, il poeta bihari Shailendr; il musicista Salil Chaudhri, che lavorava per la prima volta nel cinema di Bombay;  e il montatore, Rishikesh Mukharji, poi a sua volta passato alla regia per diventare un nome di punta. Salil Chaudhri e Rishikesh Mukharji sono tra le energie trasferitesi da Calcutta a Bombay. Lo stesso Bimal Roy aveva facilitato il loro trasferimento occidentale, insieme a quello di altri cineasti bengalesi, poi affermatisi nel campo hindi, come Hemen Gupt, Nabendu Ghosh, Kamal Bos e Asit Sen.

A Do bigha  zamin, segue una trilogia ispirata a opere dello scrittore bengalese Sharatchandr Chattopadhyay: Parinita (Una donna sposata, 1953), Biraj Bahu (id., 1954) e, come omaggio a P.C. Barua, un bel rifacimento di Devdas (1955). La moderata risposta del pubblico a quest’ultimo film diventa invece entusiastica per Madhumati (id., 1958), una storia di reincarnazione basata su un soggetto di Ritvik Ghatak e ancora con la collaborazione di Shailendr, Salil Chaudhri e Rishikesh Mukharji. Se Madhumati  è il maggior successo commerciale di Bimal Roy, il riconoscimento della critica va invece (accanto a Do bigha  zamin) a Sujata (id., 1959) e soprattutto a Bandini (La detenuta, 1963). Nel primo viene affrontato il tema dell’intoccabilità: Sujata (lett. “ben nata”), un’orfana intoccabile allevata in una famiglia di brahmani, viene accettata veramente come figlia solo quando il suo sangue si dimostra l’unico compatibile per essere donato alla madre adottiva, in pericolo di vita. L’interprete del film, Nutan (morta nel 1991 e introdotta nel cinema a quattordici anni dalla madre, Shobhna Samarth, a sua volta famosa attrice e tra le prime registe dell’India), è anche la protagonista di Bandini, tratto da un soggetto di Jarsandh, che aveva trasferito la sua esperienza carceraria in questo ed altri racconti. La dura storia della detenuta Kalyani si scopre a poco a poco attraverso dei flashback che, dall’India appena indipendente ritornano al Bengala degli anni Trenta, quando era teatro di una lotta armata contro la dominazione straniera. Kalyani, sotto la pressione psicologica di dolorose circostanze, aveva ucciso (in una scena memorabile) la moglie dell’uomo a cui si era promessa, il rivoluzionario Vikas. Bandini, oltre ad essere considerato l’opera migliore di Bimal Roy, è anche la più grande interpretazione di Nutan, che porta sullo schermo una delle immagini femminili di maggior spessore mai apparse fino a quel momento. A sostenerla validamente ci sono Ashok Kumar nel ruolo di Vikas e un giovane e non ancora machoman Dharmendr nella parte di Deven, il medico carcerario innamorato di lei. Altri elementi concorrono al successo del film, come le musiche molto belle di Sachin Dev Barman, compositore di elevato prestigio, e i testi di Gulzar, poeta e in seguito regista di fama al suo debutto nel cinema.

Bimal Roy aveva ottenuto il premio Filmfare (dal nome della nota rivista che l’aveva istituito) come miglior regista per la prima volta nel 1953, per Do bigha  zamin, giudicato anche il miglior film dell’anno). Il premio per la regia l’aveva ricevuto anche nel 1954, 1955, 1958, 1959 e 1960 rispettivamente per Parinita, Biraj Bahu, Madhumati, Sujata e Parakh (La prova). Bandini riceve otto riconoscimenti Filmfare: miglior film, miglior regista, migliore attrice protagonista, miglior fotografia (Kamal Bos), miglior suono (D. Bilimoriya) e miglior soggetto (Jarsandh). Un modo appropriato per concludere un percorso esemplare. Così ricorda  il “maestro silenzioso”5 Dilip Kumar, che era stato il protagonista di Devdas, Madhumati eYahudi (L’ebreo, 1958):

“To me it was an education to work with him. In my formative years it was important to work with a director who lead you gently under the skin of the character. Today we have institutions, they teach cinema, acting etc. We did not have these in our times. We had instead directors like Bimal Roy.”

 

Cecilia Cossio

 

 

Note

1 – Il libro è oggi disponibile in un’edizione pubbicata nel 1994 dall’editrice Indus di New Delhi.  Rinki Roy Bhattacharya, che nel 2009 ha pubblicato un secondo libro sul padre, The man Who Spoke in Pictures, è documentarista e autrice di testi critici sul cinema. Vedova del regista Basu Bhattacharya, è la madre di Aditya Bhattacharya, a sua volta regista e attivo anche in Italia.

 

2 - Bimal Roy è la pronuncia bengalese di Bimal (o, più correttamente, Vimal) Ray; data la popolarità della prima forma, anche nella trascrizione hindi, abbiamo deciso di darle la preferenza.

 

4 – Il titolo viene tradotto in inglese come Two acres of land, che in italiano, chissà perché, diventa Due ettari di terra. Ma bigha, misura per altro variabile, corrisponde più o meno a 5/8 di acro, che moltiplicato per 2 fa circa mezzo ettaro.

 

5 – Cfr.  Bimal Roy - The Silent Master (1909 - 1966), a cura del Bimal Roy Memorial, <www.bimalroymemorial.org>.

 

 

Filmografia

Film:

Udayer pathe (Sulla via della luce, 1944; versione hindi: Hamrahi, Compagni di viaggio, 1948)

Anjangarh (id., 1948)

Mantramugdh (Vittima d’incanto, 1949)

Pahla admi (Il primo uomo, 1950)

Ma (La madre, 1952)

Do bigha  zamin (Due pezzi di terra, 1953)

Parinita (Una donna sposata, 1953)

Bap-beti (Padre e figlia, 1954)

Biraj Bahu (id., 1954)

Naukri (L’impiego, 1954)

Devdas (id., 1955)

Madhumati (id., 1958)

Yahudi (L’ebreo, 1958)

Sujata (id., 1959)

Parakh (La prova, 1960)

Prempatr (La lettera d’amore, 1962)

Bandini (La detenuta, 1963)

 

Documentari*:

Bengal Famine (1943)

Immortal Stupa (1961)

Life and Message of Swami Vivekananda (1964)

Gautama the Buddha (1967)

 

*Nel 1960 Bimal Roy stava progettando un documentario dal titolo Amrit kumbh (La brocca del nettare dell’immortalità; kumbh è anche il segno zodiacale dell’acquario), per il quale aveva girato diverse scene. Dopo la morte del regista, questo lavoro – sul Kumbh Mela, la grande festa religiosa hindu che commemora la contesa tra dei e demoni per assicurarsi appunto l’amrit kumbh e si tiene ogni dodici anni – sembrava andato perduto. Di recente, invece, è stato ritrovato dal figlio, Joy Bimal Roy, che lo ha portato a termine e al pubblico con il titolo Images of Kumbh Mela.