Gli anni 60 sono il decennio del mohbhang o "crollo delle illusioni", segnato da molti eventi cruciali: due scontri armati, con la Cina (1962) e con il Pakistan (1965), la morte di Nehru (1964), l'ascesa al potere di Indira Gandhi e la rivolta contadina di Naksalbari (1967). È anche il periodo in cui si approfondisce il solco tra il cinema popolare e il "nuovo cinema", fino a una vera e propria Partizione alla fine del decennio.
GUIDA PRATICA AL CINEMA (PAN)INDIANOQuarta puntata: le strade si dividono
Gli anni 60
Gli anni Cinquanta erano stati un periodo positivo, cui aveva fatto da traino la carica di entusiasmo dell'ottenuta indipendenza. Ma alla fine del decennio comincia ad apparire evidente che progresso e benessere per tutti e giustizia sociale sono più belle parole che mete effettive di un cammino, irto di difficoltà e ostacoli: è il periodo del mohbhang, del "crollo delle illusioni", segnato da molti eventi negativi. Il disastroso scontro di confine con la Cina (1962) mette in luce la debolezza e l'impreparazione militare del paese, oltre alle ambiguità della linea politica di Nehru. L'umiliazione subita da parte di un paese fino ad allora considerato amico viene solo in parte riscattata dal successo riportato nel secondo conflitto con il Pakistan (1965). Con la morte di Nehru (1964), comincia a sfilacciarsi la leadership che aveva guidato il movimento d'indipendenza. Nel 1966, dopo il breve governo di Lal Bahadur Shastri, la guida del Congresso e del paese viene assunta da Indira Gandhi, che deve subito affrontare una grave crisi alimentare, ma con una manovra che si rivela controproducente: la svalutazione della rupia, a cui segue grave perdita nel potere d'acquisto dei salari. L'anno dopo, la condizione di disperata miseria in cui versano i braccianti agricoli e la maggioranza dei contadini sfocia in una rivolta armata, iniziata a Naksalbari (Bengala settentrionale) e poi chiamata "naksalita". Repressa sanguinosamente in Bengala nel giro di pochi mesi, la rivolta (che lascia un'impronda profonda tra i cineasti più impegnati sul piano sociale e politico) si estende tuttavia ad altre zone rurali del confinante Bihar e dell'Uttar Pradesh, nell'Andhra Pradesh e in Kerala, assumendo anche caratteristiche di guerriglia urbana. Negli anni seguenti, Indira accentra nelle sue mani un vasto potere, porta il partito del Congresso alla scissione nel 1969 e inizia la destabilizzazione del sistema (pur con tutti i limiti) democratico creato dalla leadership nazionalista e dal padre in prima persona.
Evidentemente il cinema non poteva rimanere estraneo a questa evoluzione o involuzione della società. Come scrive Iqbal Masud, era tempo per il cinema di "iniziare un dibattito ideologico con la cultura che l'aveva nutrito" (1987). Questo dibattito, di cui si possono rintracciare le avanguardie nel decennio precedente, sia nell'ambito del cinema panindiano (in autori come Bimal Rāy, K.A. Abbās e Guru Datt), sia nelle opere della Triade bengalese (Ritvik Ghatak, Satyajit Rāy and Mrināl Sen), comincia ad investire un territorio più vasto. Questo porta lentamente a una biforcazione sempre più accentuata nel cammino del cinema, per arrivare, verso la fine del decennio ad una vera "partizione": da un lato, il cinema popolare, rivolto cioè al vasto pubblico, semplicisticamente e indebitamente bollato come "commerciale", "masālā" (spezie) o, come oggi va di moda, "Bollywood"; e dall'altro, il "nuovo cinema" (nayā sinemā), molto apprezzato dalla critica, anche internazionale, e praticamente ignorato dalla platea indiana. I termini più appropriati potrebbero essere mainstream per il primo e, conseguentemente, parallelo (samānāntar sinemā) per il secondo. I film che segnano questa spaccatura sono Bhuvan Som di Mrināl Sen, Sārā ākāsh (L'intero cielo) di Bāsu Chatarjī) e Uskī rotī (Il suo pane) di Mani Kaul, tutti del 1969.
Negli anni Sessanta, quella cinematografica non è più considerata una professione disonorevole, anche se l'atteggiamento delle classi più tradizionaliste tende a mantenersi sulle posizioni di sempre. La funzione sociale e culturale del cinema viene riconosciuta dallo stesso governo centrale, con la creazione, all'inizio del decennio, di alcune istituzioni destinate ad incentivare la produzione di pellicole qualitativamente significative, come la Film Finance Corporation (1960), che nel 1976 diventerà National Film Development Corporation. Sempre nel 1960, a Puna, nella vecchia sede della Prabhat Film Company (1929), viene aperto il Film Institute of India che inizia i corsi nel 1961, per diventare, nel 1974, Film and Television Institute of India. A pochi passi dall'istituto, nel 1964 viene creato anche il National Film Archive of India. Sono proprio questi organismi a sostenere gran parte della produzione "parallela", che avrà il momento di maggior fioritura nel decennio seguente.
Mughal-e-āzam (1960)
Sul fronte del mainstream, gli anni Sessanta si aprono con opere memorabili, come Mughal-e-āzam (Il Grande Mughal, 1960, di Karimuddīn Āsif), uscito con due ulteriori versioni, in inglese e in tamil. Potrebbe essere classificato come polpettone storico sull'amore di Salīm, futuro imperatore Jahāngīr, per la danzatrice Anārkalī, contrastato dal padre, Akbar il Grande, se invece - con i suoi quindici anni di lavorazione e i molti cambiamenti, la ricchezza dei dialoghi, a cui collaborano scrittori urdu come Kamāl Amrohī e Vajāhat Mirzā, la bellezza delle musiche di Naushād, la sequenza a colori della danza di Anārkali nella sala degli specchi e la personalità di attori come Prithvīrāj Kapūr (Akbar), Dilīp Kumār (Salīm) e Madhubālā (Anārkalī) - non rappresentasse per lo schermo indiano quello che Via col vento è per lo schermo occidentale.
Sāhab bībī aur ghulām (1962)
Un'altra opera straordinaria, sotto ogni punto di vista, è Sāhab bībī aur ghulām (Re, regina e fante, 1962, re. Abrār Alvī/Guru Datt), ultimo film e - secondo molti - il più maturo della trilogia-capolavoro di Guru Datt, che muore due anni dopo. Il film, ambientato nella Calcutta dell'800, racconta lo splendore e la decadenza dell'aristocratica famiglia Chaudhrī attraverso gli occhi di Bhūtnāth, un giovane campagnolo che, divenuto architetto, sovrintende alla demolizione della loro sontuosa dimora, ormai in rovina, e ne scopre il segreto.
Sempre all'inizio del decennio esce Qānūn (La legge, 1960), un racconto poliziesco basato sullo scambio di persona e diretto da B.R. Choprā, che ottiene un buon successo di pubblico, pur essendo uno dei pochi esperimenti di film senza canzoni. Dello stesso anno è Chhaliyā (Chhaliyā, 1960), il primo film del regista destinato a diventare negli anni 70 il re del masālā, Manmohan Desāī. L'opera è importante per la tematica affrontata ovvero un episodio della sorte comune a molte donne vittime della Partizione. Molte di loro erano state rapite, stuprate o avviate alla prostituzione, spesso torturate e uccise dal 'nemico'. Molte altre erano state uccise o costrette al suicidio dai familiari per salvare l'onore (della famiglia e soprattutto dei maschi della famiglia), quando non semplicemente vendute (all'Altra o alla propria comunità) per salvare la pelle o solo per denaro. Riportate in India dal Pakistan - o da altre località, indiane - con l'intervento dello Stato, difficilmente venivano riaccolte nella famiglia d'origine, perché 'contaminate' e 'contaminanti'. Chhaliyā è una vicenda a lieto fine: la protagonista, riaccolta dal marito solo grazie all'opera di intercessione del vagabondo Chhaliyā, era stata salvata e protetta da ogni pericolo da un musulmano senza macchia e senza paura.
In quegli stessi anni, in Bengala, Ritvik Ghatak firmava i suoi maggiori film (Meghe dhākā tārā [Una stella coperta da una nube], 1960; Komal gāndhār [Mi bemolle], 1961; e Subarnarekhā [Il fiume Subarnarekhā], 1962), anch'essi segnati - ma con ben altra intensità - dalla Partizione.
Janglī (1961)
Oltre che per la biforcazione tra cinema commercial-popolare e cinema 'impegnato', gli anni Sessanta sono ricordati per la grande popolarità conquistata da Shammī Kapūr (n. 1931). Figlio di Prithvīrāj Kapūr (1906-92) grande attore cinematografico e teatrale, e fratello di Rāj Kapūr (1924-88), il massimo showman del cinema panindiano, Shammī porta una ventata di nuovo, un'esuberanza carnale quasi animalesca e una carica di sessualità fino ad allora mai espressa sullo schermo. Definito come vidrohī sitārā, "la stella ribelle", ha avuto sul pubblico dei teenagers indiani occidentalizzati di quel periodo un impatto che si può avvicinare a quello di Elvis Presley da noi. Nonostante sia ormai invecchiato e ingrassato a dismisura, resta ancora nel cuore del pubblico come immagine del ragazzo ribelle e pieno di vita, il ragazzo yahu, dall'urlo che lanciava, dopo aver scoperto l'amore, in Janglī (Selvaggio,1961, re. Subodh Mukharjī), uno dei suoi film di maggior successo.
Altri film importanti del periodo:
Chaudahvīn kā chānd (La luna del 14esimo giorno [luna piena], 1960, regia di Muhammad Sādiq): Pyārelāl, innamoratosi di una donna intravvista per un attimo senza il velo, rifiuta il matrimonio con la sposa scelta dalla madre e chiede all'amico Aslan di sposarla al suo posto. Scoprirà troppo tardi che la sposa prescelta era la donna del velo.
Dharmputr (Figlio per fede, 1961, Yash Choprā): un giovane legato all'induismo militante scopre di essere musulmano durante i giorni della Partizione. Non solo è tra i primi film ad affrontare i rapporti intercomunitari e la tragedia del 1947, ma è forse il primo ad accennare al tema dell'identità individuale.
Gangā Jamnā (Gangā e Jamnā,1961, Nitin Bos): scritto e prodotto dal famoso attore Dilīp Kumār, è la storia di due fratelli, Gangā, che sceglie il banditismo in seguito a una falsa accusa, e Jamnā, diventato invece un integerrimo poliziotto. Sarà proprio lui a uccidere il fratello nella finale resa dei conti.
Kābulīvālā (L'uomo di Kābul, 1961, Hemen Gupta): ambientato a Calcutta e tratto da un racconto di Tagore, narra di un venditore ambulante di Kabul che si affeziona a una bambina che gli ricorda la figlia. Dopo lunghi anni di detenzione per omicidio, quando torna a cercare la bambina, scopre che questa, come probabilmente sua figlia, è ormai grande e si è dimenticata di lui.
Bandinī (La detenuta, 1963, Bimal Rāy): il medico di una prigione femminile si innamora di una detenuta, colpevole di aver avvelenato la moglie dell'uomo a cui era promessa, un anarchico attivo nel Bengala degli anni Trenta, attraversato da un'ondata di atti terroristici contro il dominio britannico.
Mere mahbūb (Mio amato, 1963, H.S. Ravail): come Chaudahvīn kā chānd, storia d'amore e di scambio di persona, di ambientazione (fantasiosamente) musulmana, in cui un giovane si innamora di una fanciulla intravista un attimo senza il velo. Il grande successo del film è dovuto anche alle musiche di Naushād.
Bluff Master (1963, Manmohan Desāī): storia – confezionata su misura per Shammī Kapūr - di un cronista mondano, bugiardo patentato, che si innamora di una 'vittima' della sua macchina fotografica.
Chitralekhā (1964, Kedār Sharmā): remake a colori del film omonimo del 1941 ad opera dello stesso regista. Amore e rinuncia sono i valori intorno a cui è costruita la vicenda, ambientata all'epoca dei Maurya (IV sec. a.C.), che ripropone il personaggio della cortigiana, una delle figure più interessanti della cinematografia hindi e indiana.
Haqīqat (La verità, 1964, Chetan Ānand): la guerra di confine del 1962 con la Cina, vista tutta secondo l'ottica indiana tradizionale, con molti inserti documentari che riprendono Chou En Lai in visita a Delhi e Nehru.
Rājkumār (Il principe, 1964, Manmohan Desāī): sorta di divertente parodia dei film in costume; racconta di un principe, tornato in India da Parigi, che riesce a sventare il complotto ordito dalla matrigna.
Sangam (Unione o The Confluence, 1964, Rāj Kapūr): primo film a colori del cineasta,racconta di due amici, Sundar e Gopāl, innamorati della stessa donna la quale, pur amando il secondo, sarà costretta a sposare il primo, con estremo sacrificio finale di Gopāl.
Āsmān Mahal (Palazzo Āsmān, 1965, K.A. Abbās): un vecchio navāb ormai decaduto rifiuta di vendere il suo palazzo per farne un albergo, nonostante le pressioni del figlio. Il protagonista, Prithvīrāj Kapūr, ottiene un riconoscimento speciale al festival di Karlovy Vary
Guide (1965, Vijay Ānand): Rosie, sposata con Marco, un archeologo, viene sedotta da Rājū, guida turistica, che la spinge a diventare famosa come ballerina e, in seguito, le sottrae del denaro. Uscito di prigione, Rājū finisce in un villaggio dove viene creduto un santone e tale, in effetti, diventa, digiunando a morte per far piovere. Tratto dal romanzo omonimo di R.K. Nārāyan del 1965.
Ghaban (Malversazione, 1966, Krishna Choprā/Rishikesh Mukharjī): tratto dal romanzo omonimo del 1930 di Premchand (1880-1936), in cui un giovane sottrae dei soldi dall'ufficio per comprare gioielli alla moglie. Terzo film di Krishna Choprā; alla sua morte, avvenuta a Roma nel 1965, viene portato a termine da R Mukharjī.
Tīsrī qasam (Il terzo giuramento, 1966, Bāsu Bhattāchārya): tratto dalla famosa novella omonima di Phanīshvarnāth Renu (1921-77), racconta la delicata storia d'amore tra il carrettiere Hīrāman e l'attrice di navtankī (forma di teatro tradizionale) Hīrābāī. Ottiene la medaglia d'oro presidenziale come miglior film dell'anno.
Upkār (o Good Deed, 1967, Manoj Kumār): primo di una serie di film nazionalistici del regista (e anche protagonista dell'opera), in cui si confrontano la semplicità e l'onestà contadina dell'India "vera" e la dissolutezza e la decadenza dell'ambiente urbano e occidentalizzato. E altro ancora.
Aradhnā (Adorazione, 1969, Shakti Sāmant): Vandnā è fidanzata con il pilota Arun, che muore in un incidente aereo, lasciandola sola e incinta. Vandnā dà in adozione il bambino, ma si fa assumere come bambinaia per dedicarsi a lui. Famoso anche per le musiche di S.D. Barman.
Ittefāq (La coincidenza, 1969, Yash Choprā): come aveva fatto il fratello nel 1960 con Qānūn, Yash realizza un film poliziesco senza canzoni ed ottiene un lusinghiero successo, anche grazie alla presenza di Rājesh Khannā, uno dei divi preferiti dal pubblico.
Sāt hindustānī (Sette indiani, 1969, K.A. Abbās): vicenda ambientata durante la campagna per la liberazione di Goa dal dominio portoghese, tra il 1954 e il 1961; sette indiani di diversa religione e provenienza, a simboleggiare l'unità nella diversità, compiono una spedizione non-violenta nel territorio goano. Il film vede anche il debutto sullo schermo di Amitābh Bachchan.
Satyakām (1969, Rishikesh Mukharjī): Satyapriya, orfano di madre e allevato dal nonno, nazionalista convinto, scopre che l'indipendenza non basta a realizzare i sogni nati con il movimento nazionale. Sposa Ranjnā, violentata e messa incinta dal principe alle cui dipendenze egli stesso lavora, e dovrà lottare perché il nonno accetti il bambino, cosa che avverrà grazie a un racconto mitologico.
(continua)
Consigli bibliografici
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Rajadhyaksha, A., - Willemen, P., 1995, Encyclopaedia of Indian Cinema, Oxford University Press-British Film Institute, New Delhi-London.
Rangoonwalla, F., 1983, Indian Cinema. Past & Present, Clarion Books, New Delhi, pp. 130-134.
Cecilia Cossio