È a questo punto che il pessimismo atroce di Kitano si celebra: come in tutti gli altri suoi film di mafia e non soltanto, a dir la verita il desiderio si scontra con l'ordine delle cose, e ciò che ne salta fuori è soltanto sconfitta e rovina letale.
BROTHER (II)
Tutto giusto cio che fanno rilevare i detrattori, o i quasi-detrattori, dell'ultimo film di Kitano: mancano l'astrazione e le sospensioni, le ellissi sembrano quasi appiccicate a forza e paiono poco funzionali alla narrazione, e troppo parlato quando invece i precedenti lavori sottraevano efficacemente la parola, lo script si basa sulla reiterazione di cliche gia visti quasi a dimostrazione di una lacuna di ispirazione, il personaggio-Kitano si assume un'importanza testuale e paratestuale autarchica e riflettente impressionante e magari fastidiosa, la violenza e spesso gratuita, eccessiva e meccanica, il prodotto sembra confezionato per un pubblico che ormai ama alla follia Beat Takeshi, che occidentalizza l'opera con forza e dunque forse la desensibilizza autorialmente. Giusto e pure condivisibile. Ma è esattamente per questo che è un film importante, nella filmografia del regista e come pellicola nel panorama cinematografico attuale. Brother e un film-virus&kamikaze imbevuto fino al midollo di ardore, sensibilità e pessimismo giapponesi. Yamamoto (Kitano) è un killer capace solamente di fare la guerra secondo criteri e codici rigorosissimi ed elementari: o bianco o nero, nessuna via di mezzo. Costretto ad abbandonare il Giappone, si reca in America per fare anche lì la guerra, semplicemente perché non sa fare altro. E, ovviamente, adotta metodi e stilemi che conosce, cioe i suoi naturali. In questo modo, viene a cozzare irrimediabilmente contro metodi e stilemi assai differenti: fare la guerra in Usa non è come fare la guerra in Giappone. Potrebbe suonare come un paradosso, eppure il codice della violenza messo in atto dagli americani non riesce, nonostante un'apparente iniziale corrispondenza alle necessità, a stare al passo con quello made in Japan: troppo dispersivo, calcolatore, chiacchierone per andare d'accordo con il furore immediato, viscerale e puramente impulsivo di Yamamoto. Il risultato non può essere che la distruzione e la morte. E, prima di tutto, a monte, il fallimento. La coerenza con il pensiero e la visione del mondo kitaniani è rispettata. Kitano utilizza in Brother stereotipi di caratteri e meccanismi di messinscena (soprattutto nelle sequenze di sangue, più o meno tutte già digerite nei film neri precedenti del regista) non per stanchezza, ma perché, proprio come il suo personaggio Yamamoto riguardo alla maniera di fare la guerra, al tirar delle somme non conosce che quelli per entrare nel mondo e nel cinema Usa. Vediamo di chiarirci: non è che Takeshi Kitano non sappia fare altro che quelle scene d'azione, ma come regista giapponese che si pone di fronte al cinema americano, e in special modo a un genere come il film di gangsters, e decide di entrarci, quasi per osservare, di nuovo come Yamamoto, quanto la sua maniera-base di fare cinema possa conviverci, il modo piu limpido e chiaro è appunto quello di adoperare la forma-base del suo cinema, quella più cristallina, ovvero il suo repertorio. Perché è come se partisse da zero. D'altronde, cerca di venire a patti con una novità (il cinema Usa), e lo fa con ciò che il suo pubblico conosce meglio (perche l'ha gia visto). È il suo tentativo di sabotare il mondo: non piu soltanto il Giappone, ma ora anche gli Stati Uniti; e non è un caso che il film contenga personaggi geograficamente differenti (ispanici, portoricani, neri, italiani, giapponesi), per allargare i confini di un universo che Kitano-Yamamoto vuole contagiare con la sua figura e i suoi credo (quell'autarchia un po' vanitosa di cui si diceva). È a questo punto che il pessimismo atroce di Kitano si celebra: come in tutti gli altri suoi film di mafia e non soltanto, a dir la verita il desiderio si scontra con l'ordine delle cose, e ciò che ne salta fuori è soltanto sconfitta e rovina letale. Mi sembra che risieda proprio qui l'importanza di Brother: Yamamoto vuole fare la guerra in America con le sue armi, ma scopre a proprie spese che non ci può riuscire; Kitano vuole agganciare e contagiare il cinema Usa e il genere gangster con i suoi sistemi, ma scopre che un'alleanza non puo mai esistere perché troppo lontani e inconciliabili sono i parametri. Nessun compromesso: Giappone e Usa restano inavvicinabili, come ci ha insegnato anche la Storia con la S maiuscola. Yamamoto è un kamikaze che crea caos esclusivamente dentro un0area minuscola rispetto al mondo intero. Kitano porta il virus japan verso occidente, ma l'effetto gli muore in mano. Brother allora mi pare più nero del nero di Sonatine & Co.: non più bello, intendiamoci (perche comunque, a rigor di logica e senso, nella filmografia kitaniana gli farei occupare la posizione piu bassa insieme a Kids Return) ma più doloroso. Lo sguardo si è esplicitamente esteso, distribuendo pessimismo senza vie di fuga su tutto e tutti, di ogni razza e colore, bagaglio e radici, pensiero e cultura. Che molti personaggi, al di là di legami di sangue diretti, desiderino essere fratelli, cercando disperatamente una comunione e una vicinanza, la dice lunga. Yamamoto e più spesso chiamato dagli altri membri della banda con il termine "aniki", che è l'appellativo con il quale i più giovani si rivolgono ai più anziani in senso gerarchico, ma che quasi sempre coincide anche con l'età tra i "kobun", cioè, sempre gerarchicamente parlando, i figli degli "oyabun", i padrini-capi yakuza. Ogni tentativo di allacciare o riallacciare una fratellanza, che sia di grado parentale o gerarchico, sfocia nella morte. "Aniki" significa fratello maggiore. Kitano ha chiamato il suo ultimo film Brother. |
Pier Maria Bocchi
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