Se D.G. Phalke è il padre del cinema indiano, Ārdeshir Īrānī è il padre del cinema sonoro, anzi, molto sonoro: Alam Ara (1931) presenta un aspetto destinato a diventare una sorta di marchio di fabbrica del cinema made in India, le canzoni. Ma Ardeshir Irani è un battistrada anche in altre direzioni.
ĀRDESHIR ĪRĀNĪ (1885-1969): Parole e musica
Tra i grandi pionieri del cinema indiano, Ārdeshir Mārvān Īrānī occupa un posto del tutto speciale. Se Dādāsāhab Phālke viene considerato il padre di questa cinematografia, l'iniziatore della Industry per eccellenza, Ārdeshir Īrānī è innanzitutto il padre del cinema sonoro, ma anche vero battistrada in molte direzioni. Nato a Puna il 10 dicembre 1885, dopo gli studi alla J.J. High School di Bombay, inizialmente trova lavoro come insegnante, per diventare poi ispettore di polizia e lavorare in seguito con il padre, commerciante di strumenti musicali a Bombay. Infine, intuisce che il cinema puo offrirgli migliori possibilità e comincia ad importare film stranieri, destinati a spettacoli ambulanti, diventando il distributore indiano della Universal Pictures. Nel 1914 riesce a comprare l'Alexandra Cinema di Bombay insieme a un partner, Abdulalī Yūsufalī (1884-1957): una società destinata a durare ben 55 anni, la più duratura nella storia del cinema indiano. Nel 1917 (o 1920, secondo altre fonti), Ārdeshir Īrānī fonda la Star Film Company, che successivamente diventa Majestic Film Company (1923), Royal Art Studio (1926) e finalmente, sempre nel 1926, Imperial Film Company, autentico vivaio di stelle dello schermo. In dodici anni, dal 1926 al 1938, epoca in cui l'Imperial chiude i battenti, vengono prodotti quasi 250 opere, di vario genere: film mitologici e devozionali, film ispirati a leggende o racconti popolari, spesso di origine arabo-persiana, commedie e i cosiddetti socials (in genere, drammi familiari). Primariamente distributore e produttore, Ārdeshir Īrānī solo raramente si cimenta con la regia. Ma proprio in questo ruolo il suo nome è legato a uno dei momenti fondamentali nell'evoluzione del cinema. Il 14 marzo 1931, al Majestic Cinema di Bombay, viene presentata un'opera da lui diretta (con la collaborazione di Rastam Bharuchā, Pesī Karānī e Motī Gidvānī): Ālam Ārā, il primo film indiano parlato. E non solo parlato, ma anche cantato: il film comprende infatti diverse canzoni (sette o dodici o più, secondo le varie fonti), aspetto destinato a diventare una sorta di marchio di fabbrica del cinema made in India. De de khudā ke nām par (Da' in nome di Dio) è la prima canzone del cinema indiano e Vahīd Muhammad Khān, il suo interprete, il primo cantante/attore (nel ruolo del fachiro). Ālam Ārā è una storia avventurosa, scritta dal drammaturgo Joseph David e già rappresentata con successo nel teatro pārsī. Questa forma di spettacolo si era sviluppata nel Maharashtra nella seconda metà dell'800, per influsso del teatro inglese; era sostenuta finanziariamente dalla comunità parsi (zoroastriani emigrati dalla Persia intorno al VII secolo e stanziatisi nella zona di Bombay). Antecedente diretto del cinema popolare, il teatro parsi comincia a declinare con l'ascesa del nuovo medium, soprattutto con l'avvento del sonoro, e molti artisti e autori, come Joseph David, passano al cinema. Ālam Ārā racconta del re di Kumārpur e delle sue due mogli, Naubahār e Dilbahār. Un giorno, un fachiro predice a Naubahār una prossima maternità. Disperata e gelosa per l'indifferenza del re, che dedica tutte le sue attenzioni a Naubahār incinta, Dilbahār cerca di sedurre il generale Ādil, che tuttavia la respinge e viene imprigionato per le false accuse della regina. La sposa di Ādil, anche lei incinta, fugge dal palazzo e trova rifugio presso una tribù di nomadi, il cui capo, Aslam, è grande amico di Ādil. Qui dà alla luce una bambina, Ālam Ārā (il nome significa "bellezza del mondo"; l'interprete è Zubaidā, figlia di Begam Fātmā, la prima donna indiana a cimentarsi nella regia). Una volta cresciuta, Ālam Ārā si reca di nascosto al palazzo con lo scopo di liberare il padre. Anche Aslam penetra fino alla prigione dell'amico Ādil, appena in tempo per salvarlo dal pugnale di Dilbahār. Arrivano anche il re e le guardie: con la rivelazione della verità, si conclude la vicenda, coronata dal matrimonio di Ālam Ārā con il principe ereditario. Le "prime volte" di Ārdeshir Īrānī e del socio Abdulalī Yūsufalī non si limitano al primo film sonoro. Solo loro, infatti, a tentare il primo esperimento di film a colori, dopo aver acquistato i diritti del processo Cinecolour da Hollywood. Nasce così Kisan kaniyā (La contadinella, 1937), diretto da Motī Gidvānī, con la sceneggiatura e i dialoghi di Sa'ādat Hasan Manto (1912-55), grande autore di lingua urdu e tra i maggiori scrittori per il cinema. A Kisān kanyā, segue un altro film a colori, Mother India (1938, regia di Gunjāl), ancora prodotto da Ārdeshir Īrānī, ma questi primi tentativi non trovano seguito e l'idea viene accantonata: perché il colore entri a pieno titolo nel cinema bisognerà aspettare fino al 1952, quando esce Ān (Onore), di Mahbūb Khān (1906-64). Per tornare alle "prime volte" di Ārdeshir Īrānī, anche il primo film iraniano, Dukhtar-e-Lur (La figlia di Lur, 1933) è diretto e prodotto da lui, mentre il primo film sonoro in tamil, Kālidās (Kālidās, 1931), diretto da uno dei pionieri della cinematografia del sud, H.M. Reddī (1882-1960), viene girato negli studi dell'Imperial. Tra le altre "imprese", il filmato della cerimonia per il cinquantesimo compleanno dell'Agha Khan, durante la quale il capo dei musulmani ismailiti riceveva un tributo in oro pari al suo peso. Infine, una troupe dell'Imperial viene mandata nel 1935 a Quetta, devastata da un terremoto, immortalando il simbolo della tragedia: il famoso orologio fermato da quella catastrofe. Nel 1938, l'Imperial chiude i battenti; negli anni seguenti Ārdeshir Īrānī produce un unico film, (Pūjārī, L'adoratore, 1946, re. Āspī), ma continua ad essere attivo nell'IMPA (Indian Motion Picture Producers' Association), di cui era stato eletto primo presidente nel 1937. A differenza di Phālke, morto dimenticato e in miseria, Ārdeshir Īrānī muore il 14 ottobre 1969, circondato dall'affetto e dal rispetto di tutto il mondo cinematografico indiano. Ad Ālam Ārā è legato un evento fondamentale: la lingua usata. Le lingue indiane sono molto numerose; quelle letterarie riconosciute sono 15. La lingua ufficiale è la hindi, scritta con i caratteri devnāgrī - quelli cioè usati per il sanscrito e, più o meno modificati, per altre lingue moderne del nord - e sanscritizzata. Questa lingua è la standardizzazione letteraria di un idioma molto più fluido e aperto a diversi influssi di altre lingue indiane e di altra origine, soprattutto arabo e persiano, che si era diffuso come lingua franca del nord nei secoli XVII e XVIII. Uno dei nomi più comuni per definirlo era hindustānī o lingua dell'India (Hindustan: India settentrionale ad esclusione di Bihar e Bengala, ma generalmente viene usata come sinonimo di India). L'iniziale persianizzazione letteraria di questa lingua, da un lato, e la successiva sanscritizzazione mentre prende forma il movimento nazionale nella seconda metà dell'Ottocento, dall'altro, sono largamente responsabili della sua divaricazione, artificiale e ideologica, in urdu (lingua ritenuta propria dei musulmani) e in hindi (lingua ritenuta propria degli hindu). Il cinema ha il merito di non essersi lasciato intrappolare in questo meccanismo perverso. Quando deve scegliere una lingua per il primo film parlato, Ārdeshir Īrāni opta decisamente per quella usata negli spettacoli del teatro parsi e diffusa tra il vasto pubblico del centro-nord, ovvero la hindustānī, citando i famosi versi che Nārāyan Prasād "Betāb" (1872-1945) - noto drammaturgo e autore di numerosi soggetti per il teatro parsi e, in seguito, per il cinema - fa dire al "direttore di scena" della sua opera Mahābhārat (1913): "Né hindi pura, né urdu pura / come se la lingua venisse mescolata / non resti lo zucchero separato dal latte / ogni granello si sciolga nel latte" (Pārakh 2002). Sarà questa per lungo tempo la lingua del cinema hindi (o panindiano) e la sua impronta rimane forte ancora oggi. Questo cinema, infatti, ha resistito molto più di altri media all'opera di "sanscritizzazione" o "induizzazione" portata avanti soprattutto negli ultimi decenni. Nel ringraziare il cinema hindi per aver conservato la secolare e composita impronta di sintesi culturale e con in mente la catastrofe umana causata dalla Partizione del 1947, Mukul Kesavan (1994), critico e scrittore, lo definisce "the unpartitioned homeland of the people of al-Hind", la patria indivisa del popolo dell'India.
Filmografia essenziale (come produttore) (come produttore e regista)
Bibliografia |
Cecilia Cossio
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