Millenium Mambo è un'opera volutamente franta, rapsodica, fatta di brevi illuminazioni e di momenti di stasi. Calata profondamente nella contemporaneità, è la sinfonia malinconica del presente inafferrabile.
FRAMMENTI AMOROSI NELLA LUCE DEL NEONMillenium Mambo di Hou Hsiao Hsien
Titolo originale: Qianxi manbo. Regia: Hou Hsiao-hsien. Sceneggiatura: Chu T'ien-wen. Fotografia: Lee Bing Pin. Montaggio: Liao Ching-song. Scenografia: Huang Wen-ying. Musica: Yoshihiro Han-no, Giong Lim. Interpreti: Shu Qi (Vicky), Jack Kao (Jack), Tuan Chun-hao (Hao-Hao), Chen Yi-hsuan (Xuan), Takeuchi Jun (Jun), Niu Chen-er (Doze). Produzione: Chiu T'ien-wen, Er Heumann per Si-nomovie/3H Productions/Orly Films/Para-dis Films. Distribuzione: Istituto Luce. Durata: 85'. Origine: Taiwan/Francia, 2001. Vicky è una giovane ragazza di Kuosang che si è da poco trasferita a Taipei in cerca di un lavoro provvisorio nel tentativo di rifarsi una vita. Si sa poco del suo passato. Non si sa chi siano i genitori né che tipo di educazione abbia avuto. A Taipei, frequentando i locali notturni, comincia una relazione con Hao-Hao, ragazzo come lei alla ricerca di un lavoro, ma che ben presto viene incriminato dalla polizia per uso e spaccio di stupefacenti. In un altro locale, dopo averlo frequentato per un breve periodo,Vicky si lega a Xuan, giapponese di Hokkaido dove va a frequentare il Natale di quell'anno. Anche questa relazione si rivela transitoria e, per poter rimanere a Taipei,Vicky si esibisce come ballerina in night-club. In uno di questi viene notata da Jack, piccolo boss della malavita locale che si prende cura di lei, facendola lavorare ed esercitando nei suoi confronti anche una funzione paterna. Quando la situazione per Vicky comincia ad essere più solida, anche economicamente, viene improvvisamente lasciata da Jack, chiamato in Giappone per risolvere i guai di un suo seguace. Vicky si ritroverà ancora una volta sola, alla ricerca di una collocazione, per ora, di fronte ad un futuro incerto. Cronache dal Terzo Millennio È importante notare come Hou porti quasi ad uno sterile canovaccio la struttura narrativa, riducendola allo spazio di tre episodi ben separati tra di loro, quasi fossero giustapposti. In nessun altro suo film Hou si concentra tanto sullo sguardo, spostando l'attenzione dal senso al segno. Tutte le volte, infatti, che aveva abbandonato il contesto rurale per l'ambientazione metropolitana, quando si era tuffato nelle luci al neon dei locali o quando aveva raccontato lo psichedelico universo di due giovani on the road (Goodbye South, Goodbye), i personaggi prendevano pian piano corpo,avevano spessore, il contesto era ben delineato. In Millenium Mambo Hou azzera le psicologie, si abbandona al frammento, alla connessione rapsodica. Ciò che più gli interessa è scrutare la bellezza di Vicky, accarezzarla in una sorta di estasi sensoriale. Hou porta a termine l'esperimento di Bertolucci in Io ballo da sola, ovvero quello di carpire il mistero della leggerezza del vivere e, allo stesso tempo, dell'impossibilità ad essere, a darsi una forma, delle regole. Laddove, però, Bertolucci appesantiva certi raccordi narrativi con scene troppo dense di significato, con simbolismi e metafore eccessivamente accentuate, Hou toglie, riducendo i dialoghi a scarne battute, affidandosi completamente all'altrettanta scarna cronaca diaristica della voce narrante. Millenium Mambo è un'opera volutamente franta, rapsodica, fatta di brevi illuminazioni e di momenti di stasi. All'indomani della presentazione in concorso al festival di Cannes 2001 si disse che Hou era stato chiaramente influenzato dalle atmosfere e dagli stilemi stilistici di Wong Kar-Wai. Non c'è dubbio che, rispetto al passato, il regista taiwanese sia rimasto affascinato da un certo tipo di cinema, fatto di attrazioni dello sguardo, di brevi incontri, di forti sensazioni, di rapidi movimenti di macchina, dal potere di fascinazione scenografica di alcuni interni, dal legame inscindibile che lega l'immagine alla musica, con un uso del soundtrack e di temi musicali mai come semplice sfondo o accompagnamento, ma in funzione drammaturgica; da un cinema che lega la filosofia del tempo alle strategie di un discorso amoroso, che tiene sempre alta la temperatura delle emozioni e delle sensazioni. Ma ciò non significa essere venuti meno alle prerogative del proprio cinema, della propria idea di cinema. Millenium Mambo non inizia come Flowers of Shanghai con venti minuti di piano sequenza, non ha la staticità immobile e la perfezione del quadro che caratterizza la cifra espressiva di Hou Hsiao-hsien. Ma, nonostante possa apparire a più riprese slabbrato, imperfetto, poco compatto, l'ultimo film di Hou mantiene la fissità dello sguardo e il piano sequenza come prerogativa imprescindibile del proprio stile,le fonti di luce che creano l'inquadratura come procedimento formale privilegiato. Evitare di essere dogmatici e di ripetersi continuamente, in un momento in cui, soprattutto, la "politique des auteurs" è in crisi evidente,non può essere considerato un difetto o un limite, anzi. Lo stesso Wong Kar-wai, proprio negli ultimi splendidi Happy Together e In the Mood for Love ha affiancato ai ralenti e alle inquadrature grandangolari una certa fissità nel quadro, tipica del cinema taiwanese e in particolare delle migliori prove di Hou, riscontrabile nelle parti narrative di raccordo che preludono ai climax empatici. I grandi registi sperimentano, quindi variano i loro codici stilistici,non rimangono uguali a se stessi, mischiando le carte, avventurandosi in territori che apparentemente sembrano non appartenere loro. Il dato più importante da sottolineare e che emerge ineludibilmente da Millenium Mambo è che Hou Hsiao-hsien non si è limitato a cambiare contesto, a tornare nel caos metropolitano della Taipei contemporanea a quasi quindici anni da La figlia del Nilo,a riprendere il punto di vista post-adolescenziale e preadulto già di Goodbye South, Goodbye, ma ha portato a termine uno straordinario lavoro sulla luce, sulle varianti cromatiche, sugli interni e le scenografie, che con presupposti profondamente diversi (l'ambientazione nel secolo scorso e le scene in costumi d'epoca) aveva già toccato risultati altissimi in Flowers of Shanghai. Per una volta non si rimpiange l'assenza di Cristopher Doyle dietro la m.d.p.: il lavoro di Lee Bin Ping è straordinario con i colori lisergici dei locali frequentati da Vicky, le tonalità ocra degli esterni e il grigiastro proprio dei quartieri anonimi di Taipei, fino al vivido bianco della neve di Hokkaido in Giappone dove Vicky si trasferisce per un breve periodo. Si tratta sicuramente di qualcosa di più di un esercizio di stile o di un saggio esemplare di come si manovrano lenti e obbiettivi, di come si possano saturare o desaturare le immagini di forti od opache tonalità cromatiche. È, piuttosto, la dimostrazione di come l'immagine, i colori e le scenografie possano creare un effetto ipnotico, di puro piacere estatico. Un obbiettivo raggiunto negli ultimi anni, oltre che da Cristopher Doyle per Wong Kar-way, anche da Benoît Delhomme per Tran An Hung in Cyclò e per Tsai Ming-liang in Che ora è laggiù. Stilisticamente azzardato con quei continui primi piani su Vicky che si alternano a piani sequenza, Millenium Mambo si può ritenere un film definitivo anche tematicamente. Si è già detto che non è la prima volta che Hou rivolge il proprio sguardo all'universo giovanile e non è la prima volta che ambienta un film a Taipei. Ma Goodbye South, Goodbye e, soprattutto, La figlia del Nilo si ponevano all'inizio del processo di dissoluzione dell'unità morale del personaggio all'interno del cinema taiwanese. Nel frattempo sarebbero arrivati registi come Tsai Ming-liang, Lin Cheng-sheng, Ho Ping, Wang Shao-ti ad infrangere l'ontologia del realismo eretta proprio da Hou Hsiao-hsien e ad introdurre elementi di inquietudine, di febbrile instabilità, di ordinario malessere, di incertezza nel futuro. Ora che tutto è ridiscusso, ora che a Taiwan si è aperta una nuova stagione politica, Hou Hsiao-hsien ci propone un piccolo racconto che ha però tutti i crismi dell'oggetto definitivo o, comunque, che tenta di andare oltre il dato impressionistico. Caratteristica confermata dal fatto che, analogamente a quanto avveniva in Il maestro di marionette, in Good Men, Good Women e in Città dolente Hou sceglie la distanza temporale per rendere più oggettiva la materia del suo racconto: questa volta è la voce off di un futuro prossimo di dieci anni a dirci come viveva una giovane ragazza di Taipei, bella e sfuggente, tanto affascinante quanto irregolare nel lontano 2001. |
Antonio Termenini