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Kim Ji-Woon e l'ironia

Corea del Sud

Nel cinema di Kim Ji-woon l'ironia, intesa nelle sue varie accezioni, svolge un ruolo determinante che illustra la visione della realtà e del cinema dell'autore, veicola le scelte stilistiche e di messa in scena, instaura un particolare rapporto comunicativo con lo spettatore.

KIM JI-WOON E L'IRONIA

Nel cinema di Kim Ji-woon l'ironia, intesa nelle sue varie accezioni, svolge un ruolo determinante che illustra la visione della realtà e del cinema dell'autore, veicola le scelte stilistiche e di messa in scena, instaura un particolare rapporto comunicativo con lo spettatore.

La sua produzione che comprende cinque lungometraggi da The Quiet Family (1998) a The Good, the Bad, the Weird (2008), un mediometraggio Coming Out (2000) e l'episodio Memory del film collettivo Three (2002) è caratterizzata da una poetica originale ed eclettica che gli permette di affrontare i più svariati generi e di sperimentare forme narrative attraverso una padronanza e una rigorosità tecnica che rendono l'autore uno dei maggiormente apprezzati a livello internazionale fra i contemporanei registi coreani. Si pensi alla partecipazione fuori concorso a Cannes della sua opera prima nel 2002, al remake hollywodiano dell'horror film Two Sisters e all' ingaggio presso gli studi americani recentemente rifiutato in vista di una nuova lavorazione.

L'ironia che sorregge l'intera sua produzione è innanzitutto complessa e stratificata, abbraccia una varietà di paradigmi che contemplano il punto di vista morale di Kim quanto il ritratto dei suoi personaggi, il dialogismo intertestuale messo in opera dai suoi film che coinvolge il piano semantico quanto quello stilistico.

Le storie e le vicende personali in cui lo spettatore si trova coinvolto sono segnate da una sorta di amarezza, di cinismo, di humor noir e di attrazione per il grottesco, perché immerse in mondi governati da leggi che sfuggono al controllo dei protagonisti, di cui si prendono gioco. Gli sviluppi narrativi sono il pretesto per mettere in luce le avversità e gli ostacoli che si frappongono tra l'uomo e il compimento del suo destino, l'inettitudine caricaturale del suo agire, per far scattare nella dinamica del racconto, un movimento di accelerazione intervallato da gag, situazioni paradossali, che rimandano all'assurdo del comico, in taluni casi, e all'ironia tragica del realismo che, con differente intensità, riguarda l'intera filmografia.

Nell'intervista rilasciata a Paolo Bertolin nel 2005 è lo stesso regista che delinea la sua particolare ottica in relazione ai suoi soggetti cinematografici, la quale risulta un valido punto di partenza per una lettura più dettagliata dell'ironia. L'estratto del brano procede da una domanda relativa alla varietà e alle differenze fra i suoi film, all'utilizzo diversificato dei generi cinematografici. «A Bittersweet Life non si allontana dai film precedenti perché l'ironia è ancora presente». «Con la parola ironia mi riferisco agli aspetti ironici della vita di cui ognuno fa esperienza. La natura ironica della vita mi fa anche comprendere i problemi e gli incidenti generati dalla mancanza di comunicazione fra le persone. Per esempio, in The Quiet Family l'aspetto ironico è mostrato attraverso il fatto che tutto va nella direzione opposta rispetto a ciò che suggerisce il titolo. In The Foul King un timido e pacifico impiegato di banca finisce per diventare un sensazionale wrestler e ciò è ironico di per sé. In Two Sisters la tragica ironia è rappresentata dal fatto che i ricordi che si vorrebbero dimenticare vengono invece afferrati dalla coscienza come dei fantasmi di cui non ci si riesce a sbarazzare».

A Bittersweet Life designa già dal titolo, nel paradosso ossimorico, l'ironia dovuta alla mancanza di comunicazione, al fraintendimento che si risolve in tragedia, proprio nel locale nominato La dolce vita, con l'esplicito riferimento al capolavoro felliniano. The Good, the Bad, the Weird, è un altro esempio di titolo che gioca sull'ironia intertestuale, il quale non si limita alla citazione letterale, ma, in virtù dell'omaggio a Sergio Leone, si preoccupa di sviluppare un dialogismo ben più articolato su codici specifici del linguaggio, come del resto l'intero processo di straniamento elaborato intorno alla citazione-rivisitazione dei generi cinematografici.

Se nella satira viene deriso un certo ambiente specifico, un aspetto della società di cui si fa la smorfia, se ne traccia una caricatura, si ricorre al cinismo, nell'ironia tragica l'attenzione si sposta sull'aspetto troppo umano dell'eroe che, nel rovesciamento rispetto alla tragedia, diviene un antieroe dando origine, in tale contesto, a quella fase che Frye definisce «commedia del grottesco in quanto parodia ironica di una situazione tragica».

E di tali situazioni il cinema di Kim Ji-woon è ricco a partire proprio da The Quiet Family in cui la tranquilla famiglia che si presta ad avviare la nuova attività nel rifugio montano, con tutti i buoni propositi, si ritrova nel corso della narrazione a dover seppellire cadaveri per evitare una cattiva pubblicità, fino a divenire un nucleo di pseudo-assassini improvvisati e involontari intenti a cancellare ripetutamente prove e indizi dei delitti compiuti.

L'antieroe per eccellenza è Do Woo di The Foul King, timido e inetto, preso di mira dal suo capo ufficio da cui subisce l'umiliazione della presa al collo, che nel tentativo di riscattarsi diventa un lottatore professionista, destinato comunque a fallire con la donna amata, con lo stesso padre che lo rimprovera in continuazione e soprattutto in quella sorta di duello finale con il superiore, in cui inciampa e cade ancor prima di raggiungere l'avversario. 
Analogo destino è riservato ai tre protagonisti di The Good, the Bad, the Weird, che, dopo impareggiabili fatiche in cerca del tesoro, si sparano reciprocamente ignari della ricchezza che sta affiorando dal sottosuolo nel giacimento petrolifero.
L'ironia tragica di Two Sisters sta nello smascheramento conclusivo di una realtà che si attesta come fittizia e dimostra ancora una volta l'impotenza dei protagonisti di far fronte ad una situazione clinica di cui conoscono la gravità: la ragazza solo alla fine, tornata in psichiatria razionalizza e ricorda lucidamente il passato, dopo un lungo travaglio allucinatorio trascorso in casa sua sotto gli occhi del padre.
A Bittersweet Life vede accentuare il corso del fato e della fortuna che cambia radicalmente la vita del protagonista, il quale da uomo di fiducia del boss, si ritrova minacciato di morte, escluso, pronto a vendicarsi con successo, ma in fin di vita, pur non avendo commesso alcun effettivo torto.

I personaggi incontrano sempre ostacoli e barriere insormontabili, che siano di carattere psichico, di relazione, o tipicamente avventurose, come alla ricerca di un tesoro. La loro impronta ironica scaturisce dal riferimento alla loro natura umana, anche quando vestono i panni di figure leggendarie come in The Foul King o The Good, the Bad, The Weird e, in diversa misura, nel gangster di A Bittersweet Life
È  proprio di questi personaggi assumere connotazioni grottesche, caricaturali, indossare maschere e rapportarsi con situazioni che si risolvono in modo comico, meccanico, o le cui reazioni sono risibili.

In The Foul King come in The Good... , seguono gag secondo la struttura e il ritmo della commedia, come analogamente nell'umorismo nero di The Quiet Family. Il Re degli imbrogli oscilla fra la condizione di vittima e di carnefice, con il capo, con il coach, o di fronte a sua figlia, che in un attimo lo stende a terra, di fronte ai ragazzi che lo inseguono per pestarlo, artefice di lesioni, anche involontarie nei confronti di terzi, come con la forchetta o gli altri trucchi utilizzati negli incontri. In sogno, come procedimento di mise en abyme, mascherato da Elvis, con leggerezza annienta l'avversario, per poi scoprirne l'identità nella figura del suo superiore, acerrimo nemico, pronto a reagire per ribaltare la situazione che si risolve con la simbolica morte del protagonista trasportato via. Non si contano le gag in questo film che più di altri ha un taglio parodistico nei confronti di un mondo sportivo fatto appunto di scontri spettacolari e pianificati, con tutti gli equivoci che nascono a causa e per mezzo di un protagonista inadeguato, goffo e distratto.  Infatti l' intento satirico di The Foul King è quello rivolto alle stesse trasmissioni sportive televisive, la parodia è quella di un genere drammatico basato sullo sport e sul riscatto individuale di un atleta in cui si ritrovano una serie di situazioni stereotipate da slapstick comedy: il teppista che sta per scagliarsi contro di lui, si immobilizza come in un fermo immagine al suo stop, poco prima dell'inseguimento, che è a sua volta un motivo prevalente del genere; o quando sale sul ring acclamato dal pubblico inciampa nella corda; la polvere irritante che dovrebbe infastidire l'avversario, come variante della torta in faccia, finisce sul volto dell'arbitro, col disappunto dello stesso rivale che tenta di spargersela sul viso. La citazione sonora come elemento incongruo, richiama qui, nel duello finale con il suo superiore, il famoso motivo di Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo.

L'omaggio a Sergio Leone è maggiormente strutturato secondo un'accumulazione pindarica tipica di una commedia avventurosa ambientata in un epoca senza tempo, si richiama al fantastico e sfida palesemente il verosimile. Tramite questa figura dell'iperbole le gag si manifestano nelle fughe e negli inseguimenti, nelle imboscate improvvise, nelle sparatorie volanti, o con il casco da palombaro contro cui rimbalzano i proiettili, nella prigionia del locale sotto l'effetto dei sedativi con la conseguente liberazione che causa un meccanismo iterativo di reazioni: il fallito attacco dello Strano, il ribaltamento di situazione che vede il protagonista con le spalle al muro, l'intervento dei ragazzini che provocano la penetrazione posteriore al gestore della fumeria, il suo latente, ma non troppo, piacere, il successivo commento dei soldati che ritrovano il corpo. Altra running-gag come quella del suonatore di corno che incita ripetutamente la banda di malviventi, fino a quando, a terra, il suo affaticato e stridente richiamo viene zittito da un colpo. Accentuate, in questo contesto, sono le caricature dei personaggi, a partire dai protagonisti, dai costumi, dalle movenze e dalle espressioni dello Strano, in particolar modo: i suoi copricapo, in pelliccia o da motociclista abbinati agli occhialini da sole; ma anche dalla fisionomia, dagli atteggiamenti e dalle reazioni degli altri personaggi. Il componente della Banda del Mercato, ripreso nel profilo imponente con la vigorosa capigliatura al vento mentre scruta l' orizzonte insieme al capo; la nonna rinchiusa nell'armadio durante la feroce sparatoria e ritrovata successivamente nell'intento di  schiacciarsi un pisolino.

The Quiet Family procede seguendo un'accumulazione di nodi narrativi che si complicano e si sciolgono secondo il classico principio della commedia, originando equivoci che rendono l'atmosfera da thriller una cinica farsa che ruota intorno al tentativo di occultare cadaveri che tornano a disotterrarsi per cause imprevedibili, che riguarda lo scambio di persone, i fraintendimenti e le assurde coincidenze, i comici incidenti. La miccia innescata dal primo cadavere ritrovato nella stanza scatena una serie di vittime involontarie, solo apparenti, stese da una porta spalancata all'improvviso, catapultate acrobaticamente oltre il parapetto di un pianerottolo. La stessa famiglia è ritratta in atteggiamenti ripetutamente e meccanicamente forzati, che contraddicono il loro reale sentimento nei confronti dei clienti quando li accolgono, li spiano, o tramano alle loro spalle. Caso esemplare è il primo che avvia una serie di reazioni curiose fra i familiari, richieste bizzarre e risposte inattese che culmineranno nel ritrovamento del corpo martoriato da una semplice chiave, con i commenti ironici che ne seguono. Il personaggio dichiaratamente grottesco dell'anziana visionaria che predice maledizioni e a cui i ragazzi fanno il verso. Ma del tutto singolare è l'epilogo del film quando all'abbaiare del cane l'intera famiglia si rivolge a lui cercando di zittirlo, per evitare di accogliere altri clienti: la reaction-shot che chiude l'intricata vicenda la carica di un forte umorismo. Naturalmente lo scambio di persona che avvia gli eventi imprevedibili dell'ultima notte, è più che mai l'elemento narrativo della commedia maggiormente classico. Anche la musica contribuisce ad accentuare il tono ironico del film entrando in rapporto dialettico con le immagini, contrastandole o enfatizzando puntualmente certi nodi narrativi, come quando Mina scopre la montagna di cadaveri e si mette ad urlare generando una serie ridondante di strilli nella sfera diegetica, ribadito dal motivo musicale rock che incalza con medesimi suoni sul piano extradiegetico.

Più lontani dalle influenze della commedia gli altri due film, il gangster e l'horror, riservano in termini diversi toni ironici su differenti piani.
A Bittersweet Life concede spazio a scene e incursioni paradossali che creano gag improvvise, di situazioni inaspettatamente avverse, le quali introducono personaggi caricaturali che hanno la funzione di manifestare una comicità, anche verbale, inadeguata rispetto al tono dominante. Quando Kim Su-woo latitante cerca delle armi ha un appuntamento con due scagnozzi che litigano fra loro, non riescono ad accordarsi, rialzano il finestrino dell'auto per discutere privatamente, ma con una mimica del tutto eloquente e con voce alta. Lasciano il numero di telefono e partono schiantandosi presto contro un mezzo parcheggiato nel cantiere a causa della loro palese stoltezza e ingenuità quando subito ricevono la chiamata. Lo stacco conduce nel nascondiglio dei trafficanti con il boss che pare più un personaggio estrapolato da The Good, the Bad, the Weird.  In seguito alla sparatoria l'anziana vicina si sporge dall'uscio per commentare il consueto stato di ubriachezza degli uomini, atterrando il fuggiasco ferito e chiudendo così l'incidente. Eventi che nel flusso della narrazione contrastano con il tono tragico senza compromettere la continuità del racconto, inserendosi come parentesi comiche integrate nella dinamica dell'azione che ribaltano il dramma, ma non come sipari volti ad interromperne la linearità.

In Two Sisters l'ironia è presente ed è anche molto marcata, non perché si risolve nel comico, ma a causa dell'atteggiamento del regista, enunciatore a livello immanente, che gioca con lo spettatore enunciatario. La tensione che si origina all'interno del mondo rappresentato si dimostra alla fine della pellicola l'artificio che ha retto una realtà inesistente, fatta di pure allucinazioni soggettive. L'intreccio accuratamente edificato si sfalda rivelandosi menzognero e annullando, in un procedimento estraniante, i risvolti del dramma, gli effetti delle vicende nelle quali lo spettatore è stato coinvolto. Tutto rimanda alla confusione a partire dai ruoli dei personaggi e dalla loro effettiva esistenza all'interno dell'ipotetico universo rappresentato.
Con questo film, attraverso il processo comunicativo messo in atto, si giunge a circoscrivere quell'ironia che appartiene all'intera produzione del regista e a molto cinema contemporaneo, volta al riutilizzo e alla rilettura dei canoni e dei generi classici. Sono i topoi narrativi e formali che vengono enfatizzati e condensati, come la figura del fantasma che si avvicina al letto di Soo Yam seguendo scatti improvvisi sottolineati da un impiego del sonoro in funzione drammatica volta a suscitare spavento. Come la mano che sbuca da sotto il lavandino in seguito ad una preparazione dell'evento giocata abilmente sulla suspense, la bambina imprigionata nell'armadio, ma anche il motivo della sadica matrigna, del doppio, dell'ambiente chiuso e claustrofobico, buio, animato nel complesso dalla colonna sonora inquietante.

Questa particolare forma di ironia apre il vasto panorama dei procedimenti stilistici presenti nella filmografia di Kim Ji-woon tesi a recuperare, talvolta a parodiare, nella loro incongruità, quelle figure che costituiscono il patrimonio di segni imputabili ad un genere specifico, depositati nel bagaglio culturale della convenzione e che coinvolgono non solo la commedia di cui si è  ampiamente discusso.

La citazione assume quindi il significato dell'allusione, di un segno o codice prelevato da un determinato contesto per essere inserito e adeguato, attraverso un differente processo di lettura, in un nuovo panorama estetico, assolvendo alle funzioni di omaggio e/o parodia, a fini non solo metalinguistici, ma di autoironia e  gioco comunicativo che l'autore intraprende con lo spettatore consapevole.

La stessa commistione di generi rientra in un meccanismo estraniante, di distacco critico, ma anche di complicità fra gli opposti poli dell'enunciazione che ben è evidente sin da The Quiet Family,  ma diviene ancora più esplicita nell'omaggio a Leone.

Oltre al sottogenere slapstick che appartiene in particolar modo a The Foul King, nel primo film, The Quiet Family, coesistono thriller e horror. I volti bianchi dei cadaveri appaiono improvvisamente. Il giovane in procinto di essere sepolto è ripreso avvolto nella busta, quando apre gli occhi e meccanicamente, come uno zombie si alza, viene colpito e sputa sangue barcollando, esce dall'inquadratura in un calo della tensione narrativa, ma per rientrarvi improvvisamente vomitando, come una vera e propria maschera terrificante. La sua soggettiva instabile guida la sua caduta nella fossa. Analogamente il giovane precipitato dal dirupo ricompare spaventosamente ricoperto di sangue con intenti omicidi, quando viene atterrato dall'inconsapevole Young-min che apre la porta. L'indagine del capo di polizia che mette a rischio l'impunità della famiglia parte dal ritrovamento di un indizio, l'accendino, che è solo il pretesto per alimentare altri erronei delitti, che si smentisce quando si scopre che è lo zio Chang-ku ad averlo perso, vicino al magazzino in cui è rinchiuso il prigioniero. Variante ironica della detective story.

Citazioni non solo di genere ma anche omaggio esplicito all'autore, al cinema italiano in particolare, sono il gangster e la rilettura degli spaghetti western.
Si è già accennato alla citazione felliniana in Bittersweet Life, e proprio nel locale denominato La Dolce Vita, ha luogo quella situazione privilegiata del gangster film che è la sparatoria in cui l'eroe solo ed invincibile prima di crollare definitivamente, ormai ferito in più punti, tiene testa ad un esercito di rivali sfidando qualsiasi logica del verosimile, a vantaggio di una accentuazione di specifiche figure retoriche: la pioggia di proiettili quando evita nella corsa le raffiche con mitra che sussultano fra le mani, con spostamenti di macchina che seguono gli appostamenti, come nel film di guerra, resistendo ai colpi provenienti alle spalle, per poi chiamare, in punto di morte, la donna amata, origine stessa del fraintendimento e della sua sfortuna. L'incontro con il capo viene introdotto con un motivo musicale che replica le melodie western e così le dinamiche di ripresa tipiche di un duello, con sguardi diretti negli occhi, primi piani e la loro alternanza, con inquadrature laterali dei duellanti frontalmente, nel momento dello sparo. E naturalmente l'uomo che giunge come un cowboy nel corridoio non può che far roteare la pistola nella mano dopo un colpo sparato a bruciapelo. L'intera sequenza nel locale è ulteriormente sottolineata da una retorica enfatizzante del ralenti che apre e chiude il sintagma narrativo.

L'ironia è anche ben rappresentata in quella classica soluzione di montaggio alternato fra il protagonista che parla con il ragazzo del ristorante delle proprie incerte intenzioni e il capo in auto davanti all'albergo che dichiara di voler eliminare Kim: i dialoghi e la stessa loro prossimità spaziale, inseriti in una tale soluzione sintattica, preludono il loro destino comune.
Ancora nel momento in cui il protagonista sta per essere seppellito; un raccordo visivamente errato rispetto alla sua posizione simula lo sguardo della vittima sdraiata che riceve la terra negli occhi: altra inquadratura inserita più per il suo impatto visivo e il suo utilizzo abusato, che per la sua funzione narrativa. La cornice del film racchiude, con due inserti dal taglio mistico, l'intero racconto in funzione di possibile didascalia volta a delineare metaforicamente il senso della storia. Tali chiose che narrano di dialoghi fra il discepolo e il suo maestro derivano da una tradizione orientale di film religiosi o di samurai e aprono a una più articolata commistione di generi.

The Good, the Bad, the Weird, simula un referente mitologico del cinema: l'omaggio non può che leggersi in un contesto postmoderno, nostalgico e fortemente autoironico, umoristico, che denuncia quanto il cinema stesso non possa che riformulare o ripetere un modello già preesistente e che lo faccia, in questo caso, esibendo il suo stile dichiaratamente ludico  sin dall'incipit.
Il western, già riletto nella sua versione italiana, è naturalmente il punto di partenza per la messa in campo di motivi e clichè: l'assalto al treno, il cacciatore di taglie, le sparatorie, gli accampamenti improvvisati intorno al fuoco, la fanatica ricerca del tesoro, il paesaggio, i campi lunghi vuoti con la sabbia sollevata dal vento, il tramonto nel deserto. Lontano dai tempi narrativi e dalla sobrietà del maestro degli spaghetti western, Kim Ji-woon ne cita alcune figure o motivi tipici: i duelli soprattutto, con primissimi piani sugli occhi, i dettagli veloci sulla fondina mentre viene estratta la pistola a cui segue lo sparo, il cappello allontanato dai proiettili, ma anche la pesante protezione in ferro che lo Strano utilizza per ingannare gli avversari e proteggersi nel confronto finale (Per un pugno di dollari), o la sua fuga iniziale quando è nella stanza d'albergo, spara oltre la porta e fugge dalla finestra: variazione di una delle scene iniziali di Per qualche dollaro in più.
Nel complesso sono altrettanto numerosi gli stilemi di altri generi, che concorrono a fare della pellicola un pastiche metanarrativo che assimila ancora il film di guerra, con l'esercito giapponese che partecipa all'inseguimento, con mezzi militari e attraverso copiosi cannoneggiamenti; il riferimento al musical con la danza del Cattivo che segue l'omicidio del suo committente. Ancora una volta è proprio la musica ad assumere una funzione ironica a causa del contrappunto con l'immagine e per la varietà degli stili cui fa riferimento.

Più delle altre pellicole, questa mette in campo elementi dissonanti, anche se non incompatibili cronologicamente, che superano, nel lavoro di commistione, i rigorosi campi semantici tracciati dai canoni di genere Scorribande a cavallo sidecar e Jeep, armi inefficienti, pistole che si incendiano contro mitragliatori automatici a ripetizione, o armi primitive da predatori del deserto, il moderno cinematografo e l'esotico Mercato Fantasma, i diamanti e l'inatteso tesoro “marcito”, il petrolio. Sin dall'incipit l'utilizzo della computer grafica crea in esergo, con l'incalzare della musica, un effetto di forte impatto visivo con il rapace che plana sulle rotaie al passaggio del treno, con la messa in campo del principale protagonista che impugna le sue due pistole secondo l' ormai riconosciuto stile alla John Woo. Si aggiunge un taglio, già riscontrato negli altri film, prettamente pulp, o meglio, relativo a quell'ironia pulp dell'esaltazione del sangue e della violenza che spesso fa intrusione dal limitrofo fuoricampo, quando non è il soggetto principale dell'inquadratura: i dettagli delle dita tranciate, o gli schizzi di sangue simulati sul mascherino della macchina da presa.

Lavori secondari, ma non per questo di minore importanza sotto il profilo delineato, e generalmente per quanto riguarda la poetica del regista, sono Coming Out e Memories. Rovesciamento in chiave moderna e parodistica del film di vampiri, che mescola documentario e cinema amatoriale, il primo; horror film psichiatrico il secondo, giocato, come Two Sisters, sull'ambiguità della lettura a causa della pluralità di stratificate dimensioni spazio-temporali e sull'accuratezza suggestiva della colonna  audiovisiva.

 

Filo conduttore di una poetica che si afferma nella sua eterogeneità e nel suo eclettismo formale, l'ironia nel cinema di Kim Ji-woon, si manifesta su plurimi livelli di lettura. Concerne la macrostruttura narrativa quanto la dinamica interna di singoli segmenti, la loro strutturazione secondo il principio della gag comica la cui tradizione è ampiamente rivisitata seguendone i meccanismi: dagli equivoci e fraintendimenti, alla running-gag, alla reaction-shot, e tutti quelli ricorrenti e meccanici del genere slapstick, a quelle prettamente verbali tipiche della prolissità della commedia brillante. Si transita così dal tono leggero, come elemento preponderante di alcune pellicole, all'inserimento di sketch marcatamente comici che contrastano con l'impianto dominante di altri film. Oltre a manifestarsi palesemente secondo le formule della commedia, l'ironia riguarda simultaneamente il gioco che l'autore  conduce con i generi e i codici cinematografici chiamati in causa e assemblati secondo un principio del contrappunto, come avviene per l'impiego di singole componenti espressive, quali la funzione del sonoro, ad esempio.  Una continua alternanza di toni  che si compie fra le varie pellicole prese in esame, ma anche all'interno del singolo film. La satira, la parodia, l'allusione, la citazione, il pastiche sono forme narrative e procedimenti di una intertestualità che sorregge l'intera filmografia del regista e ne connota la poetica ironica, l'umorismo che si delinea nei personaggi grotteschi, negli antieroi caricaturali, nel gusto per l'assurdo, nella retorica del comico, come degli altri generi, che divengono formule e aspetti di una visione cinica, distaccata e ludica.

 

Davide Morello