Analisi del film di John Woo attraverso il pensiero taoista e la mitologia greca.
GLI EROI EQUIVALENTI DEL DOPPIO GIOCOMISSION: IMPOSSIBLE-2 DI JOHN WOO
Titolo originale: id. Regia: John Woo. Soggetto: Ronald D. Moore, Brannon Braga, ispirato all'omonima serie televisiva creata da Bruce Geller. Sceneggiatura: Robert Towne. Fotografia: Jeffrey L. Kimball. Montaggio: Christian Wagner, Steven Kemper. Musica: Hans Zimmer (tema principale di Lalo Schifrin). Scenografia: Tom E. Sanders. Costumi: Lizzy Gardiner. Interpreti: Tom Cruise (Ethan Hunt), Dougray Scott (Sean Ambrose), Thandie Newton (Nyah Nordolf-Hall), Ving Rhames (Luther Stickell), Richard Roxburgh (Hugh Stamp), John Polson (Billy Baird), Brendan Gleeson (McCloy), Rade Serbedzija (dottor Nekhorvich), William Mapother (Wallis), Dominic Purcell (Ulrich), Matt Wilkinson (Michael), Anthony Hopkins (Swanbeck). Produzione: Tom Cruise, Paula Wagner per Paramount Pictures. Distribuzione: Uip. Durata: 123'. Origine: Usa, 2000. In Australia, nel centro di Sydney, nei laboratori del colosso farmaceutico della Biocyte, un anziano scienziato russo, il dottor Nekhorvich, ha creato in provetta un potente antivirus, Bellerofonte, e contestualmente un altrettanto letale virus, Chimera. Il suo collega muore per effetto del virus. Nekhorvich su un volo di linea per gli Stati Uniti viene ucciso insieme a tutti i passeggeri da Sean Ambrose, un ex-agente segreto che ha indossato una maschera di Ethan Hunt, ingannando lo scienziato. L'obiettivo di Ambrose è di impossessarsi del virus e dell'antivirus per rivenderlo alla Biocyte, divenendone socio di maggioranza. Ci vogliono esattamente settantacinque minuti prima che in Mission: Impossible- 2 abbia inizio la prima proverbiale sparatoria coreografata, senza esclusione di colpi, di inquadrature al rallentatore e di performance acrobatiche. Settantacinque minuti, insomma, all'interno dei laboratori della Biocyte, prima che raffiche di pallottole si spandano in ogni direzione, devastando tutto ma senza mai colpire l'eroe dai mille volti, pronto ad impegnare entrambe le mani con una coppia di pistole che fanno fuoco all'unisono con millimetrica e infallibile precisione balistica. A queste cose, evidentemente, John Woo ci tiene ancora: sono un po' il suo segno di riconoscimento, divenuto tuttavia negli ultimi dieci anni una caratteristica seriale ai limiti dell'anonimato del cinema d'azione di tutto il mondo, che ha ricalcato pedissequamente il modello hongkonghese. (...) Sebbene già Brian De Palma nel primo Mission: Impossible, come suo solito del resto, non avesse guardato troppo per il sottile in fatto di verosimiglianza e non si fosse fatto scrupolo di ricorrere ad ogni tipo di situazione esagerata, John Woo non solo ha evitato il confronto diretto con il film precedente, ma ha anche cercato di non giocare esclusivamente in casa, di dedicarsi platealmente a quelle che sono le sue specialità come autore e puntare così sul sicuro, mirando ad estremizzarne in maniera se possibile ancora più spregiudicata gli aspetti dinamici e spettacolari, terreno sul quale peraltro non conosce rivali. Gli eroi, i martiri, i santi L'azione pura passa dunque in sottordine. Mentre l'aspetto teorico («Ogni ricerca di un eroe deve cominciare dalla ricerca di qualcosa di cui l'eroe ha bisogno: un cattivo») diventa propedeutico e ha la priorità su tutto il resto, simile ad un codice d'accesso che, nel corso dell'opera, tende ad essere ripetuto e ad ipotecare in chiave strettamente allegorica e concettuale qualsiasi sviluppo narrativo o conseguente manifestazione dinamica. A conferma della validità immediata dell'assunto iniziale, il dottor Nekhorvich si inietta nel sangue il micidiale virus che ha appena portato alla morte il suo collega. Più che un atto dovuto e sensato, sembra un gesto rituale che sigla una tragica ed eterna fatalità. Il teorema del film, enunciato e dimostrato quindi sin dalla prima sequenza, è quello dell'eterno conflitto tra opposti che partecipano l'uno dell'essenza dell'altro, implicandosi a vicenda e in definitiva equivalendosi. Il virus e l'antivirus, la malattia e la cura, la morte e la vita, il Male e il Bene, Bellerofonte e Chimera. I termini antitetici non possono perciò fare a meno di coesistere, prestandosi a più livelli di lettura e configurandosi, senza soluzioni di continuità, nell'ambito della biologia come in quello dell'etica, della realtà come della trasfigurazione creativa, della scienza come del mito classico di Bellerofonte e Chimera. In questo contesto il richiamo stesso al mondo degli eroi e degli dei della mitologia greca non si limita ad arricchire il testo e la trama di spunti eruditi, ma assume una peculiarità filologicamente corretta. Secondo Apollonio Rodio, infatti, il re di Licia aveva affidato al figlio di Poseidone, Bellerofonte, l'incarico di sconfiggere la mostruosa Chimera con il segreto intento di mandare a morte l'eroe. La Chimera era una creatura mostruosa che sputava fuoco, presentava tre teste e altrettante componenti animali: anteriormente aveva l'aspetto di un leone, nella parte centrale quello di una capra e come coda un serpente. In Mission: Impossible-2 l'agente molto speciale Ethan Hunt, moderna ed esplicita incarnazione di Bellerofonte, viene reclutato per svolgere una delle sue tante imprese ad elevato rischio della vita, alle prese con un avversario come l'implacabile Sean Ambrose, non meno multiforme e pericoloso della leggendaria Chimera. Anche la missione di Hunt lascia intravedere un segreto e ignobile scopo, a lui probabilmente ignoto: quello di impossessarsi e di preservare il prezioso virus mortale Chimera. In fondo il malvagio da eliminare non è che un agente divenuto scomodo dopo essersi reso indipendente dall'organizzazione. Swanbeck, il diretto superiore di Hunt, capace di scovarlo ovunque e comunque, si comporta nei suoi confronti con la stessa infidia del re di Lidia: non solo ha l'inquietante fisionomia dell'ex-Hannibal Lecter, Anthony Hopkins, ma affida ad Hunt una "missione impossibile" nella quale si è tuttavia guardato bene dal coinvolgerlo sin dall'inizio, preferendogli la controfigura e potenziale antagonista Sean Ambrose, perché più reperibile e, soprattutto, per quell'assoluta mancanza di remore morali che evidentemente non è del protagonista. Non a caso Hunt non farà esattamente quello che avrebbe voluto Swanbeck: nella sua missione non era previsto che debellasse completamente il Male, ossia il virus Chimera (riciclabile per successivi e non meglio precisati impieghi), ma solo il suo possessore abusivo, Ambrose. Esattamente come Bellerofonte, il quale uccidendo la Chimera era venuto meno alle aspettative del re. Quanto alle fiamme sprigionate dalla Chimera, è inevitabile ricondurle a quelle che costellano il film dal principio alla fine, mettendo a dura prova la fermezza morale e la sopravvivenza dell'eroe, spia, santo e martire Ethan "Dimitri" Hunt, immortalato dai ralenti e dai primi piani, mentre costeggia o attraversa le fiamme fiero, risoluto ed impavido. Persino il suo nome in codice russo, Dimitri, si riallaccia al sottotesto allegorico del film, in quanto rimanda all'omonimo Demetrio di Tessalonica, martire e santo dell'inizio del IV secolo, soprannominato dai greci il "megalomartire" o il "salvatore", che dopo san Giorgio è il più celebre martire-soldato d'Oriente e corrisponde perfettamente alla figura di Bellerofonte. Un'icona di Demetrio martire appare infatti alle spalle del dottor Nekhorvich durante il messaggio video pre-registrato, nel quale invoca il tempestivo, leale e prudente aiuto dell'amico, che lui chiama, appunto, Dimitri. Face on/off La Guerra Fredda, o la guerra tra spie e sistemi politico-ideologici toutcourt, alla stregua di un gioco delle parti condotto con l'esasperazione del controllo satellitare ed informatico (il virus e l'antivirus del film, va da sé, trascendono l'ambito specifico della medicina alludendo ovviamente alle forme attuali di speculazione informatica) e con un massiccio e feticistico uso della tecnologia anche in chiave erotica e pulsionale (il flamenco mimato dalle automobili di Hunt e Nyah, in vena di corteggiamento su quattro ruote, termina in un pericoloso incidente e prelude all'amplesso), della simulazione elevata a stile comportamentale, dell'azzeramento della privacy e di linguaggi diretti, dell'infinita riproducibilità di persone, immagini, gadget e codici, è sempre stato il teatro privilegiato dell'inverosimile, dell'interscambio di ruoli e volti, della fisiologica permeabilità tra il concetto di Bene e il concetto di Male e persino dell'equivalenza sessuale (il legame omosessuale e le allusioni falliche del dito mozzato improntano in maniera per niente nascosta il rapporto tra i due malvagi). Il che spiega come nel film, indipendentemente dalle scene d'azione che cominciano a susseguirsi a tempo pieno solo nel secondo tempo, si insinui da subito una forte diffidenza nello spettatore riguardo alle sorti del protagonista, del quale l'avversario, costretto spesso a impersonarlo, lamenta l'abitudine idiota di sorridere ogni quindici minuti. La prima volta che si vede Ethan Hunt, non è lui. Eppure i modi disinvolti e lo sguardo furbo sono quelli del protagonista. Quando persino arriva ad uccidere il dottor Nekhorvich, si pensa che, a dispetto delle apparenze, il suo gesto sia giustificato da oscure ragioni. Nessuno mette in dubbio l'identità dell'agente Hunt, finché non si scopre che la sua faccia è falsa, una maschera standardizzata. Da questo momento, però, è impossibile cadere di nuovo nel tranello e ogni qualvolta appare Hunt, si pensa che non sia o non possa, almeno virtualmente, essere davvero lui. Ma, accanto a questa diffidenza anatomica, prende il sopravvento anche un tipo di diffidenza di ordine morale, che induce a sospettare che a conti fatti il Bene potrebbe essere un'occasionale e menzognera facciata del Male, e rivelarsi perciò incredibile o irreale tanto quanto gli inseguimenti motociclistici e automobilistici, le colombe bianche in volo nei sotterranei del deposito farmaceutico, i salti nel vuoto dagli elicotteri o dalle cime dei grattacieli, il tempismo con cui si elude la sorveglianza e si atterra ad un palmo dal pavimento, i proiettili sparati o schivati a regola d'arte, le capriole in aria e le arti marziali, le pistole che finiscono nelle mani dell'eroe al momento giusto. |
Anton Giulio Mancino
Cineforum n. 397