Nel panorama del cinema taiwanese contemporaneo i film di Chang Tso-chi ricoprono un ruolo di rilievo tanto come eredi d'una tradizione decennale, quanto come portatori d'elementi innovativi. Essi rappresentano temi, personaggi e storie cui da decenni si nutre la cinematografia dell'isola e allo stesso tempo presentano un'ottica nuova, un diverso punto di vista. È introdotto nel cinema di Taiwan di una sorta di trasognato realismo magico. Chang immerge i suoi personaggi e le sue storie in un acquario; le immagini filtrano attraverso un elemento liquido, sì da risultare cristallizzate in un eterno presente amniotico. Il regista rielabora consapevolmente gli stilemi espressivi dei suoi maestri, cui si riconosce debitore. Nato a Jiayi nel 1961 Chang si laurea in cinema e teatro alla Chinese Culture University nel 1987. Diviene presto assistente regista e collabora con Hou Hsiao-hsien per Città Dolente (Beiqing chengshi, 1989). Negli anni successivi dirige numerosi documentari per la televisione. Il suo primo lungometraggio rappresenta una esperienza dolorosa: Chang rifiuta infatti di firmare il proprio lavoro a causa di disaccordi con il produttore honkonghese Jacob Cheung. Decide dunque di autoprodursi e diviene in breve una leggenda nell'ambiente del cinema taiwanese: il suo primo film indipendente, Ah Chung (id., 1996) riscuote un grande successo di critica e viene segnalato al Pusan International Film Festival. Il film racconta la storia di un ragazzo che lavora in una troupe teatrale di un tempio. Le loro rappresentazioni sono rituali apotropaici che vengono svolti in particolari occasioni e ricorrenze.Attorno al tempio ruota un sottobosco di malavitosi, giovani perdigiorno, ragazze madri. Il film si inserisce nella tradizione del realismo taiwanese tangente il documentario. Si impone anche come profondamente innovativo perché i protagonisti sono aborigeni taiwanesi, e raramente prima d'allora un film aveva descritto così attentamente il retaggio della loro ricca cultura tradizionale parimenti all'abbruttimento delle loro condizioni nella Taiwan del giorno d'oggi. Particolare attenzione è rivolta agli aspetti delle tradizioni che riguardano spiriti e demoni, e la loro influenza sugli uomini. Chang suggerisce correlazioni ed impregna il suo film, per altro assolutamente realistico, di inquietanti simmetrie. Darkenss and Light (Heian zhi guang, 1999) è il suo secondo film e vince il maggior riconoscimento al Tokyo Film Festival e lancia una nuova stella, il giovane Wing Fan. È una storia d'amore tra due ragazzi a Jilong, città portuale nel nord di Taiwan. La ragazza vive con il padre cieco ed il fratello minorato mentale. Il ragazzo è orfano e viene accolto da amici del padre di lei, che fanno parte di bande mafiose locali. Tra i due nasce un timido sentimento, ma la loro storia finisce tragicamente quando lui viene ucciso poiché coinvolto in uno scontro tra bande rivali. Anche il padre della ragazza muore stroncato dalla malattia. Il terzo film di Chang si intitola The Best of Times (Meili shiguan, 2002) e racconta l'amicizia tra due ragazzi (Wing Fan, Gao Meng-Jie) nella periferia di Taipei. Sono declinati i temi della crescita intrappolata da circoli mafiosi e rivalità tra bande in cui i ragazzi si trovano invischiati, la malattia e la perdita, l'attesa frustrante del divenire adulti, i genitori assenti o imbelli, il sentimento d'essere legati a doppio filo ad un modello comportamentale predeterminato (e tragicamente fallimentare). A questi elementi, ricorrenti nel cinema taiwanese, è aggiunta una fede particolare nell'immaginazione, ovvero il sentimento dell'impossibilità di separare realtà e fantasia; quest'ultima permette una via di fuga lirica e commovente ai giovani protagonisti. L'influenza del primo Hou Hsiao-hsien nel cinema di Chang è innegabile: come nei capolavori del maestro Boys from Fenggui (Fengui lai de ren, 1983) e A Time to Live, A Time to Die (Tongnian wangshi, 1985), Chang si concentra sul tema gioventù, in particolare sui rapporti d'amicizia maschile. Però, mentre gli adolescenti di Hou subiscono un processo di crescita, in Chang essi incontrano una tragica fine, e resta di loro il ricordo estetizzato. Esemplificativa è l'ultima sequenza di Darkness and Light: dopo la tragica morte del suo ragazzo e del padre, la giovane protagonista è alla finestra di camera sua, fissa malinconica il tramonto sul mare. I suoi occhi sono sognanti, tristi. Si volta, e vede il suo ragazzo entrare dalla porta d'ingresso, accolto dal padre di lei e da tutti i familiari. La ragazza si avvicina al gruppo e si mette a conversare come se non fosse successo niente, e tutta la famiglia si fa scattare una foto ricordo, una foto impossibile che cristallizza un momento di felicità già irrimediabilmente perduta. Analogamente, la conclusione di The Best of Times è un manifesto estetico che differenzia l'opera di Chang da quella dei suoi predecessori. I protagonisti del film sono due amici, Ah Jie e Ah Wei, che restano invischiati nei maneggi illegali d'una banda mafiosa. Ah Jie viene ucciso dalla banda rivale. Ah Wei, dopo essersi vendicato, ritorna sul luogo della tragedia e vede il suo amico ancora lì, in piedi, che lo saluta. Subito dopo, con inquietante ed assurda circolarità, arrivano i suoi inseguitori. I due scappano a perdifiato tra le case basse della periferia di Taipei, per poi finire circondati. Si trovano su un ponte di cemento, dai due lati arrivano gli inseguitori. Si guardano, e con un grido liberatorio si tuffano nelle acque sporche. In una scena precedente i due parlavano proprio su quel ponte, e dicevano che nessuno sarebbe stato così folle da tuffarsi in un luogo tanto sporco. I due si tuffano, dietro di loro i mafiosi sparano. Buio. Scoppio delle rivoltelle. La scena successiva, e conclusiva del film, vede i due ragazzi sott'acqua, circondati da pesci tropicali che giocano come bambini. Ah Jie continua a fare i suoi trucchi magici, che sono la sua ossessione ed il suo tratto distintivo; Ah Wei tira calci di Kung Fu imitando il suo idolo, Bruce Lee. È un'immagine bellissima e liberatoria, in cui la fantasia prende il sopravvento sulla cupa e tragica realtà di morte e disperazione. È anche il momento più evidente (non il solo) in cui si nota come Chang raccolga la lezione dei suoi predecessori in un manierismo che è stato accolto con freddezza dalla giuria veneziana (per The Best of Times), e con entusiasmo da quella di Tokyo (per Darkness and Light). L'immagine centrale attorno cui si sviluppano entrambi i film è l'ultima, nucleo di senso che non è conseguenza delle premesse lasciate dal racconto, bensì base di partenza, seme preliminare attorno al quale si sviluppa tutto il film. Ciò che resta della giovinezza, il tempo migliore, il tempo della bellezza, è una scena fantastica, un'illusione che non porta a nessuna crescita o sviluppo, ma che è perfetta in quanto tale. Intatto, innocente, ideale: così si potrebbero descrivere l'amore dei due protagonisti in Darkness and Light e l'amicizia tra i due ragazzi in The Best of Times. In quest'ultimo la scelta è particolarmente evidente: alcune scene non hanno infatti senso alcuno se non viste dalla prospettiva della conclusione come condensazione estetizzante di tutto il racconto, cioè come se questo non fosse altro che sviluppo dell'ultima sequenza onirica. Per esempio, a metà del film viene descritta la scena seguente, slegata da qualsiasi logica narrativa: è notte, i due ragazzi tornano a casa, percorrono il ponte di cemento che sono soliti attraversare tutti i giorni. Una piccola folla vi è radunata: la polizia sta dragando il corso d'acqua alla ricerca dei corpi di due ragazzi che sono stati visti tuffarsi nelle acque contagiose (cioè esattamente ciò che accadrà ai due protagonisti alla fine del film). I due non si fermano, e lo spunto narrativo viene abbandonato. La pretesa di realismo è dunque corrosa già nella prima metà del film. È sempre importante però che gli elementi poetici e sognanti siano saldamente inscritti nella realtà quotidiana. Per questo Chang si attiene alle dure lezioni dei suoi maestri alla ricerca d'una rappresentazione fedele alla realtà, anche se ottenuta attraverso innumerevoli prove ed esercitazioni. In questo senso è coerente la scelta di lavorare solo con attori non professionisti. Da un lato può addestrarli, sviluppando i loro talenti naturali (nel caso di Gao Meng-Jie l'abilità nei trucchi magici e di Wing Fan il culto di Bruce Lee, e, per estensione, del suo corpo), ma soprattutto per coglierne il momento di bellezza suprema, di spontaneità ricostruita con perizia davanti alla macchina da presa. Chang dice: "I always want to work with non-professional actors, and most people in the film have never acted before. In the case of Wing Fan, who plays Ah Wei, I felt that I'd only scratched the surface of his charm in Darkness and Light. [...] I find most of the people I need before I write the script, and so I have them in mind while I'm writing. Most of them are people I run in the normal course of life." I temi del regista, si è detto, sono ricorrenti nella cinematografia taiwanese: i ragazzi dalle vite disordinate, la descrizione della Taipei contemporanea, il simbolo dell'acqua come agente di forze imperscrutabili, le superstizioni popolari descritte con tono documentaristico, la famiglia che si riunisce attorno ad una tavola per il pranzo come luogo simbolico per eccellenza, il tema del doppio, le bande metropolitane, la violenza che fa irruzione nella vita quotidiana, la babele linguistica, i padri colpevoli che sembra facciano ricadere i loro vizi sui figli. Pur muovendosi all'interno di una già consolidata tradizione di plurilinguismo, il cui iniziatore fu Hou Hsiao-Hsien, Chang dà un inedito ruolo rilevante alla lingua Hakka: tutti i suoi protagonisti appartengono infatti a questa minoranza, e mescolano la loro lingua al taiwanese ed al mandarino (lingua ufficiale dell'isola). Chang (cinese, che non capisce la lingua Hakka) introduce così ulteriori stratificazioni di linguaggio nel cinema taiwanese, che rispecchia la realtà multiculturale dell'isola. Altrettanto degna di nota è la perizia con cui Chang fa uso delle tecniche formali per cui i suoi maestri sono noti: macchina da presa fissa alternata a lenti movimenti, assenza di primi piani, lunghi piani sequenza, attori calati nel contesto spaziale meticolosamente colto, entrate ed uscite dal piano, profondità di campo, ritmi lenti. Alcuni critici hanno parlato del suo cinema usando categorie letterarie. Si è detto che la sua arte è vicina a quella del sanwen ("everyday life prose"). Caratteristica principale del sanwen è la frammentarietà e la gamma vastissima di temi che può trattare; nelle raccolte di sanwen non è infrequente che brani di autobiografia siano mescolati a considerazioni sulla politica, cultura o società, nonché a liriche descrizioni paesaggistiche ovvero resoconti delle esperienze di persone con cui lo scrittore è venuto a contatto. Il sanwen coglie della vita gli aspetti più essenziali e meno eclatanti. Il carattere episodico dei film di Chang, l'apparente arbitrarietà con cui egli sceglie frammenti di tempi incollati nel montaggio, ed infine l'impressione di spontaneità che emanano i suoi attori possono ricordare allo spettatore cinese (o immerso nella cultura cinese) l'esperienza della lettura delle migliori raccolte di sanwen. I piani sequenza isolano frantumi di racconto alternati con un ritmo meditativo e musicale, ciò nonostante una fitta rete di parallelismi ed immagini ricorrenti lega il testo in un tutto coerente (aspetto che per altro non è assente in alcune antologie di sanwen, come quella di Zhang Ailing). Innanzi tutto ricorre il tema del doppio, particolarmente evidente in The Best of Times: Ah Wei ha una sorella gemella che sta morendo di leucemia. Le sue condizioni peggiorano sensibilmente, e la ragazza dice di sentirsi come se il tempo per lei si fosse bloccato, e tutto il resto procedesse indifferente (il tempo si bloccherà, sì, ma per suo fratello nella già citata sequenza finale dell'inseguimento che si ripete ciclicamente). Inoltre, anche Ah Wei, per tutto il film, avverte fitte allo stomaco ed è colto da nausee che fanno pensare che soffra dello stesso male della sorella. Il tema del doppio si declina anche nella figura dei due amici, Ah Wei e Ah Jie (ulteriore specularità: i due personaggi/attori sono amici in The Best of Times, nemici in Darkness and Light). È il regista stesso che ammette come lui sia entrambi i personaggi, o per meglio dire i due personaggi siano due lati differenti del suo carattere: Chang è tanto l'affabulatore Ah Jie, che ipnotizza le persone con le sue doti di istrione e con le sue magie (per trasformare la grigia periferia di Taipei in un luogo sorprendente), tanto il forte Ah Wei, che ha il potere decisionale e la determinazione di migliorare la sua condizione. Entrambi sono ancora solo vagamente consapevoli delle loro potenzialità e soprattutto del fatto che stanno vivendo i loro tempi migliori. Altri doppi sono i padri, tanto in The Best of Times quanto in Darkness and Light. Essi sono vedovi (la figura femminile è sovente negletta dalla lente di Chang), reduci da un passato militare che li lascia però senza gli onori e senza i riconoscimenti che gli spetterebbero. Le figure dei padri sono drammatiche, vecchi ubriaconi tristi capaci solo di perdere soldi al gioco o di rievocare epiche azioni belliche perdute in un lontano passato. Non possono essere guide per i loro figli, anzi spesso sono questi ultimi che si devono prendere cura di loro. Una volta entrato in possesso di una pistola Ah Jie correrà alla sala da gioco per intimorire colui che aveva umiliato il padre incapace di difendersi. Ulteriore elemento ricorrente è la malattia. Vi è da ricordare innanzi tutto la figura del fratellino affetto da sindrome di down, che compare in tutti e tre i film del regista; lui è stato, secondo i ricordi di Chang, il più difficile da dirigere, perché non distingueva la realtà dalla finzione, il momento delle riprese da una normale cena familiare. Chang mette in scena la malattia in Darkness and Light, dove il padre della ragazza è cieco, e gestisce un'attività di massaggi con altre persone affette dalla stessa malattia. La cecità del padre si contrappone alle visioni della figlia nella conclusione del film, stabilendo un fertile contrasto. Il buio è la non visione del genitore ma anche la morte del ragazzo che azzera tutte le promesse d'amore e di felicità (il lutto e l'azzeramento si rispecchiano nei numerosi inserti con schermo nero con cui il film è punteggiato), mentre la visione della ragazza è il mondo immaginario in cui si può supporre lei cada alla fine, tangente la follia della non accettazione della realtà. In The Best of Times la malattia è della famiglia di Ah Wei: della madre, morta di leucemia anni prima, della sorella ora sul letto di morte, e dello stesso ragazzo. Ancora una volta il corpo malato è strumento narrativo atto a rivelare ciò che altrimenti rimane nascosto e taciuto. Qui è la malattia che spinge la sorella a tornare a casa (ne era fuggita per andare a vivere con il suo ragazzo appartenente alla triade); sul letto di morte scrive una lettera alla famiglia che farà piangere il fratello. Viene accennata la tragica morte della madre, e l'incapacità del padre in quell'occasione di restarle vicino e di sostenerla; l'uomo è tuttora roso dai rimorsi, ed incita il figlio perché lui passi del tempo con la sorella, e la porti a passeggiare, prima che sia troppo tardi. È dunque la malattia che riavvicina, pur se brevemente, i membri della famiglia; è la sofferenza che provano entrambi a spingere Ah Wei a tornare a casa, poiché sa intuitivamente che la ragazza sta morendo. Esperienza affatto particolare, la sofferenza fisica è una rivelazione dei vincoli che legano i personaggi alla famiglia; essa permette di vedere "altrove", più a fondo. Se la famiglia costituisce un rifugio per il malato ed il morente, che vi ritorna con gratitudine, essa può anche essere nucleo di sofferenza e forse portatrice essa stessa del male. In Ah Chung la casa è funestata da disgrazie: il fratellino ritardato, la figlia violentata dal padre adottivo... la madre è convinta siano gli Dei a voler punire la sua casa, e spinge il figlio ad unirsi alla troupe di attori che mettono in scena le rappresentazioni rituali; esse sono piuttosto violente, prevedono che il danzatore cada in uno stato di trance ed arrivi ad automutilarsi per offrire il proprio sangue agli Dei. In The Best of Times l'infermità può anche essere vista come simbolo del dolore inespresso per i fallimenti dei genitori: una formazione cancerosa che incarna le frustrazioni e le sofferenze delle generazioni passate e che, contagiosa, si trasmette ai figli. Sicuramente, in tutti e tre i film, essa è anche veicolo dei grovigli di sensi di colpa adolescenziali: la colpa che provano i figli nell'abbandonare il tetto familiare, nel trascurare i genitori, o a livello più sottile nel non corrispondere alle loro aspettative, per quanto i genitori stessi siano falliti e disperati. Ultimo, ma non meno importante, elemento ricorrente (ed innovativo) dei film di Chang è la mescolanza tra realtà e immaginazione, ed il rifiuto di differenziarli. In Ah Chung questo elemento è appena accennato. Nonostante il realismo della storia, resta il dubbio che la famiglia sia stata in qualche modo destinata alla sofferenza da un Dio maligno e vendicativo. I film successivi perdono questa valenza religiosa. In The Best of Times Ah Jie lavora in un tempio, ma la rappresentazione sacra è per il ragazzo poco più di una routine cui si è abituato e da cui vuole sfuggire. In Darkness and Light l'immaginazione prende il sopravvento alla fine e soppianta totalmente la realtà, così minuziosamente filmata sino ad allora. In The Best of Times l'immaginazione dilaga e non si limita più alla sola conclusione: nel corso del film sono distribuiti particolari surreali con inquietante simmetria. Tanto la ragazza morente quanto il suo ex ragazzo hanno in casa il medesimo acquario, che Ah Wei si volta a fissare, interdetto (due volte nel film Ah Wei si sta allontanando dalla macchina da presa, e si gira d'improvviso a fissarla, come se si sentisse seguito o osservato; sa di essere in un film?). Oltre alla già citata sequenza della polizia che cerca due corpi nel fiume, una scena in particolare, all'inizio del film, fa capire come il regista voglia differenziarsi dal rigido realismo dei suoi predecessori. Ah Jie sta parlando con la sorella di Ah Wei; le fa dei trucchi magici, le dice di pensare a qualcosa, e lui la farà apparire. La ragazza guarda fuori dalla finestra, e vede passare un unicorno. I due escono di casa e accarezzano l'animale; Ah Jie gli tocca il corno che si stacca: è finto. Nel giro di pochi istanti arriva un uomo (di cui non si distingue il volto) e porta via l'animale. Nessuna spiegazione viene però data di questa bizzarria, e la ragazza lascia credere che fosse proprio un unicorno ciò cui stava pensando. Vi è poi la sequenza più violenta del film: ai ragazzi è stata affidata una pistola. Ah Jie ne abusa per darsi arie, così Ah Wei decide di tenere l'unico proiettile che possiedono. Nel momento peggiore, però (Ah Jie sta puntando l'arma alla testa di un mafioso che lo minaccia) la pistola fa fuoco. Più tardi Ah Wei troverà il proiettile in camera sua. Com'è possibile? Il regista lascia tutti questi elementi galleggiare sulla superficie del suo film, lasciando che il loro senso si depositi lentamente nel fondo della coscienza degli spettatori. Inutile porgli delle domande a proposito, risponde che si tratta di fede. Se si vuol credere a qualcosa, ciò esisterà. È questo forse il segreto del tempo migliore, il tempo della giovinezza? Di certo c'è che la storia resta così sospesa negli interrogativi, dimensione inedita nel cinema taiwanese. Oltre alla meraviglia resta anche il senso di come sia facile mutare le prospettive della realtà, di come possa bastare un elemento scatenante, anche minimo, per fare deragliare una vita dai binari dell'abitudine delle certezze acquisite. Insolito nel cinema taiwanese è il finale del film in cui i ragazzi, già morti, nuotani tra pesci tropicali; è un sogno ad occhi aperti, trionfo dell'immaginazione che celebra l'adolescenza piuttosto che descriverne con rimpianto la transizione all'età adulta. Questo finale può essere letto come condensazione tematica e visiva del cinema taiwanese degli ultimi vent'anni, così come tentativo di dirne la parola finale o perlomeno di darne una versione personale. Oppure come impasse espressiva, in cui la rievocazione della felicità perduta non trova ulteriori sbocchi narrativi e resta, per così dire, fotografica piuttosto che filmica. Saranno i prossimi film di Chang Tso-chi a dire se il regista propone un nuovo, inedito approccio al tema dell'adolescenza e dell'amicizia, nonché all'analisi psicologica dei protagonisti sublimata nella potenza evocativa delle immagini, oppure se il suo cinema rappresenta invece un'involuzione del cinema taiwanese, da decenni inteso come realista e biografico, verso un'estetizzazione della propria esperienza o della propria visione, autobiografia fantastica di suggestioni in stop motion. Note Uso questa forma di trascrizione perché è quella che compare nei press-book e nei credits dei film. In pinyin il nome del regista è Zhang Zuoqi. Dove non altrimenti specificato, si intendano le dichiarazioni del regista come rilasciate all'autore del presente articolo nel corso di interviste nell'estate del 2002, a Taipei. "Apart from offering supplication to the Gods, such ceremonies are intended as thanksgiving for the gods' protection and as a prayer that the coming year will bring peace and prosperity. Of the ceremonial rituals or performances, the Pa Chia Chiang is the most solemn, the most imposing. The most stunning and mysterious. The ceremony is designed as a ritual to the gods who suppress evil and control the demons. [...] The ritual [...] takes the characteristic of trance and possession." Dal press book del film. In Hou il simbolo della fotografia è di segno opposto: essa non rappresenta l'immaginaria felicità, bensì la testimonianza vera ed indubitabile di ciò che è avvenuto. Si pensi alle foto scattate in A Time to Live, A Time to die che ritraggono tutta la famiglia raccolta in giardino. Di rilevanza ancora maggiore (politica) sono le fotografie che scatta il protagonista di Città Dolente poco prima del suo arresto da parte del Guomindang: esse vogliono ricordare le persone destinate a scomparire fisicamente nel nulla, sono un'accusa rivolta contro chi vorrà cancellare quel periodo buio della storia e pretendere che nulla sia accaduto. La scena non è stata girata alla periferia di Taipei, bensì nelle profondità del mare al largo delle coste orientali, in prossimità delle Orchid Islands. È stata una delle scene più difficili da girare, in quanto ha reso necessari mesi di allenamento per permettere ai due attori di restare a lungo sott'acqua senza ausilio di bombole. In origine poi Chang avrebbe voluto che di fianco ai ragazzi nuotassero dei delfini, ma fu già difficile attirare un tale numero di pesci tropicali: gli attori si immergevano con del mangime in bocca che poi sputavano per attirare i pesci, che il giorno delle riprese si ostinavano a non volersi avvicinare. Il regista anticipa che il suo prossimo film sarà una storia di amici (adolescenti, maschi) che si concluderà con una sparatoria in un campo pieno di farfalle. A prescindere dal fatto che poi Chang realizzerà o meno quest'ulteriore capitolo della sua opera, è rivelatore il fatto che ancora una volta parli di un film partendo dalla fine, dall'idea della sequenza finale a partire dalla quale svilupperà il film. Intervista di Tony Rayns dal press-book del film. Tsai Ming-Liang soprattutto. Ma, se per quest'ultimo l'acqua è elemento angosciante, per Chang essa è acquietante. Il protagonista de Il fiume (Heliu, Tsai Ming-Liang, 1997) subisce degli esorcismi: la madre è infatti convinta che sia posseduto da uno spirito inquieto. Su tutti A Borrowed Life (Duo Sang, Wu Nianzhen, 1993). Si Veda Chi Ming-ling, "Heian zhi guang zhong de ming yu an", in Di 36 jie jinma jiang de jiang ying pian, 1999, pp.98-101. "San refers to a relaxed, irregular, and indipendent style, thus 'free prose' or even'essay'". Nienhauser, William H, The Indiana Companion to Traditional Chinese Literature, Indiana University Press, Bloomington, 1986, p.94. La figura del padre è stata utilizzata spesso come simbolo della sconfitta militare del Guomindang e della seguente umiliazione politica di Taiwan. Si vedano soprattutto i racconti di Bai Xianyong ed il film di Wu Nianzhen A Borrowed Life. Il regista afferma che la figura dell'unicorno, così come il maiale e l'anatra presenti nel film, gli sono stati suggeriti dal figlio. In quel periodo infatti leggeva spesso al bambino libri di fiabe pieni di animali, ed in suo onore ha voluto riempire il film di bestie reali ed immaginarie. Non sono mancati elementi fantastici ed immaginari nella cinematografia taiwanese precedente, ma il loro senso era differente. Tsai Ming-liang, ne Il buco (Dong, 1999), fa ampio uso dell'immaginario filmico che irrompe nel tessuto narrativo nella forma dei vecchi musical hongkonghesi. Nel recente Che ora è laggiù? (Ni nabien ji dian?, 2001) si mescolano realtà e finzione, ma si tratta sempre di riferimenti metafilmici molto consapevoli, non di un universo immaginario equiparato alla realtà. In E uno... e due... (Yi yi, Yang Dechang, 2000) la nonna defunta appare alla nipote e le lascia un origami in suo ricordo. In quel caso l'approccio è più simile a quello di Chang, in quanto sono filmati in ugual modo la realtà e l'immaginazione, che si trovano così a confondersi. |