La Rai, Marco Pagot e Hayao Miyazaki: un racconto trasversale sul celeberrimo capolavoro dell'animazione giapponese
Il 20/11/1980 sul quotidiano Il Resto del Carlino, in un articolo intitolato “Rascel, Pearl Harbor e Bozzetto giapponese” e firmato da Vincenzo Bossoli, viene riportato quanto segue: “Personaggi come Goldrake, Mazinga o, di toni e gusti diversi, Remì e Heidi, hanno raggiunto una tale celebrità che ormai vengono portati come paragone d’obbligo ogni volta che si parla di bambini in tv. È pertanto giusto che un artista come il nostro Bruno Bozzetto [celebre regista di film d’animazione come Le vacanze del Signor Rossi, Vip mio fratello superuomo e Allegro, ma non troppo] si sia messo in testa di realizzare per <st1:personname productid="la Rete" w:st="on">la Rete</st1:personname> 1 una serie di cartoni che avrà come titolo "Il fiuto di Sherlock Holmes". Sarà una co-produzione italo-giapponese che utilizzerà l’ormai sperimentatissima tecnica di riproduzione e montaggio dei disegni, mediante l’impiego di un elaboratore elettronico, che distingue tutte le realizzazioni nipponiche”.
Cosa sta accadendo? In pratica, <st1:personname productid="la Rai" w:st="on">la Rai</st1:personname>, visto l’enorme successo ottenuto da Goldrake e dall’animazione giapponese programmata sulle sue reti, si è detta interessata a collaborare con uno studio di animazione del Sol Levante (<st1:personname productid="la TMS" w:st="on">la TMS</st1:personname>, Tokyo Movie Shinsha) per la realizzazione di una serie tv animata destinata al pubblico infantile, in cui riproporre in versione canina tutti i personaggi delle avventure di Holmes. L’idea appartiene al produttore Luciano Staffa che, nel 1981, oltre alla Rai riesce a convincere anche lo Studio Rever di Marco e Gi Pagot (creatori di Calimero), mentre il nome di Bozzetto esce dalla rosa dei partecipanti al progetto. Coincidenza vuole che, dal 1980, <st1:personname productid="la TMS" w:st="on">la TMS</st1:personname> si dichiara disponibile a collaborare con società estere per la creazione di opere animate televisive (come Ulysses 31 realizzato in 12 puntate nel 1980 con la francese DIS), finendo quindi per accettare anche le proposte di Rai e Rever.
All’interno di TMS, in quel periodo, si trova Hayao Miyazaki che svolge il ruolo di insegnante ai nuovi disegnatori assunti dallo studio. A volte aiuta alcuni colleghi di TMS e di Telecom Animation Studio ad effettuare dei lavori su episodi di serie tv – ricordiamo, ad esempio, che Miyazaki firma con uno pseudonimo la regia degli episodi 145 (Albatros le ali della morte) e 155 (I ladri amano la pace) della seconda serie tv di Lupin III –, ma Miyazaki è sostanzialmente disponibile a lavorare come regista all’Holmes proposto dagli italiani.
Contrario al tono troppo infantile del progetto e all’utilizzo di personaggi canini, Miyazaki vorrebbe poter usare almeno un personaggio completamente “umano” in questa serie (Mrs. Hudson), ma Rai e Rever non glielo permettono, dando così origine ai primi screzi in questa collaborazione, resa difficile anche dall’assenza, a quei tempi, di mezzi tecnologici come internet e le e-mail che oggi agevolano le comunicazioni a distanza.
A metà del 1982, dopo il completamento di quattro puntate e la preparazione di altre due, la produzione di Holmes si blocca perché Rai e Server, impressionate dai costi esorbitanti sostenuti da Miyazaki (che era solito utilizzare circa 10.000 disegni per ogni puntata, e col quale le discussioni si fanno sempre più frequenti), abbandonano il progetto. Altro che computer, i giapponesi lavorano con disegni fatti a mano e ora anche in Italia iniziano a rendersene conto sul serio!
Per via di alcune circostanze fortuite, Holmes viene ripreso e ultimato nel 1984 da TMS e Telecom, che realizzano tutti i 22 episodi rimanenti (per un totale di 26), ma senza il contributo di Miyazaki. Il cartone giunge anche sugli schermi Rai e recentemente è stato proposto anche in dvd dalla Yamato Video, ma, ciò nonostante, questa serie tv continua a essere ingiustamente sottovalutata dalla critica e dal pubblico del nostro paese, rappresentando così un tentativo poco noto di collaborazione tra artisti italiani e giapponesi. Malgrado la tormentata lavorazione di quest’opera, bisogna riconoscere come essa abbia avuto un esito molto più fortunato rispetto ad altri tentativi di quel periodo di coproduzioni tra artisti europei e nipponici, come la fallita collaborazione tra Francia e Giappone per la creazione di un sequel animato della serie tv Goldrake.
Dopo questa prima esperienza lavorativa, Pagot e Miyazaki continuano a rimanere in contatto e a frequentarsi negli anni ’80, al punto che, quando il regista giapponese inizia a lavorare al suo film Porco Rosso – uscito in Giappone nel 1992 e giunto solo a novembre 2010 nelle nostre sale – ambientato in Italia nel periodo del regime fascista, Pagot lo aiuta inviandogli libri e altro materiale su Milano, il Veneto e la costa slava. Per omaggiare il suo collega italiano, Miyazaki dona al protagonista italiano di questo suo film, il nome di “Marco Pagot”. Nel film del regista giapponese, Pagot è un abile pilota italiano di idrovolanti, che ha partecipato come soldato ai combattimenti aerei della prima guerra mondiale, assistendo però, nel corso di una missione, alla morte dei suoi amici e compagni di squadra. L’evento tragico lo segna profondamente nell’animo – in parte perché si sente in colpa per essere l’unico sopravissuto del suo gruppo, e in parte per il disprezzo verso quegli esseri umani che, come i fascisti, pensano solo alla guerra e a uccidere –, provocando la mutazione del suo carattere, che diviene più burbero e chiuso verso il prossimo al punto da rifiutare anche l’amore della bella Gina, e di decidere di vivere in libertà come un mercenario privo di padroni, che guida il suo idrovolante rosso contro i buffi pirati dell’aria chiamati “Mamma Aiuto” e che si rifiuta categoricamente di allearsi coi fascisti (nel corso del film giunge ad esclamare “Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale!”). Non è solo la sua personalità a cambiare, ma anche il suo aspetto, dato che il suo volto umano è sostituito da quello di un maiale. Pagot diviene quindi una sorta di animale antropomorfo, il che lo fa visivamente ricollegare ai personaggi de Il fiuto di Sherlock Holmes, rappresentando così un ulteriore legame con quell’esperienza lavorativa che, anni prima, aveva unito Miyazaki e il vero Marco Pagot.
La “trasformazione” in maiale del protagonista di Porco Rosso (che gli consente di rendere evidente a chiunque, la sua diversità dagli altri esseri umani), non è però irreversibile. Grazie alla giovane, coraggiosa ed ingenua meccanica Fio, egli ritrova la fiducia nel prossimo e, nel finale del film dopo aver ricevuto un bacio da quella ragazza, il suo volto sembra definitivamente tornare quello di un normale essere umano. Un finale dove la speranza nel genere umano e soprattutto nelle nuove generazioni prevale sul pessimismo e la mancanza di valori degli uomini, così come Porco Rosso rappresenta un meraviglioso epilogo di quella difficile e tormentata collaborazione iniziata tanti anni prima tra Italia e Giappone, rendendo evidente come la cooperazione artistica tra persone di paesi diversi possa avere esiti sorprendenti, fungendo così da incentivo anche a nuove collaborazioni tra artisti italiani e giapponesi, che contribuiscano ad avvicinare, oltre che da un punto di vista lavorativo, anche culturalmente e socialmente questi due popoli.