Il tempo oggettivo della tradizione culturale, ed il tempo soggettivo della maturazione nelle relazioni familiari sono oggetto di una costruzione narrativa approfondita appieno nei due film proposti.
Con Sopyonje (1993) Im Kwon-taek riscuote un notevole successo in patria e all’estero recuperando la tradizione culturale del Pansori, il canto folcloristico coreano per lo più sconosciuto alle giovani generazioni, e al resto del Mondo, destinato ad essere soppiantato dalle continue ingerenze coloniali e neo-coloniali di cui è spesso stata oggetto la nazione prima e dopo la sua divisione. Nel 2007 il regista torna sul tema con Beyond the years narrando un’identica storia, nonostante le smentite dell’autore e la fonte prima dei due diversi film, e dando origine ad un rapporto di analogie, ripetizioni e variazioni che inserisce a pieno titolo le due opere nel contesto del dialogismo intertestuale, e, nello specifico, nella pratica del remake. I film sono in effetti adattamenti di tre diversi racconti sul Pansori dello stesso scrittore Lee Cheong-joon, ma sono medesimi i personaggi, gli eventi, le dinamiche narrative. Ad emergere come peculiare variante del secondo è il trattamento che in rapporto al primo, è riservato alla dimensione temporale intesa nella sua accezione più ampia e trasversale: il tempo che divide le due pellicole, gli anni della storia della Corea e gli anni in cui si attestano ulteriormente le pratiche post-moderne della scrittura e dello spettacolo; la stratificazione temporale complessa che gioca su molteplici livelli narrativi, con altrettanti narratori, il tempo scenico, condensato e dilatato, che mette in ellissi o espande nel secondo gli eventi del primo. Viene così a generarsi fra i testi una sorta di complementarietà dove gli accenni sfumati ed elisi nel primo, assumono maggiore rilievo nel secondo e viceversa.
Il tempo, la storia, la tradizione sono già principali protagonisti di Sopyonje in cui Dong-ho adulto, negli anni sessanta, alla ricerca della sorellastra Song-hwa, procede attraverso ricerche guidate da testimonianze di carattere prevalentemente oggettivo. L’arco temporale della narrazione si dipana sullo sfondo di una Corea appena uscita dalla guerra in cui la tradizione gradualmente soccombe alla veloce modernizzazione. Il tempo avanza imprecisato, avanti e indietro sulla linea cronologica, con indistinte ellissi, dal presente, alla giovane età dell’apprendimento dell’arte del Pansori. Figura centrale è Yu bong, il padre adottivo, insegnante, devoto alla disciplina, che educa e rimprovera i ragazzi, che spingerà Dong-ho ad abbandonare la famiglia adottiva, e Song-hwa a cogliere la profonda essenza del suono, attraverso il dolore, l’angoscia, lo han, rendendola cieca. Le scene si dilatano fra vagabondaggi dei tre artisti mendicanti, le esercitazioni strumentali con il tamburo, ma soprattutto vocali, le cui esibizioni per strada, o in dimore signorili, si fanno portatrici di stati d’animo e di dinamiche relazionali fra i personaggi (si veda il rapporto fra Song-hwa abbandonata dal fratello e divenuta cieca che diviene anche muta con Yu-bong ).
La rilettura di Beyond the years apre direttamente un confronto fra i testi filmici e pone la questione della mobilità dell’opera, la sua componente autoriflessiva, instaura un rapporto temporale, che come già indicato, lavora sullo scarto nella rappresentazione della recente storia della Corea che va di pari passo con lo scarto generato dalle stesse modalità di scrittura.
Il processo di modernizzazione pare più avanzato negli ambienti che perdono il loro carattere fortemente rurale del primo, l’ambiente cittadino del mercato, la locanda, quello militare ovviamente d’importazione americana. L’indice connotativo di povertà fortemente marcato in Sopyonje si attenua, nell’impiego dei costumi, nello stile di vita dominante, in cui non si mendica, dove il cibo è sempre presente e le dimore sempre confortevoli.
Le didascalie precisano il tempo in cui si svolge la storia a partire dal 1956 anno del primo ricordo del protagonista Dong-ho fino ai primi anni ottanta. Il tempo scenico dedica meno importanza alla figura del padre e condensa gli avvenimenti privilegiati del primo film nella parte iniziale fino alla fuga di Dong-ho.
Il remake in quest’ottica di dinamismo dell’opera infatti è un procedimento che aggiunge e si fa più esplicito. Gli elementi della narrazione che in Sopyonje appartengono al fuori campo, sono messi in ellisse, o neanche accennati, assumono qui un ruolo privilegiato come l’arruolamento di Dong-ho nel corpo militare occupante dei Marines, il lavoro con le compagnie teatrali, il suo rapporto con la propria famiglia, la moglie e il figlio da cui lui fugge per cercare la sorella che nell’arco della storia incontra con frequenza. Se in Syoponje infatti la scena di chiusura assume quel particolare peso drammatico poiché il taciuto riconoscimento avviene dopo anni di assidua ricerca, senza nutrite speranze, in Beyond the years, fratello e sorella hanno molteplici occasioni per confrontarsi, parlare, e abbandonarsi nuovamente, come quando si riconoscono presso la dimora signorile dell’anziano che Song-hwa sposerà a breve, o nel giorno dell’anniversario della morte del padre presso la sua tomba, oppure quando il fratello comunica il suo desiderio di partire per un lavoro in Medio Oriente allo scopo di guadagnare soldi per costruire una casa e poterla accudire.
Ma è sul piano enunciativo e di una stratificazione della struttura narrativa, che Im Kwon-taek rielabora l’impianto temporale del racconto primo conducendolo da un regime oggettivo ad uno soggettivo. Se non vi sono punti di vista privilegiati in Syoponje, la soggettività di Dong-ho impera in Beyond the years sin dalle prime inquadrature. Camminando fra le ampie campagne deserte inizia ad udire il Pansori, si volta e attraverso un raccordo di sguardo si vede bambino proiettato nel 1956 con il padre e la sorella adottivi. Il presente della narrazione si svolge unicamente nella locanda in cui è ospitato, dove incontra un conoscente, vecchio amico e rivale, al quale racconta il proprio passato. In un confronto a tavolino, i due uomini ricompongono il passato con frammenti di ricordi che si accumulano in un tessuto narrativo articolato e che origina ulteriori piani narrativi, come nel caso del pittore il cui flashback è inserito all’interno di un altro ricordo. I vari gradi di passato più remoto e recente si susseguono accentuando la propensione del racconto a subordinare la propria linearità alla soggettività dei due personaggi.
Emblematica a questo proposito è proprio la scena conclusiva. Il sublime momento dell’agnizione che caratterizza la chiusura di Syoponje in cui i due fratelli cantano e suonano, ritrovandosi dopo un lungo periodo e senza dichiararsi, subisce un’introspezione significativa nel finale di Beyond the years. Con il tamburo lasciatogli dal padre, Dong-ho si mette a suonare: il paesaggio sullo sfondo della locanda si trasforma per assumere le sembianze di un tempo mentre, dal nulla, appare la sorella che si unisce a lui con il canto.
Il trattamento della dimensione temporale ed enunciativa attuato dal remake di Syoponje mette in atto un processo di lettura basato sugli aspetti socio-politici del cambiamento dei tempi, in funzione di un diverso approccio con la tradizione culturale, e di una lettura autoriflessiva del racconto tramite la pratica autoreferenziale e sperimentale del processo di riscrittura.
Il tempo oggettivo storico, della tradizione culturale, dei cambiamenti storici e della modernizzazione, il tempo soggettivo della ricerca, della crescita e della maturazione nelle relazioni familiari sono oggetto di una costruzione narrativa che nel remake approfondisce le relazioni formali per rientrare a pieno titolo in una visione postmoderna metatestuale.
Davide Morello