Il film presenta un tema che è d’attualità da oltre mezzo secolo è la divisione delle due Coree, in un'avvincente intreccio in cui emergono divergenze e problematiche della divisione Nord Sud.
Joiny Security Area (o JSA, 2000) è un film che ha avuto grande successo in patria e che indubbiamente ha coinvolto per l' interesse storico, culturale, nonché il sentimento intimo di appartenenza e identità nazionale degli spettatori. Il tema che è d’attualità da oltre mezzo secolo è appunto la divisione delle due Coree. «In seguito ad un incidente diplomatico», dice la notizia radio all’inizio del film, «la tensione è alta tra i sospetti di un programma nucleare della Corea del Nord e l’avanzata delle navi statunitensi nei mari del Sud Est». Il film coniuga la popolarità del thriller, un' avvincente intreccio in cui emergono divergenze e problematiche della divisione Nord Sud, nonché un enorme operazione di marketing finalizzata al successo nelle sale.
L’intensa amicizia che nasce fra soldati nord e sud coreani di guardia al confine della zona demilitarizzata, concede spazio allo spirito di fratellanza che sconfina oltre le rigide convenzioni burocratiche e politiche: schermaglie di giochi di potere ed ideologici che vengono messi in crisi dall’utilizzo di un costante umorismo e dalla denuncia di un sistema fortemente conflittuale e in netta contrapposizione. Il legame che unisce amici di fazioni antitetiche si mostra in tutta la sua solidità e solidarietà quanto nella tensione, nella diffidenza, nella soluzione irrazionale ed istintiva in cui è destinato a culminare, mettendo a nudo le contraddizioni e i timori insiti nella cultura del paese forzatamente diviso e le cui parti sono reciprocamente ostili.
Ma JSA è soprattutto un poliziesco postmoderno dal rigore formale, la cui struttura narrativa e l'articolazione spazio temporale, nonché le aspettative spettatoriali relative al genere, ad ogni investigazione il cui fine ultimo è la verità, ruotano intorno al concetto di indeterminatezza..
Il giallo classico razionalista caratterizzato dal ragionamento a tavolino, dalla ricerca di indizi sul luogo del delitto, dalla raccolta di prove, interrogatori, deduzioni, ipotesi, si fonde con quello d’azione e suspense, prevalentemente concentrato nei flashback o in impreviste svolte narrative. A questa combinazione fa fronte la dissimulazione di una realtà che solo in apparenza è risolta ed oggettiva.
Lo spazio ed il tempo assumono una connotazione soggettiva a causa delle immagini ricordo, dei raccordi che spezzano la continuità dello spazio o assemblano livelli narrativi eterogenei, angolazioni o spostamenti di macchina che compongono un labirinto tanto dinamico e labile, quanto inafferrabile è la soluzione del caso che si apre all'interpretazione. Un senso di spaesamento e disorientamento che coinvolge il piano semantico e quello enunciativo, attraverso il quale gli eventi e la loro stessa ricostruzione sono cronologicamente sovvertiti e il regime dell'oggettività e quello soggettivo non sono facilmente distinguibili.
Il mistero infatti è destinato a rimanere tale o è svelato solo parzialmente, e pare significativa e anticipatrice l'affermazione del colonnello quando assegna il caso al maggiore Sophie Jean, protagonista ed investigatore della detective-story:« Importante è la procedura, non il risultato», con diretti riferimenti alla stessa struttura narrativa del giallo nella quale è più interessante il procedimento che conduce alla risoluzione piuttosto che lo svelamento del mistero stesso (il sospettato è custodito ed ha testimoniato); un'altra osservazione del colonnello, che suona come dichiarazione poetica, la pronuncia quando intende congedarla, «non avete ancora imparato niente di Panmunjon: qui si mantiene la pace nascondendo la verità». Infatti l'occultamento di certi particolari tramite la dialettica campo, fuori-campo e le soluzioni espressive e narrative adottate si muovono in funzione di una certa lacunosità. Entrambe affermazioni dal sapore metalinguistico e autoreferenziale che fanno riferimento ai contenuti e alle forme espressive.
Elementi caratteristici che confluiscono “nell'indeterminismo poliziesco” che, «presenta l'interpretazione “a più mondi”(…):anche quando l'autore di una storia a più finali si sente in dovere di sceglierne in conclusione uno come vero, la sfida che ha posto al lettore,(...) è quella di mostrargli una soluzione del mistero intrinsecamente plurale, costituita dalla ricostruzione di una molteplicità di storie, al tempo stesso alternative e compossibili».1
Il giallo classico viene stravolto da un'altra figura non del tutto irrilevante nell'economia narrativa: l'assistente dell'investigatore é di rigore una figura di spalla la cui funzione mette in risalto l’efficacia dei ragionamenti e la destrezza deduttiva del primo. Nel film il Capitano Perrson è si presente perché il Maggiore Jean dichiari il suo percorso investigativo, ma sovente silenzioso, impassibile, spinto fuori dall'inquadratura e soprattutto messo in risalto perché possa constatare i fallimenti della donna.
Ma sono le dimensioni della soggettività, la costruzione spazio-temporale e la conseguente compenetrazione dei livelli diegetici a mettere in moto questo articolato processo di relativizzazione.
Nella sequenza d'esordio sono già presenti specifiche marche stilistiche inerenti la scansione temporale tramite la didascalia che diverrà strumento per segnalare i salti avanti e indietro sull'asse cronologico e che, in certi casi, diviene arbitraria, a causa della sua stessa omissione, o per ulteriore meccanismo di mise en abîme, che struttura diversi livelli di flashback uno dentro l'altro.
Da subito si fa ricorso ad una soluzione di ambiguità, di perdita del controllo e spiazzamento: la soggettiva iniziale della donna preceduta dal capitano Perrson che si rivolge verso di lei, cioè verso la mdp tenuta a spalla. Improvvisamente Sophie Jean entra in campo da sinistra svelando la natura illusoria del punto di vista. Smarrimento di una certezza, di un punto fermo da cui guardare, questo artificio pare anticipare quel senso di precarietà e instabilità che contrassegnerà l'intera pellicola rispetto alle dinamiche dell'indagine e del racconto.
L'ordine degli eventi di un giallo sono solitamente invertiti rispetto ad un film di avventura: si parte infatti, dal crimine compiuto in un luogo che si scoprirà essere la ridotta di confine dei nord coreani dove il sergente Oh e il soldato Jung con gli amici e ospiti del sud, sergente Lee e il soldato Nam, vengono scoperti dal tenente del nord, all'oscuro dei loro incontri. Muoiono quest' ultimo e il soldato del nord e rimangono feriti gli altri, tranne il soldato Nam. La macchina da presa è all'esterno dell'edificio e con un particolare movimento convenzionalmente soggettivo, in seguito ad un colpo di pistola, si avvicina parallelamente alla parete per voltarsi e cogliere il particolare del foro lasciato dalla pallottola.
Lo spettatore è lasciato fuori campo e, nell'infittirsi del mistero, come la detective, è costretto a mettere insieme i frammenti delle varie testimonianze dei presenti.
Gli investigatori arrivano ai primi di novembre. I flashback di quella serata saranno molteplici e presentati da altrettanti punti di vista, interrotti e poi ripresi successivamente da altre soggettività, oppure da scene non collocabili in una precisa dimensione enunciativa o temporale. Il flashback che occupa buona parte centrale del film, potrebbe avere un carattere oggettivo, e la sua origine è dubbia, poiché le tecniche espressive rimandano ad un possibile ricordo-testimonianza del soldato appena gettatosi dalla finestra per suicidio. L'inquadratura si avvicina al suo volto incosciente e la storia parte dal 17 febbraio. Il ritorno indietro narra la maturazione dei rapporti amichevoli fra i soldati nemici, il salvataggio del sergente Lee da parte dei colleghi del nord, la clandestina corrispondenza, la serata in cui il soldato Nam ha fatto la conoscenza dei due, i giochi infantili, le chiacchierate, fino alla serata del 28 ottobre, quando apre la porta e rimane sorpreso quando vede qualcuno che per lo spettatore rimane fuori campo. Non è un ricordo del soldato perché non poteva essere a conoscenza di certi avvenimenti a cui non ha assistito, ma è piuttosto un'alternanza di punti di vista dislocati in tempi diversi. Improvvisamente la storia torna al presente, a quando il soldato si è gettato e Sophie Jean viene assalita da Lee. Il passaggio da un livello all'altro avviene nuovamente con uno stacco sul suo sguardo assente. All'interno di quest' analessi, oltre all'apparire di immagini della zona di confine probabilmente attuali, fa la sua comparsa una voce narrante in prima persona, quando i soldati sud coreani escono in stato di allarme dalla base. È il sergente Lee che racconta all'interno del flashback principale una situazione vissuta poco tempo prima.
Altro importante flashback lo si ritrova quando il colonnello spiega al maggiore Jean l’identità del padre della donna che si presenta come un filmato di repertorio in bianco e nero sui prigionieri nord coreani al tempo della guerra. Inserto documentaristico extradiegetico che riproduce un passato storico collettivo.
Tali raccordi di continuità permettono di allineare e mettere sullo stesso piano eventi ed inserti dislocati su livelli di realtà differenti formando un tessuto narrativo stratificato.
Il maggiore Jean ripete il gesto dell'omicida impugnando la pistola e puntandola verso il basso: la mdp scorre lungo il suo braccio che diviene quello dell'assassino che spara al tenente Choi, quella sera, e con un movimento inverso, si torna al presente dell'indagine. Guarda la sagoma del soldato ucciso sul ponte lungo la divisione del confine, e diviene la sagoma del soldato Jung disegnata sul pavimento nel luogo del delitto.
Il montaggio simula una continuità fra due inquadrature non compatibili sul piano diegetico e sintattico come quando Jung, di notte, cerca di cacciare il proprio cane oltre il confine per salvargli la vita. Da una gag in cui cerca di convincere l'animale ad andare al Sud, con calci e osservazioni umoristiche, lo stacco conduce all'inquadratura del soldato Nam, di giorno, che allontana l'occhio dal cannocchiale, e, guardando l'amico sergente, commenta divertito. Nella linearità del raccordo di sguardo si legano situazioni senza alcuna relazione di causa-effetto.
Nella continuità del piano sequenza, quando la donna esce dal confronto fra i due sergenti, si vede un po' in lontananza soffermarsi davanti alla porta, ma uno zoom indietro la scorge entrare in campo su una balconata, da destra in primo piano, per prendere il biglietto aereo che le è porto dal colonnello.
Le panoramiche vorticose ruotano a 360 gradi, con stacchi impercettibili o con inversione di direzione quando mostrano i soldati che parlano nell'oscurità delle serate trascorse insieme. Ma anche gli scavalcamenti di campo invertono le posizioni dei soldati al confine sulla linea di divisione come ad attestarne l'intercambiabilità, la simmetria e l'equilibrio. La protagonista, in un attimo di delusione e ripiegamento, con l'ombrello, cammina sulla linea di demarcazione ed è ripresa dai due lati che contrappongono i due paesaggi del Nord e del Sud.
Svelamento inaspettato del fuoricampo come quando Lee è bloccato sulla mina di fronte a Jung, e alle spalle si scorge, con un movimento, il sergente Oh; o al contrario occultamento di fatti essenziali spinti al di fuori dell'inquadratura come nella scena del crimine, mai restituita nel suo complesso, nonostante la molteplicità delle versioni, ma strutturata secondo dettagli.
Questi ultimi assumono un peso rilevante nel metodo investigativo e stilistico che procede per un'accumulazione di particolari che la macchina da presa di Park Chan wook isola in qualità di elementi narrativi e simbolici messi in evidenza attraverso accentuate angolazioni o con un forte impatto visivo, talvolta iperreale: il foro del proiettile nell'incipit, la spoletta, i proiettili, l'accendino, le foto, il display del registratore, il sangue che schizza sulla lampadina, o sulla pistola a terra.
In questa struttura labirintica il mistero non viene risolto se non attraverso l'ultimo flashback del sergente Lee che nuovamente ricalca una specifica soggettività, che riparte sintatticamente, dopo un ritorno al presente, dalla porta e il fuori campo, al quale si era interrotto il soldato Nam. Ma alla fine del metaracconto, è la protagonista che riporta il ricordo al sergente del nord Oh. Questi porge l'accendino al maggiore, ma con uno stacco, è lei che fa accendere al sergente Lee, non più nel cortile dell'ospedale, ma al sud, al centro della Commissione di Vigilanza delle Nazioni dove ancora non è chiarito il dubbio sul caso, su chi abbia sparato per primo. Il suicidio finale di Lee rievoca visivamente, con il ralenti, l'uccisione di Jung. Ancora una volta il gioco metalinguistico fa apparire chiaro il significato di quel ponte del non ritorno che divide le Coree e il cui attraversamento segna il punto di non ritorno del racconto: anticipazione del destino di cui saranno vittime i protagonisti sudcoreani suicidi.
Incertezze, esitazioni, ripetizioni e variazioni, costanti accostamenti spazio-temporali di varia natura organizzano un sistema testuale che rivisita il giallo per sovvertirlo e per fare emergere il carattere multiplo e aperto di un’opera contemporanea che lascia spazio alle lacune incolmabili e all’incapacità di individuare una realtà univoca. A un tempo spesso riconducibile ad una contingenza, al ricordo del personaggio, si assiste, soprattutto nella sezione centrale del film, allo sfaldamento dei riferimenti cronologici ed enunciativi. Contrassegno specifico della narrativa postmoderna in cui non è più possibile stabilire una gerarchia tra i livelli dietetici, «...nella quale non solo vengono a mancare il principio di causa ed effetto e la direzionalità del tempo, ma viene messa in discussione anche l’autorità dell’autore».2
L'estrema cura formale e la complessa costruzione narrativa, che gioca sulla sorpresa, sul disorientamento dei protagonisti e dello spettatore restituisce una realtà i cui punti di riferimento sono costantemente messi in discussione.
Davide Morello.
1 R. Giovannoli, Elementare Wittgenstein! Filosofia del racconto poliziesco, Edizioni Medusa, Milano 2007, p.142
2 A. Autelitano, Cronosismi. Il tempo nel cinema postmoderno, Campanotto Editore, Udine 2006, p.82