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Tsukamoto Shin'ya (Tokyo 1960)

Giappone

A soli quattordici anni Tsukamoto ha tentato di sperimentare con una 8 mm una personale idea di cinema visionario al quale ha poi dato graduale compiutezza nel corso della sua ormai ventennale carriera.

Lo hanno aiutato anche i suoi primi studi di pittura a olio, una certa esperienza nell'ambito pubblicitario e la libertà creativa di cui dispone nel piccolo gruppo teatrale Kaijū Gekijō (Teatro dei mostri marini) che ha fondato nel 1985 ispirandosi a vari movimenti underground come quello di Terayama Shūji. Dopo alcuni interessanti cortometraggi, tra cui Mostri di grandezza naturale (Futsū saizu no kaijin, 1986) e Le avventure del ragazzo del palo elettrico (Denchū Kozō no bōken, 1987, Gran Premio al Pia Film Festival di Tōkyō), nel 1989 ha girato il suo primo film in 16mm, Tetsuo (id.), grazie al quale ha ottenuto nello stesso anno il Gran Premio al Fantafestival di Roma e l'improvvisa popolarità nei circuiti di cultori del genere. È giunta quindi la chance di realizzare un film in 35 mm per la major Shōchiku, con un discreto budget e interpreti importanti, progetto da cui è nata la favola-horror Hiruko - Il cacciatore di fantasmi (Hiruko - Yōkai hantā, 1991), ma il regista è presto tornato alla sua produzione indipendente con Tetsuo II - Body Hammer (id., 1992), Tōkyō Fist (id., 1995), Bullet Ballet (id., 1998, film con cui ha ampliato la formula di lotta tra uomo e habitat a quella di differenti generazioni di "mutanti"). Raccolto ormai un pubblico di cultori di tutto rispetto a livello internazionale, forse con meno fortuna in patria, l'ultimo sforzo del regista è una seconda opera importante in termini di budget realizzata per la major Tōhō Sedic, Gemini (Sōseiji, 1999, dall'omonimo racconto di Edogawa Ranpo), primo film in costume per quest'autore.

Seppure manifestata con minore evidenza nel film Hiruko, tutto il cinema di Tsukamoto parte da e si sviluppa intorno all'idea che l'essere umano viva oggi in un contesto urbano composto di cemento e metallo che si estende a dismisura fagocitando spazio e carne umana, fino a ridurre l'uomo al solo cervello. Sta a noi, dunque, riappropriarci della nostra materia lottando con la sostanza inorganica che ci soffoca, sferrando pugni (il tema di Tōkyō Fist) per infrangere gli eccessi di habitat e svelando il sangue di cui siamo composti per ridefinire la fisicità dei nostri corpi. Il suo cinema è quindi visualmente molto forte e ricorre spesso alla potenza immaginifica dei manga di cui Tsukamoto riconosce una certa influenza (soprattutto dagli anime Gamera e Ultra Q): con agilissimi movimenti di macchina, rappresenta la carne mentre si fonde con il metallo (Tetsuo e Tetsuo II), mette in scena apocalittiche e cyberpunk devastazioni e abnormi fiotti di sangue, piercing, violenze sul corpo al fine di definirlo, geometriche e metalliche rappresentazioni urbane (visualizzate al meglio dai bianchi, neri e grigi toni di Tetsuo e Bullet Ballet), richiama instancabilmente l'idea che esista la possibilità di perdere la vita anche in una società che — sostiene l'autore — si ritiene invulnerabile come quella giapponese. Si succedono nei film scene veloci e violente riprese con l'estrema libertà dei movimenti di macchina con cui Tsukamoto sapientemente calibra il mutare dei corpi. A dimostrare il rifiuto di una collettività di "colletti bianchi" in cui il sentimento si annulla in un'ampia logica "sociale", la sinuosità erotica formale dei manga si anima in effetti di spigolosità e di attrito stridente. Ritroviamo tante analogie con i vecchi mostri del cinema giapponese, e in un certo senso anche con il noto Akira di Ōtomo Katsuhiro, ma Tsukamoto ha inventato in più una concezione devastante dello spazio e una nuova realtà della forma.

Maria Roberta Novielli
Storia del cinema giapponese, Venezia, Marsilio, 2001, pp. 279-280