Dal 27 settembre al 14 ottobre si è tenuta la Dance Triennale Tokyo 2012, quinta edizione del festival di danza contemporanea sotto la direzione di Ono Shinji e Kobayashi Hiroyuki.
Il suo ex direttore Takaya Seiji, scomparso dopo l’edizione del 2009, aveva organizzato inizialmente l’evento sotto la sigla di Dance Biennale Tokyo (2002 e 2004). Dislocata tra Spiral Hall, Aoyama Round Theatre, Theatre Image Forum, United Nations University, Goethe-Institut Tokyo e Aoyama Book Center, questa manifestazione ha offerto un ventaglio ricco di eventi, tra cui performance, dibattiti, incontri, workshop e una florida rassegna cinematografica.
Di respiro internazionale, la Dance Triennale Tokyo 2012 è riuscita ad aprire una squarcio sulle nuove espressioni coreutiche che rispecchiano realtà contemporanee di 10 paesi. Invitati al festival erano la Nacera Belaza Company (Francia/Algeria), Strange Kinoko Dance Company (Giappone), Arkadi Zaides (Israele), YoungSoon Cho Jaquet (Svizzera/Corea), les ballets C de la B (Belgio), Yasmeen Godder (Israele), Heshiki Hideto (Svizzera Giappone), Co. TABA-MAKI, 21st Century GEBA GEBA dance company, Kawamura Mikiko, Jecko Siompo (Indonesia), Kondō Ryōhei (Giappone), Choi Jin-han (Corea), Martin Nachbar (Germania), Lia Rodrigues Companhia de Danças (Brasile) e Mukaiyama Tomoko+Nicole Beutler+Jean Kalman (Olanda, Germania, Francia, Giappone).
Ritengo molto nobile e coraggioso l’intento di conferire alla danza contemporanea, forma d’arte giovanissima creatasi in Giappone solo 30 anni fa, una posizione di privilegio nel riverberare problematiche e situazioni sociali, politiche, economiche e culturali appartenenti al nostro presente sempre più complesso e globalizzato. Anche se essa non gode sempre di una grande visibilità e sostegno finanziario, come invece altre forme di espressione storicamente più riconosciute e integrate nel sistema sociale, Dance Triennale Tokyo ha dato prova della prevalente importanza che la danza contemporanea svolge nella comunicazione interpersonale e nella interrelazione tra le arti, tra l’artista e il suo pubblico. Questa linea di pensiero è stata chiaramente confermata da Enomoto Ryōichi il quale ha moderato eggreggiamente il simposio che verteva sull’interrogativo “Why do we dance?”. Durante questo simposio sono stati affrontati questioni molto interessanti come il rapporto fra tradizione e contemporaneità, questioni pedagogiche concernenti l’educazione della danza presso le scuole, le nuove tecnologie che interagiscono con il corpo, l’impatto dei mezzi di comunicazione di massa e della fabbrica massmediale sulla società, gli aspetti che contraddistinguono la danza contemporanea dalle altre forme coreutiche. Gli invitati alla tavola rotonda hanno fornito prospettive da campi diversi. Kondō Ryōhei, direttore della compagnia maschile Condors, era la voce rappresentativa della danza contemporanea giapponese. Takahashi Kazuko, docente presso la Yokohama National University, ha fornito un quadro sulla situazione attuale dell’insegnamento della danza nel campo dell’istruzione. La voce sulla tradizione è stata espressa in maniera brillante da Iwashita Hisafumi, autore del Geisharon (Teoria sulle geisha, 2006), il quale ha proposto uno sguardo storico sulla danza in Giappone e gli aspetti rivoluzionari contenuti nelle forme tradizionali. L’artista Tabaimo ha presentato le sue interessanti creazione sperimentali, installazioni visive radicalmente intrecciate con il corpo danzante. Comunque, larga parte del pubblico (prevalentemente femminile), che ha riempito l’ampia sala della United Nations University, è stata richiamata dalla presenza di TETSUYA, membro del gruppo pop maschile EXILE, sempre in cima alla classifiche, che combina a pari livello coreografia con la musica.
Senza dubbio i programmi della Dance Triennale Tokyo hanno posto in primo piano la danza, conservando con rigore l’accento sulla intermedialità che afferisce la danza contemporanea, facendola emergere sotto forme diverse e attraverso mezzi di comunicazione come il film. Infatti una rassegna ricca di pellicole sulla e intorno alla danza, tra cui The Space in Back of You (2011) di Richard Rutkowski che documenta la lunga e fertile collaborazione tra Robert Wilson e Hanayagi Suzushi, ha accompagnato gli eventi quotidiani, che si erano svolti nell’arco della programmazione.
Una delle perfomance più intense che posso menzionare è Out of Context-For Pina (2010) presentato da les ballets C de la B, gruppo diretto da Alain Platel.
All’inizio i performer sono seduti anonimamente fra il pubblico. Uno ad uno salgono sul palco dell’Aoyama Round Theatre con i loro abiti quotidiani fermandosi sul retroscena, e, con le spalle rivolte al pubblico, si toglono gli indumenti, senza liberarsi della maglieria intima. Delle coperte rosso mattone sono accatastate in fondo al palco e diventano momentaneamente il nuovo abito/identità di ognuno di loro. Muggiti di mucche rieccheggiano e i ragazzi iniziano ad annusarsi, a imitare i gesti l’uno dell’altro, come ad azzerare l’essere sociale accumulato fino ad allora. Da quì inizia a svilupparsi una dimensione pulsante di situazioni sceniche, corali e individuali, condensate dai performer, i quali dimostrano, oltre all’abilità personale di ognuno, un’eccezionale senso di ironia. Anche se alcune strategie sceniche potevano sembrare un pò prevedibili, ciò che si verfica sul palco e si estende nello spazio della platea, è un vero e proprio lavoro creativo dei danzatori, che entrano in un visibile processo con il corpo e con la voce.
Sempre nel ciclo della Dance Triennale è stato condotto da Fujii Shintarō un interessante incontro tra Alain Platel e il pubblico presso la Waseda University, in collaborazione con lo Tsubouchi Shōyō Theatre Museum.
In Urheben Aufheben Martin Nachbar contempla ad alta voce e con il corpo diverse questioni che concernono la ricostruzione storica di un opera scenica, in questo caso Affectos Humanos (1962) di Dore Hoyer. Il danzatore ha prodotto una scena molto lineare, e lo spazio, spoglio, presentava una lavagna su cui Nachbar annotava i suoi processi logici in uno schema raffigurativo e didascalico, a cui si alternavano delle fasi di “messa in pratica”. La sua danza era a metà strada tra una asciutta demonstration lecture e improvvisi flussi emotivi. La performance era spesso sostenuta da una rinfrescante ironia teutonica, che gettava una luce meno severa e a volte autocritica sul discorso, ma che purtroppo sembrava non esser stata colta dal pubblico, che rimaneva in silenzio. Urheben Aufheben è un icastico esempio di configurazione tra teoria e pratica, parola scritta/detta e corpo, accademismo e intrigo razionale che potrebbe circondare l’arte della corporalità, imitazione e ricreazione, considerando i limiti nel presente o le possibilità che si sono accentuate a livello della tecnologia.
Mentre lo spettacolo più atteso del festival, Shirokuro, performance eseguita da Mukaiyama e Mitchell-lee van Rooij, a dispetto delle aspettative create, era caratterizzato, a mio avviso, da autoreferenzialità e retoricità.
Con JAPAN FOCUS lo sguardo era proiettato sugli artisti giapponesi Heshiki Hideto, Tabata Maki, 21st Century GEBA GEBA dance company e la giovanissima Kawamura Mikiko, che riesce a trasferire la street dance in una dimensione di performance teatrale combinando diversi linguaggi scenici e tecniche espressive.
Una peculiare attenzione è stata dedicata all’ asse continentale che attaversa il fenomeno della danza contemporanea asiatica, che negli ultimi anni è diventata un tema preponderante. Durante il forum “What should be thought of dance in Asia?” moderato da Mutō Daisuke, è stato presentato un dibattito tra gli invitati Tang Fu Kuen, Myra Beltran e gli intervistatori Hisano Atsuko (Saison Foundation), Shimada Seiya (Japan Foundation) sulla specificità regionale e il complesso processo di modernizzazione in un continente, dove la tradizione è radicata nella cultura del corpo.
L’appuntamento ASIA FOCUS ha fornito un assaggio e confronto tra le tendenze specifiche di paesi come l’Indonesia con Jecko Siompo, la Corea con Choi Jin-han e il Giappone con Kondō Ryōhei. In questo trittico di performance quello più vicino allo show era visibilmente la coreografia di Kondō.
Se, come aveva sottolineato Enomoto Ryōichi durante il simposio “Why do we dance?”, la danza contemporanea si distingue per il suo processo di negazione della danza stessa, possiamo dire che Kondō è uno che va contro corrente. In Koi no bakansu (A Love Vacation), eseguito con Nakamura Yō, si possono gustare duetti quasi classici, pur sempre farciti del tipico senso di umorismo di Kondō. Certamente il suo modo di muoversi, quasi impeccabile, non si può definire convenzionale nel senso stretto e le sue coreografie sono sempre caratterizzate da movimenti originali che arrivano direttamente allo spettatore di qualsiasi età. L’attività ipertrofica di questo popolare artista manifesta una tendenza di democratizzazione della danza: essa si estende dalla collaborazione con NODA MAP alle coreografie televisive, come in Karada de asobō (Divertiamoci con il corpo) ideate per far divertire bambini, o in Salaryman Neo con il sararīman taisō, ginnastica per “aiutare” il salaryman, che deve combattere la sbornia del giorno dopo (il tipico futsukayoi, elemento integrante del vocabolario sociale giapponese e della sua cultura del bere).
Purtroppo questa edizione della Triennale non ha visto danzatori italiani, la cui presenza sulla scena giapponese manca. Gli unici rappresentanti dell’Italia invitati in passato alla rassegna sono stati Alessio Silvestrin, artista residente a Tokyo e forse l’unico coreografo attivo nell’Arcipelago, il quale aveva presentato alla Dance Biennale Tokyo 2004 Derivare, e Massimo Moricone che aveva messo in scena con il suo Teatro Koros alla Dance Triennale Tokyo 2006 la collaborazione italogiapponese #06_2006 skin-fatman/little bastard.
A maggior ragione è stato un grande piacere di incontrare tra il pubblico l’ambasciatore Vincenzo Petrone e sua consorte Susana Petrone.
Katja Centonze