In piena emergenza SARS, il più importante festival cinematografico europeo dedicato interamente al cinema dell'Estremo Oriente ha vissuto la sua quinta edizione.
FAR EAST FILM FESTIVAL 2003 - Udine
Avvertenza: i titoli dei film sono quelli ufficiali del festival; tra parentesi viene forniti il titolo originale In piena emergenza SARS, il più importante festival cinematografico europeo dedicato interamente al cinema dell'Estremo Oriente ha vissuto la sua quinta edizione. Il Far East Film 5 si è presentato in forma incompleta e limitata, non solo per le defezioni di quasi tutte le personalità previste, ma anche per l'assenza dei consulenti e dei coordinatori asiatici del festival. Ridotti quindi gli incontri pomeridiani con attori e registi; comunque rispettato il programma annunciato di 52 titoli, così articolati: Hong Kong: 10 titoli Oltre alla solita carrellata sui maggiori successi di pubblico delle principali cinematografie dell'Estremo Oriente, quest'anno il festival ha proposto anche due percorsi retrospettivi di grande interesse: uno sul cinema coreano degli anni '60 e uno sull'opera di Ishii Teruo, considerato in Giappone il "re del cult-movie". Oggi la Corea del Sud è la nazione asiatica che può vantare la produzione cinematografica più brillante, ma anche negli anni Sessanta il cinema coreano ha vissuto un periodo di grande prosperità. Sette film per sette maestri dell'epoca; sette film di diversi generi ma di eguale vigore creativo e slancio avanguardistico; capolavori sommersi finalmente svelati, come lo stupefacente thriller psicologico The Housemaid (Hayno, 1960) di Kim Ki-young, il dramma generazionale Barefooted Youth (Maenbaleui cheongchun, 1964) di Kim Ki-deok, o ancora il saggio di introspezione modernista Mist (Angae, 1967) di Kim Soo-yong. Per Ishii Teruo quella di Udine è stata la prima partecipazione a un festival cinematografico internazionale; l'anziano regista ha vinto la sua proverbiale paura di volare pur di raggiungere Udine. Nella sconfinata opera di Ishii, Mark Schilling ha selezionato sei film che tracciano cronologicamente e tematicamente l'eclettismo della cinquantennale carriera del "re del cult". Il noir metropolitano Sexy Line (Sexy chitai, 1961), scandito dall'eccezionale colonna sonora jazz di Hiraoka Seiji; il prison movie The Man From Abashiri Jail (Abashiri Bangaichi, 1965), ispirato a The Defiant Ones (La parete di fango, 1958) di Stanley Kramer e forte delle grandi interpretazioni di Takakura Ken e Tamba Tetsurō; l'irresistibile mix di erotismo, chanbara e bizzarrie assortite dell'ero-guro Porno Period Drama: Bohachi Bushidō (Porno Jidaigeki: Bohachi Bushidō, 1973); infine, due opere più recenti, ma anche più astratte e visionarie, frutto della fortunata collaborazione di Ishii con il mangaka Tsuge Yoshiharu: Master of the Gensenkan Inn (Gensenkan Shujin, 1993), con Sano Shirō, e Wind-up Type (Nejishiki, 1998), con Tadanobu Asano. Restando in ambito nipponico, anche Hirayama Hideyuki (salito alla ribalta nel 1995 con l'horror comico Gakkō no kaidan) è stato omaggiato con una mini-retrospettiva di tre pellicole, tanto differenti nel contenuto quanto stimolanti nelle scelte stilistiche: il paradosso temporale di Turn (Taan, 2000), la commedia caustica di A Laughing Frog (Warau Kaeru, 2001) e l'umorismo nero e grottesco di Out (2002). La programmazione ufficiale, come è tradizione del Far East Film, ha dato spazio soprattutto al cinema di Hong Kong, con due proiezioni molto attese. Il blockbuster Infernal Affairs (Wu jian dao, 2002) di Andrew Lau e Alan Mak ha colpito il pubblico di Udine con il suo mix di action metropolitana, sceneggiatura mozzafiato e interpretazioni di grande spessore (Andy Lau e Eric Tsang su tutti): inevitabile la conquista dell'Audience Award di quest'anno. A chiudere la manifestazione, preceduto da un messaggio video dal regista Johnnie To, impossibilitato a presenziare causa allarme SARS, il thriller poliziesco PTU (2003), notevole e dinamica visione di una Hong Kong notturna e desolata. Il regista di The Mission ritorna a Udine con una pellicola di classe, sostenuta da un intreccio narrativo quasi sempre perfetto e da un deflagrante finale. Tuttavia, a parte queste due prove convincenti, la produzione hongkonghese del 2002 si è rivelata piuttosto deludente, limitandosi a sterili riproduzioni di meccanismi già visti (l'indisponente Summer Breeze of Love di Joe Ma, vincitore l'anno scorso con Love Undercover; lo scontatissimo Visible Secret 2 di Abe Kwong) oppure a idee interessanti non sfruttate al meglio (Just One Look di Riley Ip è un bel film, non si può negare, ma era proprio necessario dargli un taglio così immaturo e adolescenziale?; The Stewardess di Sam Leong, con la sua frenesia parodistica e citazionistica, alla lunga, stanca). Il discorso è simile per quanto riguarda la produzione coreana, che non è riuscita a raggiungere il livello eccelso visto l'anno scorso. È soprattutto la dirompente comicità di film come Hi Dharma!¸ My Sassy Girl e Guns and Talks a latitare. Anche Kim Sang-jin, beniamino del FEF dopo i successi passati di Attack the Gas Station! (1999) e Kick the Moon (2001), tende un po' a stufare con la riproposizione meccanica degli stessi ingredienti comici in un film come Jail Breakers (Gwangbokjeol teuksa, 2002), che tuttavia è già stato opzionato da Hollywood per un remake. Comunque, a parte due esempi veramente imbarazzanti come The Phone di Ahn Byung-ki (un ridicolo calderone di elementi horror iper-convenzionali che annoia già dopo cinque minuti) e Yesterday di Jeong Yun-su (sedicente epopea sci-fi, mega flop in patria, la cui trama si sviluppa in maniera indecifrabile e irritante; alzi la mano chi ci ha capito qualcosa!), i titoli interessanti ci sono stati. Saving MyHubby (Gudseura Geum-suna, 2002), debutto alla regia di Hyun Nam-sup, è stato il film di apertura del festival. L'interpretazione vivace di Bae Doo-na è il vero motore del film e ha strappato risate sincere al pubblico di Udine; Hyun Nam-sup ha scritto e diretto un film ben riuscito e ricco di trovate intelligenti. Bae Doo-na interpreta un ruolo principale anche in Sympathy For Mr. Vengeance (Boksuneun naui geot, 2002) di Park Chan-wook, in assoluto il film più bello visto a Udine quest'anno. Park Chan-wook è diventato una star in patria nel 2000, dopo l'enorme successo di JSA-Joint Security Area (il primo film coreano girato in Super35mm, presentato al FEF 3); tuttavia, invece di capitalizzare pragmaticamente la fama conquistata, il cineasta coreano ha deciso di riesumare uno script vecchio di dieci anni, che all'epoca nessuno voleva finanziare, intraprendendo così un progetto tanto radicale quanto (economicamente) pericoloso. Il risultato è una parabola di violenza e disperazione che ha pochi eguali nella storia del cinema per potere disturbante e ferocia visiva. Un film che si contorce su se stesso attraverso raffiche dolorose di truce e insensata brutalità, in un vortice senza fine di prevaricazioni, ritorsioni, vendette. Tutto è talmente assurdo e contorto da risultare, allo stesso tempo, insopportabile e inevitabile. Coadiuvato dalla stupenda fotografia di Kim Byung-il, Park Chan-wook costruisce le inquadrature su contrasti cromatici e di profondità di campo di rara bellezza. Un capolavoro emozionante. Per finire, va segnalato The Way Home... (Jibeuro, 2002) di Lee Jeong-hyang: inatteso successo commerciale in Corea, si è distinto anche a Udine guadagnandosi il terzo posto dell'Audience Award. Un film lineare e semplice, che non si affida a star affermate né impiega effetti speciali, e che tuttavia emoziona come solo il cinema autentico sa fare, lasciando nello spettatore una traccia silenziosa ma duratura. Tornando in ambito nipponico, un gradito ritorno al FEF è stato quello dell'instancabile Miike Takashi (protagonista l'anno scorso con Ichi the Killer), in concorso addirittura con due film: il nerissimo Graveyard of Honor (Shin jingi no hakaba, 2002), remake del celebre Jingi no hakaba (Il cimitero dell'onore, 1975) di Fukasaku Kinji- da poco scomparso durante le riprese del sequel di Battle Royale- che Miike rielabora alla "sua maniera" grazie all'inquietante nichilismo dell'interpretazione di Kishitani Goro, e Shangri-La (2002), favola agrodolce tratta da un famoso manga di Aoki Yuji, che ha conquistato il secondo posto, dietro ad Infernal Affairs, nella classifica di gradimento del pubblico. Fra le opere provenienti da altri paesi, quella più interessante è stata sicuramente Better Than Sex (2002) di Su Chao-pin, con la sua girandola di personaggi strampalati e la sua miscela esplosiva di cultura pop pan-asiatica. Non poteva poi mancare il tradizionale Horror Day del Far East Film, con il meglio del cinema del terrore made in Asia 2002 e due esaltanti incursioni retrospettive su Horror of the Malformed Men (Kyōfu kikei ningen, 1969) di Ishii Teruo e Public Cemetery Under The Moon (1967) di Kwon Cheol-hwi. Kyōfu kikei ningen è il film di Ishii più noto in Giappone e consiste in una rilettura dell'estetica grottesca e orrorifica di Edogawa Ranpo, il più importante scrittore horror giapponese. Il film è pervaso da un atmosfera cupa e malata, merito soprattutto della corporeità di Hijikata Tatsumi (fondatore della danza butō) che interpreta lo scienziato pazzo Komoda Saigorō: è lui l'"effetto speciale" più impressionante del film. Public Cemetery Under The Moon è invece una pellicola quasi completamente dimenticata (non la contempla nemmeno l'Internet Movie Database), ma di grande interesse per i cultori del genere. Nonostante un budget da serie B e le ovvie limitazioni tecniche, Kwon Cheol-hwi ha saputo costruire un horror gotico visionario e godibile, nel filone dei cult anni '60 di Mario Bava e Riccardo Freda. Nel resto della programmazione dell'Horror Day spiccano tre nuovi titoli molto attesi dal pubblico: New Blood (2003), l'ultimo film di Soi Cheang, autore di Horror Hotline...Big Head Monster, molto apprezzato nell'edizione precedente del Far East; Ju-On: The Grudge (2003) di Shimizu Takashi, sanguinario cult-movie che Sam Raimi ha già opzionato per un remake americano; e, infine, Dark Water (Hono gurai mizu no soko kara, 2002) del papà di Ring Nakata Hideo, vincitore morale dell'Horror Day con un film bellissimo e di tutt'altro livello rispetto ai concorrenti. Svincolandosi dalle barriere stilistiche del genere (come aveva già sperimentato nell'affascinante Chaos del 1999), Nakata ha regalato ai suoi fan un lungometraggio di grande introspezione psicologica, che indaga a fondo nell'angoscia di una bambina "contesa" dai genitori separati. A chiudere il festival, un altro sguardo al passato con The One-Armed Swordsman (Dubei dao, Lo spadaccino monco; titolo alternativo Mantieni l'odio per la tua vendetta), spettacolare archetipo del wuxiapian, datato 1967 e recentemente restaurato, a opera del maestro Zhang Che. The One-Armed Swordsman è un vero e proprio tour de force registico, in cui alcuni degli strumenti funzionali dell'azione cinematografica vengono decostruiti e ristrutturati in maniera profondamente innovativa: lo slow motion serve a "empatizzare" la morte imminente, la crudezza delle immagini e il montaggio veloce danno conto della corporeità dei combattimenti e della fragilità dei corpi. |
Guillermo Gonzales