Asiamedia

Kagami no onnatachi

Giappone

Appare ovvio come la questione dell'identità sia uno dei temi forti del nuovo cinema giapponese. L'idea di Yoshida Kiju di trattare la dispersione dell'identità contemporanea attraverso il caso parossistico di una giovane madre che perde la memoria è senza dubbio affascinante.

KAGAMI NO ONNATACHIdi Yoshida Kiju


Anche ad uno sguardo superficiale, appare ovvio come la questione dell'identità sia uno dei temi forti del nuovo cinema giapponese. Declinate ora nel modo tragicomico (vedi la poetica di Kitano Takeshi) ora in quello horror (Kiyoshi Kurosawa) ora nel cinema sperimentale (Kawase Naomi), le domande che assillano l'io (Da dove vengo? Chi sono? Dove andrò?) segnano i lavori più interessanti provenienti dal Sol Levante. In questo quadro, l'idea di Yoshida Kiju di trattare la dispersione dell'identità contemporanea attraverso il caso parossistico di una giovane madre che perde la memoria è senza dubbio affascinante. Tanto più quando si scopre che la storia individuale si relaziona a quella collettiva attraverso il momento topico della bomba su Hiroshima. A partire da Hiroshima nessuna identità può porsi come base solida su cui poter pensare una vita futura, questo l'assunto che il film, viaggiando a ritroso, cerca nelle labili maglie di una biografia molto accidentata.
 

Partito per ritrovare l'identità smarrita di una giovane donna, il film un po' alla volta scopre un passato tragico nella madre di questa. Questo passaggio, che innerva tutta l'opera, appare un po' troppo macchinoso, segno di una sceneggiatura scritta fin nei suoi simboli (uno specchio rotto ritma il racconto) che da subito occupano l'inquadratura. Nelle strategie di messa in scena Kagami no onnatachi perde quanto di buono aveva nel suo assunto di partenza, rischiando di appiattirsi sul livello di una produzione pensata per il piccolo schermo. Certamente, la composizione del quadro e la ritmica sono proprie al cinema, resta però la sensazione di una narrazione che asseconda invece di variare i colpi di scena tipici di un banale sceneggiato a puntate.

Carlo Chatrian