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"Un cinema libero". Incontro con Wakamatsu Kōji

Giappone

Il 15 novembre 2005 il regista giapponese Wakamatsu Kōji ha fatto visita al Dipartimento di Studi sull'Asia Orientale dell'Università Ca' Foscari di Venezia per un incontro con studenti e docenti. Wakamatsu era di passaggio a Venezia prima di recarsi a Torino, invitato al Torino Film Festival con il suo ultimo film 17sai no fūkei - Shōnen ha nani wo mita no ka (Il panorama dei diciassette anni – Che cos’ha visto il ragazzo?), nella sezione fuori concorso.

"UN CINEMA LIBERO". INCONTRO CON WAKAMATSU KŌJI


Il 15 novembre 2005 il regista giapponese Wakamatsu Kōji ha fatto visita al Dipartimento di Studi sull'Asia Orientale dell'Università Ca' Foscari di Venezia per un incontro con studenti e docenti. Wakamatsu era di passaggio a Venezia prima di recarsi a Torino, invitato al Torino Film Festival con il suo ultimo film 17sai no fūkei - Shōnen ha nani wo mita no ka (Il panorama dei diciassette anni – Che cos'ha visto il ragazzo?), nella sezione fuori concorso.

Wakamatsu Kōji nasce nella prefettura di Miyagi nel 1936. Il suo esordio alla regia è del 1963 con Amai wana (Trappola dolce). È ritenuto uno dei maggiori autori di pinku eiga ("film rosa"; un cinema erotico particolare, dal carattere spesso fortemente radicale e politico) degli anni '60. Nel 1965, il suo film Kabe no naka no himegoto (Il segreto dentro il muro) diviene un caso nazionale dopo essere stato presentato al Festival di Berlino senza l'approvazione dell'Associazione cinematografica giapponese, che, assieme a gran parte della stampa nipponica, considera il film una «vergogna nazionale». Tra le sue opere più rappresentative del periodo troviamo: Taiji ga mitsuryō suru toki (Quando l'embrione caccia di frodo, 1966), Okasareta byakui (Donne in bianco violate, 1967), Yuke, yuke, nidome no shojo (Vai, vai, vergine per la seconda volta, 1969), Tenshi no kōkotsu (L'estasi degli angeli, 1972). Wakamatsu ha inoltre contribuito alla produzione di molte opere di altri registi, tra cui i capolavori Akai kami no onna (La donna dai capelli rossi, 1979) di Kumashiro Tatsumi e il famosissimo Ecco l'impero dei sensi (Ai no korīda, 1976) di Ōshima Nagisa. Ad oggi Wakamatsu ha diretto più di cento opere tra film e documentari. Di lui Ōshima ha scritto: «I film di Wakamatsu Kōji offrono ai loro spettatori un'esperienza che non ha equivalente alla luce del sole. È la voce del desiderio, dei propositi delittuosi, e quindi della miseria screziata, che echeggia nella notte. Di conseguenza, la relazione tra i film di Wakamatsu Kōji e lo spettatore è altamente soggettiva, privata, e perciò concreta.»

 

Nelle due ore a disposizione il regista ha parlato a ruota libera di numerosi argomenti: i suoi esordi, la politica, i giovani, il cinema giapponese contemporaneo e i suoi progetti futuri. Ma soprattutto si è soffermato su due temi in particolare: il documentario girato in Libano nel 1971 sul conflitto israelo-palestinese e il suo ultimo film, 17sai no fūkei.

Wakamatsu racconta di essere arrivato a Tōkyō dalla campagna non ancora ventenne. Nella sua vita c'è anche l'esperienza del carcere, da cui esce all'età di 22 anni. Decide di entrare nel mondo del cinema, un ambiente che sembra offrire buone possibilità di guadagno. La scelta quasi obbligata è quella per il cinema erotico, un mondo allora appena nato che non necessitava di alti budget produttivi, ma soprattutto un mondo libero, aperto a volti nuovi non legati all'ambiente chiuso delle grandi case cinematografiche. Wakamatsu intraprende questa nuova esperienza con la mentalità tipica di chi non ha niente da perdere: il suo scopo è sfruttare questo suo primo film per esprimere con totale libertà le sue idee. Nella peggiore delle ipotesi non avrebbe continuato.

Il regista sottolinea più volte questo punto come un dovere per i giovani cineasti e non solo, ovvero l'importanza di dare alla prima opera un carattere fortemente personale. Questa agisce da volano per le successive, che poi potranno essere tranquillamente dedicate a fini più prosaici, ma l'opera prima, necessita di idee personali, di libertà, deve essere uno sfogo del suo autore. Le immagini filmiche, continua il regista, sono proiezioni della propria mente. La difficoltà sta nel riversare sé stessi nell'opera, e Wakamatsu è sempre stato convinto di saperlo fare.

Successivamente egli individua nella mancanza di libertà e di autonomia alcune pecche del cinema giapponese contemporaneo, che, dice, non fa che copiare. Fino a pochi anni fa la fonte primaria era la cinematografia di Hong Kong, ora il cinema giapponese e i suoi autori attingono dal cinema coreano, da qualche anno entrato con forza nel mercato cinematografico giapponese. Un cinema che spesso punta su melodrammi sentimentali che vedono protagonisti amori contrastati da ragioni economiche e sociali. Un cinema questo, che, sempre secondo Wakamatsu, asseconda i gusti di un pubblico prevalentemente femminile e di una certa età. Lo stesso pubblico che vota per Koizumi «perché è un bell'uomo» e che compra addirittura i poster che lo raffigurano, nota con una punta di ironia il regista.

I registi che erano attivi nei suoi stessi anni d'esordio, oggi girano raramente film, perché scomparsi o troppo vecchi. Oppure hanno preferito accettare una cattedra in una delle numerose scuole di cinema nate negli ultimi anni in Giappone e non girano più un film. Si sono letteralmente seduti, sostiene Wakamatsu. Soltanto Shindō Kaneto, a suo parere, continua a dar vita ad un cinema libero e vitale nonostante l'età (è nato nel 1912).

Tra i registi giapponesi contemporanei che apprezza, cita subito Tsukamoto Shin'ya e Sakamoto Junji. Nota però come le opere dei grandi del passato siano ancora attuali: Kurosawa Akira, Ozu Yasujirō e Mizoguchi Kenji. Ha parole di ammirazione anche per Kitano Takeshi. Kitano, sostiene Wakamatsu, è un regista che esprime un cinema libero e personalissimo, non si stupisce che la sua opera sia apprezzata principalmente all'estero. I giapponesi semplicemente non capiscono il suo cinema, e si avvitano su sterili accuse di incomprensibilità. Cita come esempio il finale di Zatoichi (2003), in cui il c'è una lunga sequenza di tip tap di gruppo: molti giapponesi si sono chiesti che nesso avesse questa parte di balletto con il resto del film. Kitano ha invece seguito il suo istinto e la sua fantasia e per questo lo rispetto, conclude Wakamatsu.

Oggi molti giovani registi ricevono delle sovvenzioni dal Ministero della cultura giapponese, ma non si rendono conto che così facendo debbono implicitamente assoggettarsi al potere. In questo modo non riusciranno mai a creare un cinema realmente libero.

Poi Wakamatsu comincia a parlare della sua ultima opera, 17sai no fūkei. Il film racconta il viaggio in bicicletta di un ragazzo di diciassette anni, in fuga da Tōkyō verso il nord del Giappone dopo aver ucciso la madre. Il film è stato girato in digitale con una troupe di sole otto persone compreso il giovane attore protagonista. Wakamatsu racconta dell'estrema libertà delle riprese, quasi completamente slegate da una sceneggiatura. Nel corso della lavorazione, la troupe viaggiava per le strade del Tōhoku (la regione nord-orientale della isola maggiore dell'arcipelago giapponese, nonché terra natale del regista) e quando trovava una location che sembrava adatta alle riprese si fermava e girava una scena, ricorda Wakamatsu.

Con questo film Wakamatsu ha voluto parlare della gioventù, un tema a cui si sente molto legato. Negli intenti del regista questa sarà la prima opera di una trilogia che vedrà protagonisti ogni volta dei diciassettenni. Il secondo capitolo sarà incentrato sulla figura di Yamaguchi Otoya, il giovane di estrema destra che nel 1960 aggredì e uccise con un pugnale il leader socialista Asanuma Inejirō durante un congresso. Il terzo capitolo tratterà dei fratelli Katō, militanti nel gruppo di estrema sinistra Rengō Sekigun (Armata Rossa Unificata), in cui furono linciati e uccisi dodici membri dello stesso gruppo da parte dei loro stessi compagni. Questi fatti culminarono con l'arresto dei due fratelli e degli altri esponenti del gruppo nel 1972 dopo un violento scontro con le forze di polizia, nell'episodio conosciuto come "l'incidente del rifugio Asama" (Asama sansō jiken), nella località di montagna di Karuizawa.

Wakamatsu ricorda che le sceneggiature che gli venivano proposte per 17sai no fūkei si preoccupavano tutte di cercare i motivi che avevano spinto il ragazzo ad uccidere la propria madre. Questo a lui non interessava, era interessato all'atto in sé. Secondo lui i giovani giapponesi oggi crescono con un'ottima educazione e sono sostanzialmente dei ragazzi molto per bene, ma il passaggio dall'adolescenza all'età adulta rimane pur sempre il momento più difficile nella vita di una persona. È il periodo in cui si è alla ricerca dell'indipendenza e c'è una volontà di fuga dall'ambiente familiare. A diciassette anni ci può essere qualcosa come un interruttore che scatta nella testa di un ragazzo e che può provocare degli istinti violenti.

L'altro tema su cui si è soffermato il regista è stato il documentario sul conflitto israelo-palestinese girato nel 1971 con l'amico e collega Adachi Masao, Sekigun – PFLP sekai sensō sengen (Esercito rosso – Dichiarazione di guerra mondiale del PFLP). Wakamatsu e Adachi arrivarono a Beirut da Cannes. L'idea di partenza era quella di girare un documentario che, secondo loro, avrebbe potuto fruttare dei buoni guadagni, una specie di scoop giornalistico. Quello che allora accadeva in Libano era pressoché sconosciuto al grande pubblico, l'attenzione mondiale era tutta puntata sul conflitto in Vietnam. In quanto novità, il loro lavoro non avrebbe avuto concorrenti. Lo scopo originario, ammette Wakamatsu, era unicamente lucrativo.

Wakamatsu e Adachi ebbero il permesso di restare per un mese, ma più che filmare, ricorda il regista, erano impegnati in un vero e proprio addestramento militare. Scavarono trincee e impararono tecniche di guerriglia, e per un mese condivisero la lotta dei ribelli palestinesi. Per un solo giorno poterono dedicarsi alle interviste, materiale che poi unirono alle riprese girate sporadicamente durante quel mese. Alla fine del mese discesero dalle montagne e furono riaccompagnati a Beirut dai palestinesi. In seguito vennero a sapere che le stesse persone che li avevano scortati erano stati catturati e impiccati. Questo fatto tragico e i ricordi dolorosi di quel mese provocarono un cambiamento radicale nelle menti di Wakamatsu e Adachi. Il documentario assunse un nuovo aspetto: non più uno scoop giornalistico, ma un documento dal marcato valore politico. Così facendo, in patria il prodotto non trovò mercato, ma i due cineasti trovarono comunque il modo di far vedere il filmato: venne proiettato nelle università e adibirono un autobus a sala cinematografica itinerante.

Questa esperienza non poteva però dirsi conclusa: Adachi tornò in Libano e si unì alla lotta dei palestinesi. Venne arrestato e incarcerato per diversi anni prima di rientrare in Giappone, dove, al rientro, fu processato per terrorismo. Wakamatsu stesso, ancora oggi, non può entrare negli Stati Uniti d'America. Il ricordo di quel mese di guerriglia è ancora vivo nella sua mente: egli ricorda di quando fece visita al feretro del regista Fukasaku Kinji (morto di cancro nel 2003). Il suo viso, pur nella rigidità della morte, era quello di una persona serena, una persona che aveva vissuto una vita felice. Questo gli fece tornare in mente i volti dei cadaveri del conflitto in Libano. Volti che erano segnati dalla sofferenza e dalla tragedia. Dei volti molto diversi da quello dell'uomo che aveva davanti.

Concluso il capitolo sulla sua esperienza nel conflitto palestinese, il racconto di Wakamatsu si sposta in un altro punto della sua carriera, ricordando due suoi film differenti ma legati fra loro: Erochikku na kankei (Relazioni erotiche, 1992) e Netorare Sōsuke (Sōsuke cornificato, 1992). Quando propose il copione di Netorare Sōsuke alla compagnia Shōchiku, questa accettò, ma a condizione che girasse prima un altro progetto, ovvero Erochikku na kankei. Il regista acconsentì a questa proposta, ma non ci mise molto a capire che si trattava di un'impresa quasi disperata: il film doveva essere girato a Parigi, in una settimana, compreso il viaggio di andata e ritorno dal Giappone. Kitano Takeshi, interprete del film, aveva a disposizione solo dieci giorni liberi. Ma forse i maggiori problemi per il regista erano procurati dall'interprete principale, la popolare attrice Miyazawa Rie: costei, ricorda ora divertito Wakamatsu, sosteneva che il film dovesse essere girato «alla Nikita», lui ribattè che Nikita era stato girato in sei mesi! A complicare ulteriormente le cose ci si metteva anche la presenza fastidiosa della madre dell'attrice, costantemente al seguito della figlia! Il risultato scadente del film era cosa inevitabile, ma quest'opera cosentì, come detto, la realizzazione di Netorare Sōsuke, un film di cui Wakamatsu si ritiene pienamente soddisfatto.

Oggi Wakamatsu è attivo anche nel comitato organizzativo del PIA Film Festival di Tōkyō, una retrospettiva fondamentale per il cinema indipendente giapponese. Ogni anno arrivano da tutto il paese più di ottocento filmati in digitale da valutare e selezionare per la manifestazione che si svolge in luglio dal 1977. A questo punto gli viene chiesto se la tecnologia digitale possa essere d'aiuto nello sviluppo di un cinema più libero; il regista risponde di si, i costi minori del digitale dovrebbero rendere le cose più facili ai cineasti, ma in definitiva non ritiene che il cinema oggi sia più libero che in passato.

. Tra i film che lo hanno maggiormente segnato, cita innanzitutto Fino all'ultimo respiro (À bout de souffle, 1960) di Jean-Luc Godard, non solo per la libertà espressiva, ma anche per la perfetta costruzione; tra gli italiani, Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica

Roberto Cherchi