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Parabola malinconica di una vita spezzata - Diciassette anni

Cina

Dramma psicologico vincitore a Venezia di un premio alla regia, il film è stato vietato in Cina, nonostante non sia esplicitamente critico nei confronti del governo; mostra in filigrana gravi problemi della società cinese contemporanea.

PARABOLA MALINCONICA DI UNA VITA SPEZZATADiciassette anni di Zhang Yuan

Titolo originale: Guo nian hui jia. Regia: Zhang Yuan. Sceneggiatura: Yu Hua, Ning Dai, Zhu Wen. Fotografia: Zhang Xigui. Montaggio: Jacopo Quadri, Zhang Yuan. Musica: Zhao Jiping. Suono: Lin Qian,Song Weiwei. Scenografia: Zhao Xiaoyu. Interpreti: Liu Lin (Tao Lan), Li Bingbing(Chen Jie), Li Yeping (Tao Airong, la madre),Liang Song (Yu Zheng Gao, il padre), Li Juan (Yu Xiaoqin, la sorellastra). Produzione: Zhang Yuan per Keetman Limited/Fabrica. Distribuzione: Istituto Luce.Durata: 90'. Origine: Italia/Cina, 1999.
 

Il film si ispira ad un fatto di cronaca di diciassette anni orsono riguardante il feroce antagonismo tra due sorellastre adolescenti che trascina una famiglia di umili condizioni verso un tragico destino.

Tao Lan e Yu Xiaoqin, graziose studentesse liceali, non si assomigliano affatto: Tao Lan non è esattamente il vanto dei genitori, scapestrata e vagabonda com'è. Yu Xiaoqin è una studentessa diligente, sebbene costretta a recitare il ruolo della brava ragazza. Le due sorellastre hanno però alcune cose in comune: una piccola camera da letto e lo stesso desiderio di sfuggire al turbolento clima familiare. La madre di Tao Lan e il padre di Yu Xiaoqin hanno una atteggiamento ingiusto nei confronti delle rispettive figlie. E il loro orgoglio di genitori si trasforma in una competitività malsana che peggiora i problemi già esistenti. Un giorno l'inappuntabile Yu Xiaoqin ruba al padre una modesta cifra di denaro per la spesa facendo ricadere la colpa su Tao Lan la quale, incapace di provare la sua innocenza, diventa l'onta della madre. Più tardi Tao Lan, in un vicolo deserto, mette alle strette Yu Xiaoqin chiedendole spiegazioni. Di fronte alla spregiudicatezza con cui Yu Xiaoqin riafferma la sua superiorità agli occhi dei genitori, Tao Lan, esasperata, la colpisce con violenza alla testa usando una grande canna di bambù. Il colpo lascia la ragazza a terra priva di sensi mentre Tao Lan fugge. Tornata a casa, la sera, Tao Lan dovrà affrontare le tragiche conseguenze del suo gesto: la morte della sorella, oltre al silenzio della madre e del patrigno ammutoliti dal dolore e dallo shock.
Dopo 17 anni di carcere, Tao Lan, insieme ad altre detenute, riceve un permesso di libera uscita per una breve vacanza. Le altre prigioniere trovano con gioia le famiglie ad accoglierle. Chen Jie, una secondina, si offre di accompagnare la docile e remissiva Tao Lan, rimasta sola, in città dalla sua famiglia. La casa dell'adolescenza è stata demolita e Chen Jie aiuta Tao Lan a rintracciare i genitori. È sera tardi quando le due donne arrivano alla nuova casa dei genitori di Tao Lan. Chien Jie assiste all'imbarazzo con cui si manifesta l'affetto a lungo sopito di quel che resta di una famiglia segnata dal dolore e dal rimorso reciproci.

Diciassette anni non è un'opera edificante, nonostante la povera Tao Lan riesca alla fine, con l'aiuto di Chen Jie, la secondina generosa quanto ingenua e accomodante, a riconciliarsi con la propria famiglia. Inoltre la protagonista è così poco espansiva da assomigliare più a una vittima incolpevole, inebetita e intimidita dal rimorso o dalla lunga detenzione, che ad una pecorella smarrita che torna all'ovile. Nessuno, nel film, sa esattamente decifrare l'accaduto, nessuno sa dire perché sia accaduto e come far fronte alla situazione imbarazzante di questo rincontro.

I genitori demotivati di Tao Lan oscillano tra la pietà, la cortesia (nei confronti soprattutto della giovane secondina Chen Jie che ha riportato a casa la ragazza) e l'inclemenza. Hanno l'aria di essere stati così frastornati dagli eventi che in loro il dolore si è trasformato in autocommiserazione. Un'autocommiserazione globale che investe una condizione assai più ingrata di quella legata alla tragedia della morte di una figlia per mano di un'altra figlia. La casa non c'è più, il nucleo familiare in sé non può essere ricostituito senza riaprire vecchie ferite, l'esistenza stessa in ogni suo aspetto è cambiata all'improvviso, travolta da circostanze che sfuggono al senso comune e alla comprensione immediata, tanto da non consentire ai due anziani di sapere esattamente come comportarsi con questa figlia che ora viene loro restituita.

La poverina a sua volta vorrebbe restare in questa nuova casa che non è più casa sua, perché non saprebbe altrimenti dove andare, ma istintivamente si rende conto di non essere la benvenuta. L'orgoglio potrebbe spingerla a rifiutarsi categoricamente di tornare in famiglia, onde evitare di sottoporsi ad un giudizio impietoso per un atto in fondo involontario cui, da ragazza, è stata spinta dagli stessi genitori i quali, preferendo ciascuno la propria figlia, a loro volta non hanno fatto altro che aggravare l'atmosfera di cronica incomprensione coniugale. Dopo diciassette anni trascorsi in quasi totale isolamento (una metafora politica?), Tao Lan non ha più nulla da perdere o da guadagnare: è un'alienata, estranea a se stessa, al mondo esterno dal quale è mancata per troppi anni (praticamente un periodo equivalente a tutta la sua precedente esistenza), e soprattutto estranea ai suoi genitori e alla solidarietà cui si appella quella Chen Jie che si è offerta di accompagnarla a casa. Fisicamente e psicologicamente Tao Lan non è più la stessa persona di quando è finita in prigione, dove ha vissuto una vita perfettamente equivalente e speculare, sostitutiva del suo drammatico passato. Un passato che ora, forzatamente, le autorità vorrebbero restituirle mettendo a disagio sia lei che i suoi ex-genitori, i quali per molti versi erano riusciti per tanti anni a sfuggire a ogni esame di coscienza retroattivo, considerando l'accaduto alla stregua di una disgrazia irrimediabile, onde convivere con la presunta disgrazia e rassegnarvisi.

La vita ricomincia
L'atteggiamento passivo comune un po' a tutti i protagonisti del film va ben al di là della circostanza specifica: l'unico gesto di protesta verso una situazione ingiusta e insostenibile, eppure circoscritta all'ambito familiare, l'ha compiuto Tao Lan verso la perfida sorellastra Yu Xiaoquin, ma è stata per questo punita con l'isolamento fisico e tempo-rale. La detenzione per la ragazza ha significato un progressivo e programmatico smarrimento del sé, attraverso cui il sistema giudiziario è riuscito a estirpare alla radice il comportamento deviante e con esso ogni altro stimolo vitale. La protagonista ha perso perciò ogni interesse attivo e autocosciente nei confronti della vita, perché da un certo momento in poi ha smesso oggettivamente di vivere. La persona che ora viene restituita al mondo e alla cosiddetta libertà, quella di cui dovrebbero godere persone come i suoi genitori o gli abitanti dell'intera nazione, è un vegetale rabbonito dallo stato di cattività in cui ha vissuto per diciassette anni. Un periodo di tempo preciso, che ha finito con il rappresentare fatalmente l'unità di misura standard, il denominatore, il modulo temporale della sua vita, simmetricamente suddivisa nei primi diciassette trascorsi nella prigione familiare e nei successivi diciassette all'interno della prigione statale. Lo straniamento della ragazza è lo stesso del film, suddiviso a sua volta in due blocchi equivalenti e in sostanza indifferenti l'uno all'altro. Mentre lo smarrimento dei genitori riflette un atteggiamento altrettanto meccanico e passivo nei confronti della vita rispetto a quello di Tao Lan: sospinti da difficoltà materiali, hanno creato disparità in seno alla famiglia, contribuendo al sorgere e al delinearsi di due personalità molto diverse nelle due sorellastre: da un lato il senno ostentato di Yu Xiaoquin, costretta suo malgrado a sembrare all'esterno migliore di quanto non fosse; dall'altro la negligenza introversa e sofferta di Tao Lan, tipico capro espiatorio di una serie di patologie familiari latenti. E dopo aver fomentato l'attrito reciproco, quegli stessi genitori hanno accettato supinamente la tragedia, così come si sono lasciati spostare di casa e di quartiere, e a diciassette anni esatti di distanza non hanno più nemmeno la forza di opporre resistenza al ritorno della figliola prodiga, divenuta una perfetta e innocua estranea. Infatti la accettano, almeno formalmente, poiché ad accompagnarla è Chen Jie, una ragazza in divisa che incute loro timore, cautela e riverenza.

Il delitto ha convinto i genitori di Tao Lan dell'ineluttabilità delle loro condizioni familiari, cui si sono arresi come ad un cupo e incomprensibile destino. Persino Chen Jie si sta sforzando automaticamente, attraverso quella che considera una buona e doverosa azione, di trovare in tutto questo sfacelo morale e materiale (che è allo stesso tempo sia privato che politico), tra i rimorsi di un passato rimosso e le macerie di un presente precario e anonimo, una via giusta e positiva da percorrere e additare ai protagonisti di cui, per qualche ora, condivide il malessere. Chen Jie è appena una ragazzina volenterosa, investita delle mansioni di pubblico ufficiale, troppo giovane e velleitaria per poter svolgere un'analisi comparata tra il prima e il dopo, i diciassette anni corrispondenti all'infanzia e all'adolescenza di Tao Lan e i successivi diciassette anni di vuoto e di reclusione. Non può farlo così come non possiede gli strumenti adeguati, generazionali e anagrafici, per affrontare in senso lato una riflessione sulla storia recente della Cina. Dove diciassette anni lasciano intravedere un'acuta frattura nei rapporti privati. Dunque, un cortocircuito non soltanto temporale.

Anton Giulio Mancino