Yimou conferma la sua attenzione per i particolari, la sua attrazione per epoche passate da raccontare (così è anche più facile, ma non sempre, superare i controlli rigidi della censura cinese) e da portare sullo schermo, per una visionarietà talvolta fonte di sorprese e altre volte trattenuta in un eccessivo manierismo della forma.
LA TRIADE DI SHANGHAIYao a yao yao dao wai pe quiao
Regia: Zhang Yimou. Sceneggiatura: Bi Fei Yu. Fotografia: Lu Yue. Montaggio: Du Yan. Scenografia. Cao Jiuping. Musica: Zhang Guangtian. Interpreti: Gong Li, Li Bao-Tian, Wang Xiao Xiao, Sun Chun. Produzione: Shanghai Films Studio/Alpha Films/UGC Images/La Sept Cinema. Distribuzione: Mikado. Origine: Cina/Francia, 1995. Durata: 109 minuti.
(...) Dalla campagna profonda arriva a Shanghai il quattordicenne Shuisheng, giovane contadino chiamato dallo zio Liu Shu e messo fin da subito al servizio del Padrino della Triade, l'organizzazione mafiosa che controlla la città asiatica. Il ragazzo scopre con occhi innocenti un mondo fatto di violenza e di crimine, di vendette e di regolamenti di conti e si trova alle dipendenze di Xiao Jinbao, da dieci anni diva del cabaret di Shanghai con i suoi numeri musicali e le sue canzoni.
Arriva da «lontano», il protagonista del film. Proprio come la giovane di Lanterne rosse. Sono corpi «costretti» ad abitare ambienti sconosciuti e non voluti, fatti di regole che si ripetono nel tempo. Lo spegnimento e l'accensione delle lanterne come i codici della mafia. In quei luoghi definiti da rituali i personaggi si muovono tutti sotto controllo. Shuisheng è osservato, ma a sua volta osserva quanto capita nelle stanze della dimora del boss mafioso. È un corpo intruso che cercherà di ribellarsi, rimanendo però imprigionato nella struttura del potere, nel suo lusso e nelle impossibili fughe in altri luoghi, come accade nella seconda parte del film ambientata su un'isola lontano da Shanghai. Quel frammento rappresenta solo uno spostamento visivo temporaneo, prima di una chiusura claustrofobica negli spazi anti-naturalistici di un set-studio costruito nei dettagli.
Yimou conferma la sua attenzione per i particolari, la sua attrazione per epoche passate da raccontare (così è anche più facile, ma non sempre, superare i controlli rigidi della censura cinese) e da portare sullo schermo, per una visionarietà talvolta fonte di sorprese e altre volte trattenuta in un eccessivo manierismo della forma. Racconta il regista: "J'ai accordé beaucoup d'attention aux images. Le Shanghai des années Trente n'existe plus et appartient à une époque passée et mythique... Il est impossible de le filmer de manière réaliste. Il existe plus dans nos rêves que dans la réalité. C'est pour cela que j'ai désiré le représenter plus à travers des couleurs vives qu'à travers des images réelles. En contrepoint, pour la partie qui se déroule dans l'ile, loin de Shanghai, j'ai mis l'accent sur la pureté des formes naturelles. De fait, l'image de ce film n'est pas naturaliste. C'est une esthétique plus en rapport avec l'imaginaire et le reve qu'avec la réalité".
È in questo sguardo che sta La Triade di Shanghai. Se il punto di vista è quello di Shuisheng, nella struttura della ripetizione che definisce l'opera, il corpo che meglio si muove, si sofferma, attraversa un set che si fa scena per numeri di cabaret, di canzoni e di ballo, è quello di Gong Li. È ancora la popolare attrice a mostrarsi «star in mutazione» in un film di Zhang Yimou, dopo avere interpretato Sorgo rosso (1988), Ju Dou (1989), Lanterne rosse (1991), La storia di Qiu Ju (1992) e Vivere (1994).
In La Triade di Shanghai Gong Li è non solo attrice, ma anche cantante, interpretando i brani in stile anni Trenta che «interrompono» il viaggio nel noir e nel gangster. Perché il film si sposta dal suo centro possibile. Perché si è modificato già in fase di scrittura. Da lotta tra le diverse fazioni mafiose che si scontrano per il controllo dell'oppio è diventato sguardo più stratificato su un mondo da «isolare» in luci forti (dai rossi ai blu filtrati) e sui suoi abitanti. Spiega ancora Yimou: "La première version du scénario était centrée, d'une manière en fin de compte assez traditionnelle, sur la violence entres groupes mafieux. Le film parle maintenant principalement du destin d'une femme qui vit dans une société controlée par la mafia. La lutte entre les groupes mafieux passe à l'arrière plan de cette histoire". Questa non è infatti una storia tradizionale: preferisce invece accennare identità e subito dopo mutarle, fare sgorgare colori e (...) dilatarli. In La Triadie di Shanghai si manifestano stati cromatici portati all'eccesso in cui gli stessi corpi si fanno «colori» in uno spazio «identico» da filmare e portare più volte alla visione.(...)
Giuseppe Gariazzo