Scritto da Xia Yan e girato da Zhang Shiquan, due pionieri del cinema cinese.
MARKET OF BEAUTYZhifen shichang
Zhang Shiquan
Cina, 1933, b/n, 80'
Con: Hu Die, Yan Yuexian, Gong Jianong, Wang Xianzai, Sun Min
Scritto da Xia Yan e girato da Zhang Shiquan, due pionieri del cinema cinese. Xia Yan, sceneggiatore anche di Spring Silkworms, è una delle figure più influenti del cinema cinese progressista degli anni trenta. La sua collaborazione con la casa di produzione Mingxing in qualità di supervisore e sceneggiatore ha contribuito a forgiare il mito del cinema rivoluzionario. Ma, coma buona parte dei suoi colleghi, dopo il 1949 ricoprì cariche ufficiali riducendo drasticamente la sua attività di sceneggiatore e fu duramente attaccato nel corso della rivoluzione culturale.
Zhang Shiquan è uno dei fondatori del cinema cinese. È sua la regia del primo cortometraggio cinese (Nana fu, nan qi/A Diffficult couple, 1913), così come il seminale Burning of the Red Lotus Temple (Huoshao hunglian si, 1928), che lanciò il genere dei film d'arti marziali, il wuxiapian. Zhang fu uno dei fondatori della compagnia Mingxing, una delle principali produttrici di film di sinistra, che si esprimevano contro l'invasione giapponese incitando il popolo al nazionalismo e al patriottismo.
Coevo di Dawn, questa pellicola tratta lo stesso soggetto (ma si veda anche Plunder of Peach and blossom): la costruzione dell'identità femminile, la sua ricerca di libertà e pari opportunità, la necessità di lavoro ed indipendenza. La storia descrive, come spiegano i cartelli all'inizio, una vicenda piccola ma significativa. È un film speculare rispetto al capolavoro di Sun Yu, ogni caratteristica è ribaltata e deformata. Innanzi tutto è un film sonoro, mentre Dawn è muto. Ma, curiosamente, quest'ultimo trasmette una spontaneità, un'immediatezza ed una forza incomparabili, ove Market sembra ingessato e contraddittorio. È un film sonoro, si diceva, ma contiene ancora numerosissime didascalie, che descrivono le situazioni, o introducono testi vagamente poetici; del sonoro non sfrutta che la possibilità banale di registrare dialoghi, che restano peraltro di impianto teatrale. Nessun naturalismo, ma corpi ingessati in gesti teatrali ed espressioni esagerate. La famosissima Hu Die, stella del film, incarna l'opposto speculare delle eroine di Sun Yu (e infatti sui giornali dell'epoca si pubblicizzava la rivalità tra Hu Die, star della Mingxing, e Ruan Lingyu, stella della rivale Lianhua). Là dove queste ultime sono brillanti, giovani, spontanee, gioiose, Hu die è atemporale, incatenata, retorica, costruita. La telecamera la riprende a lungo, e prima di ogni decisione (andare a parlare col padrone; accettare l'invito del collega etc.) l'attrice si esibisce in una serie di mimiche e di strabuzzamenti di occhi e sollevamenti di sopracciglia e di sorrisi forzati che raccontano didascalicamente le sue indecisioni. Ancora: mentre in Sun Yu le attrici (Li Lili, Ruan Lingyu, Wang Renmei) mettono inscena ed in gioco tutto il loro corpo, Hu Die è ingessata nel suo vestito tradizionale e al più contorce le mani. Così i dialoghi: una battuta, un buon minuto di mimiche facciali eredità evidente del muto, e poi la replica. È un cinema inconsapevole, artigianale, di cartongesso, che naviga sui temi allora di moda: la liberazione femminile, l'onnipresente città di Shanghai, un personaggio a tutto tondo, che sovrasta i personaggi ed impone loro scelte di vita sovente tragiche. Il corpo della donna rappresenta dunque la Cina, il popolo cinese sottomesso ed umiliato che cerca la sua libertà. Ma, se in Sun Yu non ci sono genitori contro cui combattere, e davvero la donna prende in mano le proprie responsabilità come un soggetto al pari dell'uomo, qui ancora il personaggio di Hu Die, Cuifen, è legata alla madre malata e alla sorella debole che, sottilmente, la costringono a lavorare senza capire le umiliazioni che dovrà sopportare, o forse capendole ma mostrandosi indifferenti. Questo potrebbe essere uno spunto da un romanzo di Eileen Chang: la famiglia tradizionale come forza opprimente e sottilmente ricattatoria, sotto la pretesa dell'unità sacra del focolare domestico; ma resta invece qui puro espediente narrativo.
Una cosa che accomuna questo ad altri film del periodo (ma ancora senza verve e senza invenzioni) è l'idea della trasversalità dei rapporti e della possibilità di storie interstiziali: attraverso pertugi, fessure e finestre si spia la vita degli altri, e ben presto il gesto del guardare è sostituito da un'interazione che porta cambiamenti sostanziali (Crossoads, Street Angel). Qui Cuifen spia le silhouette della signorina Yang che amoreggia nell'appartamento di fianco. Questo rileva anche da un dato reale, ovvero la scarsità endemica di appartamenti a Shanghai e la povertà che portava numerose famiglie a vivere tutte insieme in spazi estremamente ristretti.
La trama: Cuifen comincia a lavorare in un centro commerciale, dove subisce le attenzioni insistenti dei un collega e del boss. Lei non ci sta, si fa licenziare; poi torna a chiedere aiuto, ma le richieste di prestazioni sessuali cono così dirette che la ragazza, determinata a non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, preferisce la via del lavoro umile in fabbrica rinunciando agli scintillii traditori della grande città. Se le donne sono forti, dunque (soprattutto Yang, dura ragazza pronta ad ogni compromesso, disillusa dalla vita ma consapevole che nessuno può "possedere" qualcun altro), gli uomini sono vanitosi e inetti.
Si alternano scene all'interno del grande magazzino, dove le impiegate devono giocare bene le proprie carte per mantenere un equilibrio seduttivo tra i clienti ed i padroni, e sequenze nei locali alla moda dove il padrone porta Cuifen, veglie di capodanno (1932 e 1933) sinistre imitazioni delle feste occidentali.
Alla fine Cuifen si rivolge al vecchio collega, entra precipitosa in casa sua, e ci trova la sua amante, che indossa calze a velo sdraiata sul letto di lui. Scioccata, scappa, non ha più nessuno. D'altronde, lei aveva lasciato il collega ad aspettarla per ore davanti all'opera dove era stata invitata mentre lei era con padrone della fabbrica a un'altra festa.
Il tempo passa, il collega passa con moglie e figlio davanti ad un negozietto, entra per comprare un cappellino al bambino e ci trova Cuifen con la madre, che hanno aperto il commercio. Sono imbarazzati. All'uscita, l'uomo dice: apprezzo molto Cuifen, ha tanto coraggio. E così si conclude il film, il cui interesse risiede soprattutto nel mostrare come temi ricorrenti (mobbing, la povertà, la mancanza di lavoro, le tentazioni occidentali della grande città che incarnano ogni male) possono essere sfruttati per veicolare l'immagine tutto sommato conservatrice della diva di turno. Questo film parla anche del percorso, niente affatto immediato, che il cinema compie dal muto al sonoro, e dei vari stadi che si devono attraversare per passare da un modello rappresentativo all'altro.
La fine del film provocò una discussione animata tra Xia Yan, sceneggiatore, e Zhang Shiquan, regista, discussione che si protrasse sulle pagine dei giornali. Xia aveva infatti pensato ad una conclusione più rivoluzionaria: avrebbe voluto mostrare l'eroina che marcia, insieme alle donne di Shanghai, verso la rivoluzione e la liberazione, mentre il finale girato da Zhang è molto più "realista" e minimale.
La conclusione pensata da Xia rappresenta un processo di dissoluzione dell'io in favore di una presa di coscienza sociale che si vede in Crossroads, Wild Rose e molti altri film del periodo, e ben testimonia la tensione ideologica degli intellettuali di sinistra dell'epoca, così come il senso di appartenenza ad una popolazione sottomessa che deve trovare la forza e l'orgoglio per battersi; la maggior parte dei film di sinistra del periodo privilegiano un finale "collettivo", in cui l'eroe simboleggia il cammino di tutto un popolo, piuttosto che l'attenzione ai problemi psicologici di un singolo individuo. Il finale invece testimonia la pressione della censura nazionalista; pressione che spesso diventa autocensura preventiva da parte dei registi, come in questo caso.
Corrado Neri