Chi è Sozaburō Kano, il giovane samurai dall'ambiguo fascino androgino? Una ballerina con la spada. Un'idea. Una fantasticheria. Un pensiero che tende a diventare pericolosamente reale. Un incubo. Un mostro. È tutto questo, e altro ancora, perchè ognuno dei personaggi che gli ruotano intorno culla e nutre la propria illusione.
CHIMERA
(...) Sozaburo Kano (l'unico samurai biancovestito) è appena stato inserito a pieni voti nei ranghi della guarnigione, dopo aver superato brillantemente la prova di duello con la spada (un lungo bastone affusolato, un'enorme stuzzicadenti). La sequenza a cui facciamo riferimento non è una scena di raccordo: destabilizza l'intera struttura del film. Sotto gli occhi della truppa e dei superiori, Sozaburo Kano ruba la scena: cattura gli sguardi. Questa massa di corpi disposta geometricamente capitola; è soggetta a un rapimento: il tempo necessario a che il mulinare nell'aria di Kano giunga a compimento, e questa giuria silenziosa, senza premi da consegnare, si a-soggetta. Operando una torsione, la truppa si capovolge infine in oggetto del rapimento. Rapita dalle evoluzioni stilizzate di Sozaburo Kano, la truppa vacilla afasica.
Il colpo di fulmine è un'ipnosi. Il fascino che proviamo davanti a un'immagine è dunque palpabile, ma può anche implodere, restando celato. Per esempio, il volto di Toshizo Hijikata resta una maschera impenetrabile (se si escludono i tic dell'attore Kitano): sono i suoi monologhi interiori a farsi più frequenti e ossessivi (l'episodio ipnotico è preceduto da quello che Roland Barthes, citando Freud, chiama "stato crepuscolare": si tratta di quello stato in cui il soggetto appare svuotato, disponibile, e per questo pronto ad essere catturato). Toshizo Hijikata resta impassibile, ma qualcosa in lui penetra, lavorando dall'interno (...) Questa scena, di cui abbiamo tracciato le coordinate, permette quindi un ribaltamento, palesato dalla sequenza successiva, quella in cui Sozaburo Kano viene ammesso alla prova suprema, quella in cui si troverà costretto a giustiziare un samurai reo di aver svergognato la truppa. Il suo sguardo impenetrabile, le due braccia alzate, la lama, il gesto secco, la testa decollata: un taglio netto, il sangue che zampilla. Ci sono tutti i riferimenti sessuali che volete. Spada, lama, sangue che sgorga... Ma se questa scena risulta fondativa è per un altro motivo. La lama recide una parte del corpo del condannato, ma quel gesto preciso, quel movimento circoscritto nella sua freddezza impietosa, colpisce e ferisce al cuore chi guarda; l'oggetto del rapimento si rovescia qui in soggetto dell'amore: "Questo singolare rovesciamento deriva forse da un fatto ben preciso: il "soggetto" è per noi (dal cristianesimo in poi?) colui che soffre: laddove c'è dolore, c'è soggetto: die Wunde! die Wunde! [la ferita!] dice Parsifal, diventando in tal modo "lui stesso"; e più la ferita è aperta, al centro del corpo (nel "cuore"), più il soggetto diventa soggetto: poiché il soggetto è l'intimità ("la ferita... è d'una intimità spaventosa"). Tale è la ferita d'amore: una piaga radicale (alle "radici" dell'essere) che non riesce a richiudersi, e da cui il soggetto scola via, componendosi come soggetto proprio in questo fluire". Soggetti dell'amore, le figure salienti del film reagiscono differentemente: c'è chi annuisce (Isami Kondo, il capo della guarnigione), chi nega assolutamente l'attrazione (Soji Okita, il miglior schermitore della truppa), chi resta pensoso (Toshizo Hijikata). C'è pure chi senza ritegno dichiara la propria ferita insanabile, diventando in seguito amante (Hyozo Tashiro). Insomma, la ferita sanguina, e il film si trasforma in una strana "ronde", una curiosa parata fatta di sospetti reciproci, rapporti di forza (il duello tra Kano e Tashiro), marcata da un formidabile senso dell'umorismo (valga per tutto la sequenza del ritorno di Isami Kondo da Kyoto, in cui durante il pranzo viene snocciolata una complessa teoria politica che coinvolgerebbe diversi shogunati, che nessuno ascolta, data la sua incomprensibilità e inutilità nell'economia del film. Infatti, alle ipotesi elencate da Kondo, Kitano risponde impassibile, con un semplice monosillabo, tra una portata e l'altra. L'interesse di Kitano, della truppa, e dello stesso Kondo, non è certo rivolto a quello... Logicamente, il discorso politico-militare non è altro che una manovra diversiva. Proprio da qui emerge il tono umoristico della sequenza, che finisce con l'apparire stralunata e delirante). La situazione si fa veramente imbarazzante. Questo angelo tentatore, questa figura inquietante, questo corpo dall'ambivalente androginía, rischia veramente di minare lo spirito di corpo della truppa. Si tenta pure di portarlo a bordello. Inutilmente. Ma chi è veramente Sozaburo Kano? Una ballerina con la spada. Un'idea. Una fantasticheria. Un pensiero che tende a diventare pericolosamente reale. Un incubo. Un mostro. Un possibile amante. Diciamo: è tutto questo insieme (ognuno culla e nutre la propria opinione). Sozaburo Kano è una chimera. Domande. Le domande durante il film si fanno pressanti. Il mistero avvolge la scena. Chi ha ucciso il samurai innamorato? Di chi è l'ombra che ha lasciato cadere un coltello sul selciato, nell'agguato a Soji Okita? E il coltello? L'avrà veramente dimenticato il prode Tashiro? O l'avrà lasciato cadere Kano, dirottando le tracce sull'amante? E perché Hijikata moltiplica le congetture? E perché il cielo è azzurro, mentre le nuvole sono rossastre? Perché la luna è lattescente? Perché Hijikata ordina a Kano di eliminare Tashiro? Perché sfalsa i punti di vista, accumulando ipotesi, intrecciando i fili, lasciando sfilare tutti i partecipanti in uno strano e immaginario defilé? (...) Aperta campagna. Notte. (Mezzanotte? si tratta certamente dell'ora del crimine...). Hijikata e Okita aspettano l'arrivo dei due samurai. Nell'attesa, Okita racconta al suo superiore una storia di fantasmi letta nella raccolta Ugetsu Monogatari di Akinari Ueda (1734-1809): "Il guerriero Soemon Akana si ammala durante un viaggio. Viene curato da Samon Hasabe. I due uomini stringono un patto d'amicizia, giurandosi eterna fratellanza. Ristabilitosi, Soemon Akana deve tornare nella sua regione, promettendo però a Samon Hasabe di ripresentarsi il 9 settembre, il giorno della Festa dei Crisantemi, per ricambiare i favori ricevuti. Il giorno stabilito, egli appare di fronte a Samon sotto forma di spirito: fatto prigioniero, Soemon si è infatti suicidato per poter mantenere la promessa, affinché la sua anima potesse presentarsi all'appuntamento". Hijikata si mostra stupito per l'interesse di Okita verso queste storie per "femmine" e persone deboli. Hijikata sembra non cogliere il lato morale della storia: "Non bisogna allacciare relazioni con persone incostanti. L'incostante si lega facilmente alle persone, ma per poco tempo. Il salice ad ogni primavera riprende le sue tinte, mentre l'incostante, una volta rotti i rapporti, non si interesserà mai più di voi". Due sagome nella notte. "Sei tu che mi hai rubato il pugnale!", grida Tashiro. Le spade si incrociano. Kano sembra capitolare. Il tempo di sussurrare qualcosa all'orecchio dell'amante: "Perdonami". La situazione si rovescia. È Tashiro a restare al suolo, morente. Chi è dunque Sozaburo Kano? Che cosa significa: "Perdonami"? E ancora, che cosa ha dimenticato Okita, incamminandosi verso Kano? E perché lo uccide? (ma lo uccide veramente? o è solo l'immaginazione di Hijikata che corre sfrenata?). Chi è Sozaburo Kano? "Kano è troppo bello"... Hijikata non è una persona stolida. In realtà, la storiella di Okita l'aveva compresa chiaramente. E anche adesso una risposta l'ha trovata. "Kano è troppo bello", dichiara prima di recidere un albero di ciliegio in fiore, con un colpo di spada. Pulsione, desiderio, senso di morte: questi ultimi piani del film sono incontestabilmente le immagini più belle dell'annata cinematografica. Un albero cade, i fiori si distribuiscono come soffici fiocchi di neve sullo schermo. C'è qualcosa di intimamente simbolico in queste immagini. Il gesto del samurai, la bellezza dell'albero che cade (Oshima, candidamente, ha dichiarato che quell'albero tagliato starebbe a significare la fine del mondo dei samurai, ma ammette che la scena potrebbe essere interpretata diversamente). Figura simbolica, quell'albero svia l'interpretazione, la complica. In più seduce. Quell'albero non è una figura d'ornamento. È metonimicamente l'asse che produce l'ennesima torsione nel testo. È una pista di decollo. Chi è Sozaburo Kano? La risposta si nasconde in quell'albero? Si ricomincia tutto da capo. Anzi, si decolla... Note |
a cura di Rinaldo Censi