Francesco Della Puppa sull’immigrazione bangladese in Italia

Il post-doc Francesco Della Puppa ha indagato storie e aspettative della comunità bangladese in Italia da un punto di vista maschile

I ‘pionieri’ erano tutti uomini. Negli anni Novanta arrivavano a Roma dal loro paese, il Bangladesh, o dalle altre capitali europee. Ottenuto il permesso di soggiorno, sono stati attratti a Nordest: c’erano lavoro e case, premesse per realizzare il sogno di metter su famiglia. Il post-doc Francesco Della Puppa ha indagato storie e aspettative della comunità bangladese in Italia da un punto di vista maschile, scrivendo un libro titolato, appunto, “Uomini in movimento”.

Lo studio si inserisce in un filone di ricerca originale, di genere ma dalla prospettiva più inconsueta: i men studies. Per Francesco Della Puppa, membro del Laboratorio di Ricerca Sociale (Laris) e del Master sull'Immigrazione "Fenomeni migratori e trasformazioni sociali", i men studies rappresentano «uno spazio sguarnito della ricerca sociale», al quale ha contribuito studiando la costruzione dell’identità maschile: come i ragazzi bangladesi diventano uomini adulti.

Il sociologo cafoscarino ha indagato, muovendosi sia in Italia che in Bangladesh, il caso di una comunità speciale, quella di Alte Ceccato, cittadina vicentina nata negli anni Cinquanta dalla spinta di un imprenditore e della sua azienda, Ceccato spa, che circonda la fabbrica con palazzine per i dipendenti. Confronta le immagini per osservare com'è cambiato il paesaggio con lo sviluppo urbanistico di Alte Ceccato. Quando nella provincia decolla un nuovo distretto, quello della concia, quelle case, nel frattempo abbandonate, iniziano ad ospitare una nuova comunità di lavoratori immigrati: i bangladesi. Gli italiani non vogliono più vivere in palazzine anni Cinquanta. I bangladesi, invece, le comprano.


Ma chi erano questi nuovi residenti di Alte Ceccato e chi sono i bangladesi ‘italiani’?
«Innanzitutto, sono uomini. Provenivano perlopiù dalla comunità romana, seconda solo a Londra in Europa. Oggi l’Italia è una meta meno ambita di quanto non fosse dagli anni Novanta ai primi anni Duemila, ma in Bangladesh rimane una fortissima pressione per l’emigrazione. La disoccupazione è altissima e molti, piuttosto che accettare lavori che comporterebbero un declassamento sociale, rovinando l’immagine propria e della famiglia, preferiscono emigrare e fare un lavoro umile altrove. Chi arriva in Europa, soprattutto negli anni Novanta, proviene dalla classe media, ha una laurea o un diploma e, per potersene andare, può permettersi un investimento che può arrivare a 10 mila euro. Non essere sposato è considerato un disonore. Lavorare all’estero è sinonimo di prestigio e può significare molto nella ricerca della moglie. Ecco quindi che lavorare in Italia, comprare casa, trovare moglie e ricongiungersi, avere dei figli, sono passaggi importanti nella crescita dell’identità maschile. Si tratta, non bisogna dimenticarlo, di aspirazioni soggettive, ma modellate da dinamiche oggettive, globali e strutturali, prima fra tutte le diseguaglianze di sviluppo tra nazioni e continenti».

Scrive che l’83% della popolazione di origine bangladese di Alte Ceccato vive concentrata in una decina di vie della cittadina. Lungo alcune strade, i bangladesi sono il 40% della popolazione. Come vanno le relazioni con i residenti italiani?
«Inizialmente ci sono state buone relazioni. Gli immigrati hanno permesso al paese di sopravvivere. In alcune classi, ad esempio, il 90% dei bambini ha origini straniere. I problemi iniziano con la crisi. Il distretto conciario, poco innovativo e basato sulla quantità, soffre. C’è emorragia di posti di lavoro e i primi a essere colpiti sono gli immigrati, che tornano a fare la stagione nelle strutture alberghiere. Molti tra quelli che hanno vissuto gli anni d’oro di Alte Ceccato non ci stanno e vanno in Inghilterra. Chi rimane è alle prese con conflitti nati su questioni di poco conto, ma simboliche. Alla sala di preghiera islamica acquistata dalla comunità, ad esempio, è stata ridotta l’idoneità. Il fatto che il Comune voglia essere avvertito una settimana in anticipo ha ridotto le piccole iniziative culturali. Ci sono state manifestazioni contro l’amministrazione e la comunità stessa si è andata disgregando».

Oltre Alte Ceccato: quali prospettiva di ricerca apre questo approccio?
«Ho studiato un caso specifico, ma è probabile che le dinamiche che ho riscontrato possano essere utilizzate per studiare realtà simili, come gli altri ‘hub’ dell’immigrazione dal Bangladesh in Italia che sono certamente Roma, ma - per stare a noi più geograficamente vicini - Marghera e Monfalcone. Inoltre, è importante ricordare che dietro ad ogni immigrato c’è un emigrato, ovvero che è necessario capire queste esperienze a partire da cosa succede nel paese d’origine».

Enrico Costa