Nobel per l'economia 2022 a Bernanke, Diamond e Dybvig

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Ill. Niklas Elmehed © Nobel Prize Outreach

Il Premio Nobel per le scienze economiche 2022, premio della Banca di Svezia in memoria di Alfred Nobel, è stato assegnato a Ben Bernanke (Brookings Institution di Washington), Douglas Diamond (Chicago University), e Philip Dybvig (Washington University di St. Louis), per la loro ricerca sul modo di operare delle banche e sul loro ruolo nell’economia, ricerca che ha anche contribuito a capire come regolamentarle al fine di cercare di prevenire crisi finanziarie e di alleviarne l'impatto economico.

Le banche, e più in generale gli intermediari finanziari, facilitano il rapporto tra chi dispone di fondi da investire e chi ne domanda, svolgendo quindi un ruolo chiave per la loro allocazione. Rapporti tra creditori e debitori intermediati dalle banche sono onnipresenti nella nostra economia e consentono il finanziamento di diversi tipi di progetti: alle aziende di ottenere un prestito per costruire nuovi impianti, alle famiglie di ottenere un mutuo per acquistare una casa, alle start-up di ideare, creare, e vendere nuovi servizi, e così via.  Soprattutto in questi ultimi anni sono emersi altri tipi di intermediari che consentono di incanalare i fondi dei risparmiatori.

Le banche hanno comunque mantenuto un ruolo ed un’importanza cruciale nel sistema finanziario in virtù di alcune funzioni fondamentali. La prima è la trasformazione di passività liquide a breve termine (depositi) in attività non liquide a lungo termine (prestiti). Molti dei fondi gestiti dalle banche provengono da risparmiatori sotto forma di depositi e sono pronti per essere usati in caso di una spesa improvvisa. Questi risparmiatori non sarebbero disposti a bloccare i loro risparmi per finanziare progetti di medio o lungo periodo. La banca consente questa trasformazione di scadenze tra chi presta a  breve scadenza e chi prende a prestito. Un secondo problema nasce dalla difficoltà di monitorare l'operato di chi prende a prestito. Non solo i progetti finanziati danno i loro frutti solo nel medio o lungo periodo ma sono anche rischiosi, sia perché il loro rendimento dipende dalla realizzazione di eventi futuri ed incerti ma anche perché chi è stato finanziato potrebbe cercare di sottrarre risorse per non rimborsare il debito. Questo rischio implica la necessità che il debitore venga monitorato. Sarebbe troppo oneroso che ogni risparmiatore monitorasse i progetti su cui ha investito. Tale funzione può però essere invece delegata alla banca, che la può compiere con costi minori. A ciò si lega un terzo aspetto, vale a dire la possibilità fornita dalle banche ai risparmiatori di accedere ai benefici della diversificazione. Le banche, aggregando il risparmio, possono diversificare i loro investimenti, assicurandosi così dai rischi specifici dei singoli progetti e realizzando ritorni meno variabili di quelli dei singoli progetti.

Sebbene tutte queste funzioni fossero note agli economisti e agli operatori finanziari da tempo, sono stati i lavori  di Douglas Diamond e Philip Dybvig agli inizi degli anni '80 ad inquadrarle ed analizzarle da un punto di vista teorico. Essi hanno portato alla formalizzazione della teoria dell'intermediazione finanziaria che, estesa negli anni successivi, è in uso ancora oggi. Il lavoro teorico è stato affiancato dall'analisi empirica di Ben Bernanke, anch’essa sviluppata nei primi anni ‘80, sul ruolo che ha avuto il fallimento di numerose banche  per la prolungata durata della Grande Depressione iniziata nel '29. La formalizzazione teorica e l’analisi empirica di questi  economisti hanno anche permesso di capire come regolamentare le banche per salvaguardare le funzioni di trasformazione di scadenze, monitoraggio, e diversificazione dei rischi, così da limitare gli effetti negativi delle crisi finanziarie sull'economia. 

Nel lavoro “Bank Runs, Deposit Insurance, and Liquidity”, pubblicato nel 1983 sul Journal of Political Economy, Diamond e Dybvig si sono concentrati sul ruolo delle banche nel fornire liquidità e permettere una trasformazione di scadenze tra creditori e debitori. Inoltre hanno messo in luce che questa funzione espone le banche al rischio di una corsa agli sportelli e hanno proposto possibili regolamentazioni per prevenire tale rischio.

I due economisti sviluppano un modello stilizzato del funzionamento di una banca: le famiglie hanno risparmi da investire in progetti ben remunerati nel lungo periodo ma male remunerati nel breve perché, non avendo ancora realizzato il loro potenziale, sono difficili da liquidare. Le famiglie sono anche soggette a possibili spese inattese e vogliono poter usare i loro risparmi per farvi fronte, anche prima della fine dell’eventuale investimento. Ogni famiglia ha queste esigenze ma non tutte le famiglie saranno soggette a spese inattese. In un’economia senza banche, le famiglie investono in progetti e quelle che sono soggette alla spesa liquidano il loro investimento in anticipo, sostenendo delle perdite. La situazione non è ottimale ed ogni famiglia preferirebbe rinunciare a parte dei rendimenti nel caso non ci siano spese inattese se potesse anche liquidare il proprio investimento, senza rimetterci troppo, nel caso di spese inattese. Siccome non tutte le famiglie hanno spese inattese, la presenza di una banca che raccoglie i risparmi, li investe in progetto di lungo periodo, e permette di ritirarli in caso di bisogno garantendo un ritorno maggiore di quello della liquidazione forzata, a fronte di un minore guadagno nel caso in cui il ritiro avviene solo alla fine del progetto, migliora il benessere delle famiglie.  La banca ha delle passività, i risparmi depositati, con scadenza breve, e delle attività, gli investimenti nei progetti, con scadenza lunga, operando quindi una trasformazione di scadenza e garantendo maggiore liquidità.

Questa funzione mostra però un aspetto di fragilità. Abbiamo supposto che non tutte le famiglie ritirino i depositi nel breve. Qualora questo accada la banca non può onorare i suoi impegni e fallisce. Fallendo liquida tutti i progetti e nessuno è portato a termine. Diamond e Dybvig notano che una corsa agli sportelli -dunque il contemporaneo ritiro dei depositi da parte di tutti i risparmiatori- potrebbe avvenire non solo per la necessità di tutti di far fronte a spese impreviste ma anche per il solo motivo che tutti gli altri stanno ritirando depositi. Lasciare i depositi quando tutti li ritirano implica che verranno pagati ad altri senza aver diritto a nulla in futuro perché la banca nel frattempo sarà fallita. Aver formalizzato la corsa agli sportelli (“bunk run”) ha permesso ai due economisti di studiarne possibili rimedi. Una delle soluzioni proposte è l’assicurazione dei depositi da parte del governo. Quando i depositanti sanno che lo stato garantisce i loro risparmi, non hanno più bisogno di correre in banca non appena iniziano le voci su una corsa agli sportelli. Questo ferma una corsa agli sportelli prima che inizi. L'esistenza di un'assicurazione sui depositi comporta quindi che non abbia mai bisogno di essere usata, il che spiega perché la maggior parte dei paesi ora assicura i depositi. 

Nel lavoro di Diamond “Financial intermediation and delegated monitoring”, pubblicato nel 1984 sulla Review of Economic Studies, e le cui idee sono già presenti nella sua tesi di dottorato alla Yale University, si analizzano le condizioni necessarie alle banche per svolgere un altro compito importante: il monitoraggio dei debitori per assicurarsi che rispettino i loro impegni. Non solo la maggior parte degli investimenti sono rischiosi ma essi dipendono dalle azioni stesse dei debitori. Questi ultimi potrebbero cercare di evitare di pagare i propri debiti rivendicando che un investimento è fallito a causa di eventi avversi. Per evitare questo, fallire deve essere costoso per i debitori. Tuttavia, anche i debitori che svolgono bene il proprio lavoro a volte falliscono, il che crea costi per la collettività. Nel suo articolo, Diamond assume che la banca possa monitorare i debitori ad un certo costo. Grazie a questo, molti fallimenti possono essere evitati e i costi sociali sono ridotti. Senza la banca come intermediario, il monitoraggio sarebbe difficile ed eccessivamente costoso. Rimane, tuttavia, un problema: se la banca monitora i debitori, chi monitora le banche? Non si può fare affidamento sul fatto che ogni depositante sappia se la banca stia monitorando i debitori o meno. Una delle conclusioni dell'articolo di Diamond è che il modo in cui sono organizzate le banche significa che non devono essere monitorate dai depositanti. Se la banca non monitora i suoi debitori, rischia ingenti perdite sui suoi prestiti. Ma in questo caso non sarebbe in grado di ripagare ciò che ha promesso ai suoi depositanti e fallirebbe. Pertanto, è nell’interesse della banca monitorare per i suoi debitori senza che i depositanti debbano monitorare la banca. Un ulteriore aspetto messo in luce da Diamond è che, anche se la banca esegue bene il monitoraggio, subirà perdite su alcuni dei suoi prestiti perché i progetti sono intrinsecamente rischiosi. Ma la banca può decidere di concedere prestiti ad a gran numero di debitori. Anche se alcuni sono inadempienti sui loro prestiti, le perdite su tutti i prestiti saranno ridotte, beneficiando della diversificazione. 

Il modello di Diamond spiega come l'esistenza delle banche porti a una riduzione dei costi di trasferimento dal risparmio agli investimenti produttivi, noto come costo dell'intermediazione creditizia. Questa riduzione dei costi consente di finanziare un numero maggiore di progetti ed aumentare il benessere. Se molte banche falliscono allo stesso tempo, come durante la depressione degli anni '30, il costo dell'intermediazione creditizia aumenta così drammaticamente che gran parte dell'economia smette di funzionare. 

L’analisi sul ruolo delle banche per il protrarsi della Grande Depressione nel corso degli anni ‘30 è stata condotta da Bernanke nel lavoro “Nonmonetary effects of the financial crisis in the propagation of the Great Depression”, pubblicato nel 1983 sull’American Economic Review (più tardi, dal 2006 al 2014, lo stesso Bernanke è stato a capo della banca centrale statunitense, avendo così modo di applicare le sue idee in un altro momento di crisi del sistema finanziario). Bernanke analizza la Grande Depressione degli anni '30. Tra il gennaio 1930 ed il marzo 1933, la produzione industriale statunitense diminuì del 46 per cento e la disoccupazione salì al 25 per cento. La crisi si diffuse ad altri paesi provocando una profonda recessione economica in gran parte del mondo. Prima che Bernanke pubblicasse il suo articolo, l'opinione comune tra gli economisti era che la depressione avrebbe potuto essere prevenuta se la banca centrale statunitense avesse stampato più moneta. Bernanke ha messo in luce che questo meccanismo da solo non poteva spiegare perché la crisi fu così profonda e prolungata, mostrando invece che la sua causa principale fu il declino della capacità del sistema bancario di incanalare i risparmi in finanziamenti alle imprese, a seguito delle corse agli sportelli che determinarono il fallimento di molte banche e della tendenze di queste ad investire in attività a basso rischio e facilmente liquidabili.  Bernanke ha stabilito che i fallimenti delle banche sono stati determinanti per trasformare la recessione in una profonda e prolungata depressione, la peggiore dell’ultimo secolo. Una volta che una banca fallisce, il rapporto tra la banca e i suoi debitori è interrotto ed instaurare un nuovo rapporto di monitoraggio è spesso troppo costoso. Bernanke ha mostrato che l'economia non ha iniziato a riprendersi fino a quando non sono implementate misure per prevenire ulteriori attacchi di panico e corse agli sportelli. 

I lavori di Bernanke, Diamond, e Dybvig hanno contribuito a porre l’attenzione sul ruolo delle banche nell’economia, fondando il campo di ricerca sugli intermediari finanziari e fornendo migliori strumenti per disegnarne la regolamentazione. Il mondo dell’intermediazione bancaria è in continua evoluzione. Nel frattempo nuove forme di intermediazione, spesso non soggette a regolamentazione, si sono inserite tra banche finanziate dai depositi e i debitori e, più recentemente, sono nati altri sistemi di pagamento come le cryptovalute e anche l’intermediazione ha una spinta verso la decentralizzazione permessa dall’uso di blockchain. Come dimostra anche la crisi finanziaria del 2007-2009 -che vide il ripetersi di “corse agli sportelli”, questa volta sui fondi di mercato monetario anziché sui depositi bancari, essendo questi ultimi oramai assicurati- se non si mette bene in luce il funzionamento dei nuovi strumenti e attori finanziari è difficile capirne i pericoli e regolarli, incrementando quindi il rischio che eventi avversi possano portare il sistema ad una crisi. La stessa crisi del 2007-2009 dimostra però anche che, grazie ai lavori di Bernanke, Diamond, e Dybvig e alla ricerca che ne è seguita, i meccanismi fondamentali che regolano il funzionamento degli intermediari sono stati in parte compresi e, a differenza di quella del 1929, l’intervento pubblico è stato efficacie e la recessione non si è tramutata in una depressione.

Di Pietro Dindo con Stefano Colonnello e Piero Gottardi del Dipartimento di Economia 

Federica Scotellaro